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PERSECUZIONI CONTRO I CREDENTI IN CRISTO

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2023 12:13
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09/07/2013 22:33
 
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NIGERIA, GHEDDO: «Le scuole cristiane sono nel mirino dei terroristi perché piacciono anche ai musulmani»

Luglio 9, 2013
Leone Grotti
Intervista a Piero Gheddo: «Le scuole cristiane educano in modo umano e attraggono anche famiglie islamiche. Ecco perché i jihadisti di Boko Haram le distruggono»

«Attaccando le scuole cristiane in Nigeria, Boko Haram vuole dare un segnale preciso e molto semplice, soprattutto ai musulmani: non frequentatele più». Così Piero Gheddo, missionario, giornalista e profondo conoscitore delle vicende africane, spiega a tempi.it la nuova strategia dei terroristi di Boko Haram, che da tempo hanno preso di mira in Nigeria le scuole non islamiche. L’ultimo attacco risale a sabato scorso, 6 luglio, a Mamudo, nello stato nord-orientale di Yobe, dove gli estremisti legati ad al-Qaeda hanno ucciso 41 studenti e un professore.

Perché Boko Haram colpisce proprio le scuole cristiane?
Come è noto, Boko Haram si proclama una setta di al-Qaeda che combatte contro l’educazione e i costumi cristiani, e quindi contro la scuola cristiana in quanto tale. Attaccando gli istituti danno un segnale preciso: nessuno ci vada più.

A chi è rivolto il segnale?
Soprattutto ai musulmani, perché non solo i cristiani frequentano le scuole della diocesi, ma tutti, essendo le scuole migliori. Nelle scuole cattoliche o anche protestanti gli alunni sono seguiti da tutti i punti di vista: sono in un ambiente sicuro, lontani dalla droga o dalla criminalità. In queste scuole, inoltre, si fa molta attenzione all’educazione sessuale, si insegna ai ragazzi il valore della sessualità. Le persone, insomma, sono educate in modo non tanto cristiano, quanto umano. E questo è molto apprezzato anche dai musulmani, che infatti le preferiscono a quelle statali.

Boko Haram vuole solo cacciare i cristiani?
Non solo. Vuole prendere il controllo della Nigeria, applicare la legge islamica e impossessarsi delle proprietà dei cristiani. Quando i vescovi nigeriani fanno interviste dicono sempre che Boko Haram ha scopi economici e non è un mistero che le etnie cristiane a parità di condizioni con quelle musulmane si sviluppano di più e sono più ricche.

Perché?
Semplice, perché i cristiani ad esempio valorizzano le donne e le mandano a scuola. Nel sud della Nigeria, dove rispetto al nord la maggioranza della popolazione è cristiana, la gente è più evoluta. Ed è normale, perché spesso i musulmani tagliano fuori la metà dell’umanità, quindi si sviluppano di meno.

Il governo di Goodluck Jonathan non riesce o non vuole fermare Boko Haram?
Il governo nigeriano è impotente, non ha forza per contrastare i terroristi in un paese di 160 milioni di abitanti. Sono deboli, vorrebbero fermarli perché non hanno nessun interesse a farli andare avanti, ma non possono. Negli anni Ottanta, quando mi trovavo in Nigeria, i cristiani erano sì discriminati ma non c’erano queste violenze. Tutto è nato con al-Qaeda e le organizzazioni che si sono affiliate a loro.
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20/08/2013 07:58
 
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VIOLENZE IN EGITTO. Il card. Sandri: necessario dialogo, inaccettabili gli attacchi ai cristiani

19 agosto 2013
Papa Francesco invita a continuare a pregare per la pace in Egitto. Ieri all’Angelus ha lanciato un nuovo appello per la fine delle violenze in questo Paese. Sulle drammatiche vicende che stanno colpendo la popolazione egiziana, è intervenuto anche il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali: ascoltiamolo al microfono di Manuella Affejee: RealAudioMP3 

R. – Vogliamo che ci sia veramente una possibile soluzione di questa situazione terribile in Egitto attraverso il dialogo e la riconciliazione. A questo aggiungiamo la nostra preghiera, per uno sguardo di benevolenza divina verso tutti i nostri fratelli cristiani. Io vorrei salutare Sua Santità Tawadros II, che ha fatto visita al Papa di recente, il Papa dei copti, fare gli auguri a lui e alla Chiesa copta; vorrei salutare anche il Patriarca Naguib, il Patriarca cattolico emerito, ed anche Sua Beatitudine Sidrak, Patriarca cattolico. Siamo accanto a loro con la preghiera, con la nostra vicinanza, con le nostre lacrime spirituali per la sofferenza del popolo egiziano.

D. – I cristiani stanno subendo attacchi dagli islamisti e numerose chiese sono state bruciate. Il conflitto è politico. Non c’è però il rischio che sia interpretato in chiave religiosa?

R. – Purtroppo tutte le distruzioni delle chiese che hanno subito i cristiani sono inaccettabili, soprattutto perché, in particolare i cattolici, sono una minoranza. La rinascita del Paese deve attuarsi nel rispetto della persona umana, nel rispetto reciproco di tutte le religioni, nel rispetto della libertà religiosa. Noi pensiamo che mai la fede o una religione possa dare adito ad una guerra o all’uso della violenza. Mai può si può fare uso della forza, della violenza, del terrorismo o del potere militare per risolvere le questioni in base alla fede. Dobbiamo pensare che il comandamento di Dio di amarci l’un l’altro, sia valido per tutti, sia musulmani che cristiani. 

Radio Vaticana
VIOLENZE IN EGITTO. Il card. Sandri: necessario dialogo, inaccettabili gli attacchi ai cristiani

19 agosto 2013
Papa Francesco invita a continuare a pregare per la pace in Egitto. Ieri all’Angelus ha lanciato un nuovo appello per la fine delle violenze in questo Paese. Sulle drammatiche vicende che stanno colpendo la popolazione egiziana, è intervenuto anche il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali: ascoltiamolo al microfono di Manuella Affejee:  RealAudioMP3 

R. – Vogliamo che ci sia veramente una possibile soluzione di questa situazione terribile in Egitto attraverso il dialogo e la riconciliazione. A questo aggiungiamo la nostra preghiera, per uno sguardo di benevolenza divina verso tutti i nostri fratelli cristiani. Io vorrei salutare Sua Santità Tawadros II, che ha fatto visita al Papa di recente, il Papa dei copti, fare gli auguri a lui e alla Chiesa copta; vorrei salutare anche il Patriarca Naguib, il Patriarca cattolico emerito, ed anche Sua Beatitudine Sidrak, Patriarca cattolico. Siamo accanto a loro con la preghiera, con la nostra vicinanza, con le nostre lacrime spirituali per la sofferenza del popolo egiziano.

D. – I cristiani stanno subendo attacchi dagli islamisti e numerose chiese sono state bruciate. Il conflitto è politico. Non c’è però il rischio che sia interpretato in chiave religiosa?

R. – Purtroppo tutte le distruzioni delle chiese che hanno subito i cristiani sono inaccettabili, soprattutto perché, in particolare i cattolici, sono una minoranza. La rinascita del Paese deve attuarsi nel rispetto della persona umana, nel rispetto reciproco di tutte le religioni, nel rispetto della libertà religiosa. Noi pensiamo che mai la fede o una religione possa dare adito ad una guerra o all’uso della violenza. Mai può si può fare uso della forza, della violenza, del terrorismo o del potere militare per risolvere le questioni in base alla fede. Dobbiamo pensare che il comandamento di Dio di amarci l’un l’altro, sia valido per tutti, sia musulmani che cristiani. 

Radio Vaticana
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22/08/2013 11:09
 
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India. I cristiani commemorano il quinto anniversario dei pogrom: impuniti gran parte dei responsabili

22 agosto 2013
Tra paura e crescenti misure di sicurezza, la comunità cristiana del distretto del Kandahamal, nello Stato indiano dell’Orissa, si appresta a commemorare il quinto anniversario dell’inizio dei pogrom anticristiani scoppiati il 25 agosto 2008. Tra l’agosto e l’ottobre di quell’anno, dopo l’assassinio di un leader induista locale e di alcuni suoi seguaci ad opera di un gruppo di ribelli maoisti, gruppi di estremisti indù scatenarono una vera e propria caccia al cristiano, con uccisioni, stupri, saccheggi e la distruzione case, chiese e altre strutture. Il bilancio delle violenze fu drammatico: più di 100 morti (56, secondo i dati ufficiali del Governo); migliaia di feriti; 450 villaggi colpiti dai disordini; oltre di 5mila case distrutte; 296 chiese bruciate e 36 fra conventi, istituti e aule religiose demolite. Più di 50mila inoltre i profughi e gli sfollati, di cui una parte non ha più fatto ritorno nel distretto. A cinque anni di distanza gran parte problemi nella regione restano irrisolti: dalla giustizia negata alle vittime, alla lentezza della ricostruzione di case e chiese, all’insicurezza in cui sono ancora costretti a vivere oggi i cristiani della regione. Nonostante la paura di nuove ritorsioni, la comunità cristiana è decisa a commemorare l’anniversario con una serie di iniziative pacifiche. Tra queste – riferisce all’agenzia Ucan il coordinatore padre Ajay Kumar Singh - una marcia pacifica Phulbani alla quale sono attesi anche esponenti della società civile e delle organizzazioni per i diritti umani. Per l’occasione sarà anche presentato un memorandum alle autorità locali per chiedere giustizia e sicurezza per i cristiani. Dati forniti lo scorso mese di maggio all’agenzia Fides dall’attivista cattolico indiano John Dayal danno un quadro chiaro dell’impunità: delle oltre 3mila denunce presentate, neanche la metà sono state accolte dalla polizia e appena 824 si sono concluse con un rinvio a giudizio. Nei processi avviati, 169 casi hanno già visto l'assoluzione di tutti gli imputati che, peraltro, rappresentano solo una piccola parte di quelle effettivamente coinvolte nei massacri. Assoluzioni spesso dovute alle intimidazioni e minacce ai testimoni-chiave. Altri 86 processi hanno visto condanne lievi degli imputati, non per i crimini efferati commessi, ma solo per reati minori, con pene detentive di due o tre anni. In altri 90 casi, le indagini sono ancora in corso, ma più passa il tempo, minori sono le possibilità di raccogliere prove inconfutabili. Una situazione ritenuta inaccettabile anche dalla Corte suprema dell'India che nell’autunno 2012 aveva inviato una nota al governo, alla polizia e agli uffici investigativi dell'Orissa, per chiedere conto dell’alto tasso di assoluzioni nei casi relativi ai pogrom del 2008. (L.Z.)

Radio Vaticana
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10/09/2013 23:03
 
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Anno 2013 d.C. l'ateismo non ha mai ucciso nessuno"?:

cristiani usati come cavie.

Il regime coreano, ateocomunista , usa i campi di concentramento - le organizzazioni internazionali ne hanno contati sei ed occupano ampie aree disabitate delle province di Pyongyan sud, Hamkyung sud e Hamkyung nord - per costringere al lavoro forzato i suoi “prigionieri politici”. Si stima che in quei campi vivano almeno 200mila persone.
Tra questi, alcune decine di migliaia, dai 50 ai 70mila, sarebbero cristiani(condannati perché l'ateoregime considera il non essere atei un reato) Più di un quarto del numero complessivo dei cristiani presenti nel Paese.

Nel libro intitolato “Eues of the Tailless Animals”, la scrittrice coreana Soon Ok Lee descrive gli orrori da lei sperimentati in un campo di rieducazione, a Kae Chon, nella provincia meridionale di Pyung-Yang, “dove i cristiani - afferma - se si rifiutavano di negare Dio venivano bruciati fino a morire con metallo fuso” e “dove - aggiunge - venivano fatti molti esperimenti su esseri umani. Essi dicevano che era superfluo testare armi e prodotti chimici sugli animali, perché loro erano stati costruiti per colpire altri esseri umani,andavano testati su questi”.
Esistono testimonianze - ne ha dato notizia la Missione Evangelica “Porte Aperte”, che confermano come in alcuni casi i cristiani siano stati usati come cavie per provare l’efficacia di armi biologiche e chimiche.
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15/09/2013 19:37
 
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L’EGITTO POTREBBE RICONOSCERE
IL GENOCIDIO DEI CRISTIANI ARMENI 

Il paese africano contro la Turchia sul genocidio del 1915

MARCO TOSATTI

L’Egitto del dopo-Morsi potrebbe diventare il primo Paese musulmano al mondo a riconoscere come “genocidio” lo sterminio degli Armeni, compiuto a partire dal 24 aprile 1915 dal governo turco nelle terre dell’allora impero ottomano. Questo potrebbe avvenire in seguito al passo, senza precedenti, compiuto da un avvocato egiziano, Muhammad Saad Khairallah, direttore dell’Istituto del Fronte Popolare in Egitto, che ha presentato una richiesta giudiziaria in tale senso. La prima udienza storica di questo processo si terrà davanti al Tribunale del Cairo il 5 novembre 2013.

L’annuncio è stato fatto durante un dibattito televisivo a cui hanno assistito milioni di telespettatori egiziani. Le recenti vicende di politica interna egiziana giocano una parte non secondaria in questa vicenda. Dopo la destituzione di Morsi, leader dei Fratelli Musulmani, il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan ha criticato con severità il nuovo governo ad interim, sostenuto dai militari, e si è espresso a favore del ritorno al potere del suo amico islamico Morsi.


L’intervento di Erdogan non è stato bene accolto da molti nell’opinione pubblica egiziana; ed era prevedibile, visti i rapporti storici non sempre sereni fra i due Paesi. Nei giornali egiziani sono apparsi numerosi reportages e commenti in chiave antiturca. E il problema del genocidio armeno, la cui esistenza è negata ancora, a dispetto dell’opinione di moltissimi storici, dal governo di Ankara è riemerso con vigore. Sui giornali sono apparsi molti articoli in cui si chiede al nuovo governo egiziano di procedere al riconoscimento del Genocidio armeno.
E egualmente vi sono stati molti appelli per sostenere la costruzione al Cairo di un monumento dedicato alle vittime – fino a un milione e mezzo, secondo alcune stime – dello sterminio degli Armeni cristiani; e si è chiesto che il governo compia passi diplomatici per spingere la Turchia a versare degli indennizzi ai discendenti delle vittime. Il tema è stato affrontato in particolare al talk show, popolarissimo in Egitto, intitolato “As-Sura al Kamiila”, “La foto completa”, condotta da Lilian Daoud. Vi hanno partecipato fra altro l’avvocato Khairallah e il dott. Ayman Salama, professore di Diritto Internazionale all’Università del Cairo.


Salama ha informato il suo pubblico che nel 1919 il Triunale militare turco aveva incolpato alcuni dei criminali responsabili del genocidio armeno. Diciassette persone erano state dichiarate colpevoli e tre erano state impiccate. Salama ha ricordato che nel 1915 la Russia la Gran Bretagna e la Francia avevano pubblicato una dichiarazione congiunta, in cui affermavano che avrebbero considerato i dirigenti turchi responsabili dei massacri e dei “crimini commessi contro l’umanità e la civiltà”. L’avvocato Khairallah ha invece affermato che la questione del genocidio armeno avrebbe dovuto essere sollevata da molto tempo in Egitto, e che non ha nessuna connotazione politica. Ha affermato di sperare che la sua azione legale presso la Corte del Cairo spingerà l’Egitto “il più grande Paese sunnita del Medio oriente” a servire d’esempio a altri Paesi arabi affinché riconoscano l’esistenza del genocidio armeno. Fino ad oggi solo il Libano ha compiuto questo passo.

vatican insider
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23/09/2013 09:53
 
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Pakistan: kamikaze in chiesa, 81 i morti

Due kamikaze si sono fatti esplodere durante la messa

Pakistan: kamikaze in chiesa, 81 i morti

Un duplice attentato suicida ha causato oggi la morte di 81 fedeli cristiani, secondo l'ultimo bilancio, e il ferimento di oltre 100 in una storica chiesa di Peshawar, nel nord ovest del Pakistan, affollata per la messa domenicale. E' uno dei piu' sanguinosi attacchi contro la minoranza cristiana e coincide con la volonta' del governo del premier conservatore Nawaz Sharif di aprire il dialogo con i talebani. La carneficina, rivendicata da una fazione emergente del principale gruppo talebano del Tehrik-e-Taleban Pakistan (Ttp), ha sollevato un coro di condanne e anche violente proteste dei cristiani in diverse citta', tra cui Karachi dove si sono registrati scontri con la polizia.

La rivendicazione - Il gruppo fondamentalista islamico Jandullah, legato ai talebani del Tehrek-e-Taliban Pakistan (TTP) e vicino ad Al Qaida, ha rivendicato l'attentato. Un portavoce dell'organizzazione fondamentalista islamica, Ahmed Marwat, ha detto che ''fino a quando i raid dei droni non saranno fermati, continueremo a colpire, ovunque ne avremo la possibilità, obiettivi non musulmani''. I droni sono gli aerei senza pilota che, usati con l'intenzione di colpire i terroristi, hanno più volte provocato vittime tra i civili.

La ricostruzione. Da una prima ricostruzione della polizia, e' emerso che due esplosioni si sono verificate a circa 30 secondi l'una dall'altra. ''Gli attacchi sono avvenuti quando la funzione era terminata e i fedeli stavano per lasciare la chiesa - ha detto il commissario Mohammad Ali Babakhel aggiungendo che gli agenti che erano di guardia hanno cercato di fermare i kamikaze ma sono stati uccisi dalla deflagrazione''. Secondo gli artificieri sono stati usati circa sei chili di esplosivo da ciascuno dei due attentatori suicidi. Intanto continuano a giungere dichiarazioni di condanna della strage che e' la piu' sanguinosa contro la comunita' cristiana in Pakistan, una esigua minoranza che rappresenta circa il 2% della popolazione e che e' spesso vittima di attacchi e di persecuzioni. L'ultimo, in ordine di tempo a esprimere solidarieta' con la comunita' cristiana e' Imran Khan, l'ex campione di cricket a capo di un partito laico, il Pakistan Tehreek-e-Insaf (movimento pachistano per la giustizia) che guida la coalizione di maggioranza nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa. ''Siamo con i cristiani in questo momento di dolore - ha detto il politico -. I terroristi dovrebbero vergognarsi per questo massacro di civili''.

Papa, scelta sbagliata di odio e guerra
 - "Oggi nel Pakistan per una scelta sbagliata di odio e di guerra è stato fatto un attentato e sono morte 70 persone, questa strada non va, non serve, ma solo la strada della pace costruisce un mondo migliore". Lo ha detto il Papa ai giovani sardi recitando poi con loro un Padre Nostro per i morti nell'attentato.

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24/09/2013 11:16
 
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SIRIA. NINAR UCCISO PERCHE' CRISTIANO DAI RIBELLI, CHE MINACCIANO: «VI TAGLIEREMO LA TESTA PER ESPORLA IN MOSCHEA»

Settembre 23, 2013 
Leone Grotti
È successo sabato nella città di al-Tabqah, da oltre un anno nelle mani di al-Nusra, che hanno anche confiscato le proprietà dei cristiani e distrutto una chiesa

Un cristiano di 26 anni è stato ucciso lo scorso 21 settembre in Siria dai terroristi di al-Nusra. La notizia è stata riportata oggi dall’agenzia Aina.

UCCISO IN QUANTO CRISTIANO. Ninar Odisho, insieme a due amici musulmani, si trovava ancora nella città di al-Tabqah, da oltre un anno nelle mani dei ribelli, per controllare che la casa della sua famiglia non venisse distrutta. Nel pomeriggio di sabato, per strada, il cristiano e i suoi amici sono stati avvicinati da alcuni jihadisti, che dopo avergli puntato contro le armi hanno lasciato andare gli altri due uomini, perché musulmani, mentre hanno pestato fino a ucciderlo Ninar, dopo aver appreso che era un cristiano.

CHIESA DEMOLITA. La città di al-Tabqah, che si trova a oltre 300 chilometri da Damasco, è stata presa dai ribelli nel 2012 ed è finita sotto il controllo dei terroristi di al-Nusra, gli stessi che occupano anche Maloula. La maggior parte dei cristiani è già scappata da mesi perché vittima di angherie da parte dei ribelli, che hanno confiscato le loro proprietà. La chiesa dei Santi Sergio e Bacco (nella foto prima della distruzione), una delle due presenti in città, è stata bruciata e demolita dai ribelli, come racconta ad Aina uno dei cristiani fuggiti dalla città.

«TI TAGLIEREMO LA TESTA». La violenza dei jihadisti è stata confermata da un altro cristiano costretto a scappare: «Io sono fuggito ma i ribelli continuano a scrivermi sul cellulare che se tornerò ad al-Tabqah mi taglieranno la testa e la esporranno in moschea, così che tutti i musulmani la vedano e ne siano orgogliosi. Ora non accendo più il cellulare se non quando ne ho strettamente bisogno, per paura di ricevere telefonate da loro». I ribelli hanno anche imposto ai cristiani rimasti di convertirsi all’islam, se non volevano essere cacciati dai posti di lavoro o, peggio, uccisi.
@LeoneGrotti


Siria. Ninar ucciso dai ribelli perché cristiano | Tempi.it
SIRIA. NINAR UCCISO PERCHE' CRISTIANO DAI RIBELLI, CHE MINACCIANO: «VI TAGLIEREMO LA TESTA PER ESPORLA IN MOSCHEA»

Settembre 23, 2013 
Leone Grotti
È successo sabato nella città di al-Tabqah, da oltre un anno nelle mani di al-Nusra, che hanno anche confiscato le proprietà dei cristiani e distrutto una chiesa

Un cristiano di 26 anni è stato ucciso lo scorso 21 settembre in Siria dai terroristi di al-Nusra. La notizia è stata riportata oggi dall’agenzia Aina.

UCCISO IN QUANTO CRISTIANO. Ninar Odisho, insieme a due amici musulmani, si trovava ancora nella città di al-Tabqah, da oltre un anno nelle mani dei ribelli, per controllare che la casa della sua famiglia non venisse distrutta. Nel pomeriggio di sabato, per strada, il cristiano e i suoi amici sono stati avvicinati da alcuni jihadisti, che dopo avergli puntato contro le armi hanno lasciato andare gli altri due uomini, perché musulmani, mentre hanno pestato fino a ucciderlo Ninar, dopo aver appreso che era un cristiano.

CHIESA DEMOLITA. La città di al-Tabqah, che si trova a oltre 300 chilometri da Damasco, è stata presa dai ribelli nel 2012 ed è finita sotto il controllo dei terroristi di al-Nusra, gli stessi che occupano anche Maloula. La maggior parte dei cristiani è già scappata da mesi perché vittima di angherie da parte dei ribelli, che hanno confiscato le loro proprietà. La chiesa dei Santi Sergio e Bacco (nella foto prima della distruzione), una delle due presenti in città, è stata bruciata e demolita dai ribelli, come racconta ad Aina uno dei cristiani fuggiti dalla città.

«TI TAGLIEREMO LA TESTA». La violenza dei jihadisti è stata confermata da un altro cristiano costretto a scappare: «Io sono fuggito ma i ribelli continuano a scrivermi sul cellulare che se tornerò ad al-Tabqah mi taglieranno la testa e la esporranno in moschea, così che tutti i musulmani la vedano e ne siano orgogliosi. Ora non accendo più il cellulare se non quando ne ho strettamente bisogno, per paura di ricevere telefonate da loro». I ribelli hanno anche imposto ai cristiani rimasti di convertirsi all’islam, se non volevano essere cacciati dai posti di lavoro o, peggio, uccisi.
@LeoneGrotti


Siria. Ninar ucciso dai ribelli perché cristiano | Tempi.it

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24/09/2013 11:31
 
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Quirico: «L’Occidente non vuole vedere che ci hanno dichiarato guerra, l’islam moderato non esiste. La Siria è il primo tassello del Grande califfato»

Settembre 24, 2013 

Leone Grotti

Intervista a Domenico Quirico: «La Primavera araba è stata scippata da un’internazionale islamica che ha come scopo quello di ritornare al Grande califfato del sesto secolo»
Domenico Quirico accolto dai colleghi alla sede de "La Stampa" di Torino«Noi non vogliamo capire che l’islam moderato non esiste, che la Primavera araba è finita e che la sua nuova fase consiste nel progetto islamista e jihadista di costruire il Grande califfato islamico. Neanche a dirlo, il principale ostacolo alla sua costruzione siamo noi». Domenico Quirico, inviato della Stampa, rapito in Siria e rimasto nelle mani dei ribelli per cinque mesi, riassume in una grande «dichiarazione di guerra» dell’islam all’Occidente gli attentati in Siria, Pakistan, Nigeria, Egitto e Kenya a cui stiamo assistendo in questi giorni. Domani sera Quirico sarà a Milano per un incontro organizzato dal Cmc e a tempi.it racconta «quello che ci sfugge, perché ci fa comodo far finta di non vedere».

Cos’è che non vogliamo vedere?
Che esiste un jihadismo internazionale che ha dichiarato guerra all’Occidente, strutturato militarmente e con un progetto politico che viene sistematicamente messo in atto in diverse parti del globo.

Qual è il loro obiettivo?
Ricreare il Grande califfato islamico del sesto secolo, che è stato il momento di massima espansione militare e politica dell’islam nel mondo. Allora, andavano dall’Europa all’Asia. È chiaro quindi che il principale ostacolo nella costruzione di questo progetto politico siamo noi.

Ma Al Qaeda non stava perdendo terreno?
Le cose sono cambiate. Al Qaeda oggi propone una sfida molto radicale: costruire uno Stato islamico che faccia da nucleo per un successivo sviluppo militare e politico che inglobi il Medio Oriente, il Maghreb, il Sahel e arrivi fino alla Spagna.

La Spagna?
Sì, è considerata terra musulmana da riconquistare. E tutto questo viene detto con grande chiarezza e sincerità. Non sono trame oscure che si muovono nella testa di qualche nostalgico del Medioevo, è un progetto politico preciso che ha armi, eserciti e soldi. E che si sta realizzando a partire dalla Siria.

In un articolo ha definito l’Occidente «debole e brutale». Perché?
Perché alterniamo una vigliaccheria che ci contraddistingue da decenni a momenti di apparente energia come l’intervento franco-inglese in Libia. Prendiamo la Siria: siamo passati dall’immobilismo, quando intervenire sarebbe stato politicamente intelligente ed eticamente obbligatorio, cioè quando la rivoluzione era ancora laica e democratica e non islamica, a progetti totalmente idioti come quello degli Stati Uniti di Obama di bombardare l’esercito di Assad, dando così ad Al Qaeda l’unica cosa che ancora gli manca: l’aviazione.

Pakistan, Nigeria, Egitto, Kenya: gli attentati terroristici si moltiplicano dovunque.
Questa nuova “internazionale islamica” è in grado di spostarsi su tanti fronti nuovi con grande rapidità.
Perché all’Occidente sfugge questo progetto politico?
Ci sfugge perché ci fa comodo far finta di non capire. Se noi capissimo la natura del problema, dovremmo prendere decisioni pratiche e siccome le classi dirigenti dell’Occidente alternano vigliaccheria a momenti di totale obnubilamento mentale, ci attacchiamo come ostriche allo scoglio di questa illusione adatta per i conventi e i salotti televisivi.

Che tipo di illusione?
Quella secondo cui l’islam radicale sarebbe un’appendice secondaria di pochi pazzi che girano il mondo per esercitare la loro follia mentre invece l’islam è tollerante, illuminista, pronto ad accogliere le novità che gli porge l’Occidente come internet o Facebook. E noi non ci accorgiamo che invece l’islam moderato ed educato che ci piace tanto è una piccola percentuale di élites collegate all’Occidente. Mentre la maggioranza è un’altra cosa.

Parla per esperienza personale?
I signori che ho incontrato in Siria erano tutti giovani ragazzi, certamente non folli di Dio che stavano tutto il giorno a salmodiare nelle moschee, ma che sapevano fare la guerra e avevano un progetto politico preciso.

Eppure la cosiddetta Primavera araba aveva suscitato grandi speranze.
La Primavera araba è un periodo che i giornalisti possono ormai consegnare agli storici. È definitivamente tramontata. Siamo in una seconda fase che deriva dalla Primavera araba ma che non è più quella dei giovani di piazza Tahrir o di Avenue Bourghiba. L’islamismo ha raccolto il loro testimone e intelligentemente ha preso l’eredità di qualche cosa che non ha contribuito a costruire, perché bisogna ricordare che gli islamici non hanno partecipato alle rivoluzioni né in Egitto, né in Tunisia né tantomeno in Libia o in Siria.

Ora invece?
Ora invece Al Qaeda è la forza maggiore e meglio armata sul territorio e ha cancellato il Free Syrian Army, che raggruppava i rivoluzionari veri. Oggi la Primavera araba si è trasformata nel progetto del Califfato, anche per colpa dei governi occidentali che prima hanno sostenuto le dittature e poi sono stati sorpresi dal movimento rivoluzionario e hanno cercato di fare una conversione ipocrita di 360 gradi.

Assad è un brutale dittatore, i ribelli hanno dimostrato di non poter garantire un futuro democratico alla Siria. Che cosa può fare adesso l’Occidente?
Non credo che ora sia possibile e intelligente dal punto di vista politico intervenire in alcun modo in Siria. Il regime è inaccettabile, mentre la nuova rivoluzione non è altro se non jihaidsimo e banditismo, perché ci sono gruppi di criminali che non hanno alcuna ideologia se non quella di riempirsi le saccoccie con estorsioni. Bisogna vedere se il regime avrà le forze necessarie per contenere lo jihadismo, che è ancora possibile.

Ma i ribelli non stanno avanzando?
I giornali scrivono curiose storie sul fatto che la rivoluzione avanza ovunque, ma la verità è che Assad controlla ancora le grandi città e finché è così resisterà, anche grazie ai suoi potenti appoggi internazionali.

Lei ha detto che l’islam moderato non esiste: un’affermazione molto poco politically correct.
Noi vogliamo credere all’islam moderato. Io ho girato tutte le rivoluzioni arabe dal 2011 ad oggi. Quando facevo il corrispondente da Parigi ho trovato moltissimi islamisti moderati che possono andare in televisione a fare dibattiti strappando applausi e facendo commuovere la platea. Poi sono andato sul terreno e ho trovato ben altra realtà. In fondo, è come il bolscevismo.

Cioè?
Ha mai conosciuto un bolscevico moderato? No, perché non esiste in natura. Uguale per l’islam.

Un islamista moderato non può esistere?
Esatto, perché l’islam è una religione totalizzante e guerriera. Dobbiamo dirlo chiaro: è nata con le guerre di Maometto e ha nella lotta e nella conversione uno dei principi fondamentali del suo esistere. Anche quando diventasse una religione moderata e illuminista non sarebbe più islam, ma un’altra cosa.

@LeoneGrotti


Quirico: «Occidente capisca che l'islam moderato non c'è» | Tempi.it
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03/10/2013 16:52
 
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STRAGI DI CRISTIANI NEL MONDO

Un'emergenza dimenticata



Pochi giorni fa, il sociologo Massimo Introvigne, oggi responsabile dell’Osservatorio sulla libertà religiosa del ministero degli Esteri, ha ricordato dai microfoni di Radio Vaticana che quest’anno sono stati 105.000, uno ogni 5 minuti, i cristiani di ogni confessione uccisi nel mondo per la loro fede. Introvigne ha spiegato anche che «la persecuzione dei cristiani è oggi la prima emergenza mondiale in materia di violenza e discriminazione religiosa».

Vi furono reazioni di incredulità se non di rifiuto nel 2011, quando il sociologo Massimo Introvigne, in un convegno internazionale a Budapest organizzato della Comunità Europea, ricordò che in media, ogni anno, erano oltre 100.000 i cristiani di ogni confessione uccisi nel mondo per la loro fede. Introvigne parlava come rappresentante italiano dell'Osce, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ma anche come esperto tra i più autorevoli, in quanto fondatore e direttore del Cesnur, il Centro studi sulle nuove religioni, e autore di molti studi scientifici.



A coloro che lo contestavano, Introvigne replicò con il consueto scrupolo accademico, indicando le fonti inoppugnabili da cui risultava che, la cifra anche se sbagliata, lo era per difetto. Per prudenza, lo studioso torinese aveva in effetti diminuito il numero delle vittime che, secondo alcuni istituti di ricerca, è in realtà maggiore. Al termine della confutazione di coloro che respingevano le sue cifre osservava: «In queste reazioni di rifiuto c'è già di per sé una lezione: si sottovaluta talmente il problema dei cristiani perseguitati che i numeri - quando sono esattamente citati, in tutto il loro orrore - a molti europei e americani sembrano incredibili».

Pochi giorni fa, in occasione della ricorrenza di santo Stefano «protomartire», cioè primo martire cristiano, lapidato dagli ebrei di Gerusalemme perché annunciava la risurrezione di Gesù, Introvigne ha ricordato dai microfoni della Radio Vaticana i dati per l'anno che sta finendo: 105.000 morti, uno ogni cinque minuti. Stando alle ricerche più sicure, il 10 per cento dei due miliardi di cristiani - dunque 200 milioni di persone, quasi tutte in Africa e in Asia - soffrono a causa della loro religione. In tal modo, ha continuato Introvigne, ora responsabile dell'Osservatorio sulla libertà religiosa presso il ministero degli Esteri, «la persecuzione dei cristiani è oggi la prima emergenza mondiale in materia di violenza e discriminazione religiosa. Non vi è alcuna altra fede che sia così combattuta, sino al tentativo di genocidio in massa dei suoi aderenti».

In Europa e in America si continua a rimproverare ai credenti, soprattutto ai cattolici, un passato remoto di inquisizioni, di intolleranza, di crociate, di censure: nel frattempo (al di là del carattere antistorico di molte di queste accuse) si stenta a credere che oggi proprio la semplice fede nel Vangelo possa essere causa di rischio troppo spesso mortale. E oggi il Papa è praticamente solo a denunciare la mancanza di libertà religiosa difendendo non solo i cristiani ma i credenti in qualunque fede. «Questa libertà» ha ripetuto anche di recente Benedetto XVI, seguendo le orme del suo predecessore «non riguarda certo ogni cristiano ma ogni uomo, è un diritto che va riconosciuto come diritto naturale, quale che sia la propria prospettiva religiosa». Il Papa ha ricordato che molti Paesi, soprattutto musulmani, si difendono dalle accuse sostenendo che da loro è riconosciuta libertà di culto. Ma libertà vera non c'è, replica Benedetto XVI, quando ai cristiani è permesso soltanto di celebrare le loro liturgie nel chiuso delle chiese (in Arabia Saudita anche questo è proibito) mentre è rigorosamente vietato manifestare in pubblico la propria fede. Non c'è libertà quando il mostrare una croce sul tetto di una chiesa o appesa a una collanina significa essere aggrediti e, spesso, arrestati. Non c'è di certo libertà quando si arriva addirittura alla pena di morte per coloro che scegliessero il battesimo, in contrasto con la religione di Stato. Tre sono oggi gli «ambienti» principali di persecuzione. Vi è quanto resta di comunismo (o presunto tale): in Cina, dove la sola militanza a stento tollerata è quella nella Chiesa «patriottica», cioè quella creata e sorvegliata dal regime, che nomina persino i vescovi; nella Corea del Nord che, stando agli osservatori, «è probabilmente in assoluto il luogo dove è più pericoloso dirsi cristiani»; a Cuba, dove il castrismo ormai moribondo alterna momenti di tolleranza e di intolleranza.

Vi sono poi i nazionalismi etnici, le tradizioni «razziali» che suscitano periodiche esplosioni di furore persecutorio proprio tra coloro che, stando alla «leggenda rosa» occidentale, sarebbero campioni di tolleranza e di accoglienza: induisti e buddisti. Infine, vi è l'oceano islamico che circonda i tropici, dove le rare zone di relativa tranquillità e di quasi eguaglianza per i cristiani sono state cancellate dalla rinascita di un estremismo che (spesso con l'aiuto di Europa e Usa: vedasi Medio Oriente e Africa del Nord) ha travolto governi e culture che tentavano di mettere in atto una lettura del Corano più pacifica e aperta. Un'altra zona di persecuzione sanguinaria dovrebbe essere aggiunta: l'Africa nera, dove le autorità statali sono spesso evanescenti e impotenti, travolte da un caos di continui scontri tra tribù ed etnie e dove la caccia al cristiano è tra i passatempi preferiti da bande di irregolari, di predoni, di discepoli fanatici di stregoni. Rimedi? Ben difficile, forse impossibile suggerirne, vista la vastità, la profondità e insieme la diversità di ciò che istiga all'odio e alla strage nei confronti di chi crede nel Vangelo. Va comunque osservato che ormai da più di due secoli i cristiani si trovano solo e sempre dalla parte dei perseguitati, mai da quella dei persecutori. Va pur detto, con la necessaria umiltà e, insieme, con verità: in tanta tragedia è, questo, un segno di nobiltà spirituale. Nessuno che opprima o uccida potrà mai trovare una istigazione o una approvazione nel Vangelo.

Vittorio Messori
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07/10/2013 08:01
 
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NOI, CRISTIANI SENZA PATRIA.
Il lungo calvario della Chiesa cominciato con la fine della Primavera araba

Ottobre 6, 2013
Leone Grotti
Nigeria, Siria, Indonesia, Marocco, Pakistan. In poco più di un mese sono centinaia le vittime dei terroristi, le chiese bruciate, i fedeli in fuga

Nigeria. L’intensificarsi degli attacchi di Boko Haram, terroristi che hanno come obiettivo la cacciata dei cristiani dal nord del paese e la formazione di uno Stato islamico retto dalla sharia, ha causato quasi 500 vittime in un solo mese tra attentati a chiese, scuole, uffici governativi e omicidi di semplici civili. Siria. Altre due chiese sono state bruciate dai guerriglieri legati ad al Qaeda nella città di Raqqa, ormai diventata un vero e proprio califfato, mentre i cristiani di al Tabqah sono stati costretti a fuggire dagli islamisti, che li minacciavano così: «Vi taglieremo la testa e la esporremo in moschea».

Indonesia. Un pastore protestante e quattro cristiani sono stati arrestati per «proselitismo» mentre folle di estremisti hanno impedito l’apertura di due chiese autorizzate dallo Stato. Marocco. Un giovane è stato condannato a due anni e sei mesi di prigione per essersi convertito dall’islam al cristianesimo. Pakistan. Almeno 85 fedeli sono stati uccisi dai talebani all’uscita della chiesa di Tutti i santi, dove al termine della funzione due kamikaze si sono fatti esplodere tra la folla.

Settembre è stato un mese nero per i cristiani perseguitati, colpiti in tutto il mondo dal terrorismo di matrice islamica. «Siamo addolorati per uno degli attacchi più gravi e mortali nella storia della Chiesa pakistana», ha dichiarato nei giorni scorsi l’arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale pakistana Joseph Coutts. «Uccidere innocenti in un momento di preghiera è un vergognoso atto di codardia. Al governo chiediamo di prendere misure immediate per arrestare i responsabili e proteggere i luoghi di culto, ai fedeli domandiamo di restare calmi e di non cedere alla tentazione di reazioni violente».

Sull’attentato del 22 settembre è intervenuto da Londra anche l’arcivescovo anglicano di Canterbury Justin Welby: «L’apparenza spesso inganna, io credo che i cristiani siano attaccati semplicemente per la loro fede. Non è sbagliato dire, specie per i morti di Peshawar, che abbiamo visto più di 80 martiri negli ultimi giorni». Sono stati attaccati, continua, «perché stavano testimoniando la loro fede in Gesù Cristo andando in chiesa».

Le condanne all’attentato non sono mancate, anche da parte musulmana. Maulana Tariq Shah, studioso musulmano di Peshawar, ha ricordato che «l’islam ci insegna a proteggere le minoranze. Questo atto è una barbarie»; Hafeez Nauman Kadir, membro dell’Islamic Ideology Council, ha espresso vicinanza «ai nostri fratelli e sorelle cristiani colpiti da terroristi che non hanno alcuna religione»; Suhail Lokhandwala, leader islamico della vicina India, ha detto che «come seguace del profeta Maometto e devoto ad Allah voglio ricordare che il vero islam non sostiene alcun tipo di violenza, chi compie attentati simili non ha religione. Ovunque l’islam rappresenta la maggioranza deve proteggere le minoranze».

La violenza di Boko Haram
Ma Samir Khalil Samir, padre gesuita, tra i maggiori studiosi del pensiero arabo cristiano e dell’islam, in un articolo scritto per AsiaNews sottolinea: «Non è corretto dire che “i terroristi non hanno alcuna religione”. (…) Essi si dichiarano islamici. Anzi, pretendono di essere i veri islamici, che applicano fedelmente la sharia. Purtroppo, i musulmani moderati, quasi per una mania, cercano di annacquare tutto, allontanando le critiche dalla loro religione. (…) Io vorrei credere loro, ma domando: cosa state facendo per combattere questo falso islam? Ogni settimana ci sono nuovi gruppi fondamentalisti che nascono retti dagli imam che li guidano e li appoggiano nell’usare la violenza contro i cristiani o contro un gruppo musulmano o contro i miscredenti. La maggioranza dei musulmani dice: “Questo non è vero islam!”. Allora occorre lottare contro questa falsità, occorre dare indicazioni precise, chiedere alla polizia di fermare i massacri».

Nella grande maggioranza dei casi niente di tutto ciò avviene. Per questo l’arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale nigeriana, Ignatius Kaigama, accusa: «Boko Haram non è più un fenomeno locale. Non siamo più di fronte, come qualche anno fa, a gruppi di guerriglieri armati solo di archi e frecce, ma dobbiamo affrontare un’organizzazione ben finanziata. Le nostre autorità devono identificare da dove provengono i fondi e le armi che alimentano Boko Haram e dove i suoi uomini vengono addestrati. Sfortunatamente questo non è ancora accaduto e i terroristi continuano a provocare lutti e sofferenze, imbarazzando le autorità del nostro paese».

L’instabilità in Medio Oriente
Lo stesso avviene in Pakistan, come spiega il vescovo protestante di Peshawar Humphrey Peters: «I cristiani fanno bene a essere spaventati. Possono essere accusati e incriminati con la legge discriminatoria sulla blasfemia, come accaduto ad Asia Bibi, o essere uccisi, come successo al ministro cattolico Shahbaz Bhatti e al governatore musulmano Salman Taseer, solo perché hanno cercato di difenderla». E per cambiare questa situazione le belle parole di condanna del primo ministro Nawaz Sharif non bastano: «Tutti vengono qui a dire quanto gli dispiace ma bisogna fare qualcosa di più. Nessuno viene mai incriminato per gli attentati ai cristiani in Pakistan». L’instabilità crescente in Medio Oriente, Asia e Nord Africa ha fatto salire un coro unanime di condanna nei confronti della cosiddetta “Primavera araba”, che nata da desideri autentici di libertà e dignità, «si è trasformata in inverno, in ferro e fuoco, in stragi e distruzioni, proprio quando i popoli aspiravano a una nuova vita e a delle riforme, nell’universo della globalizzazione».

La dolorosa conclusione del Consiglio dei patriarchi cattolici d’Oriente, riunitosi in Libano lo scorso 27 settembre, viene confermata nella sostanza da un’intervista di Domenico Quirico a tempi.it: «Noi non vogliamo capire che l’islam moderato non esiste, che la Primavera araba è finita e che la sua nuova fase consiste nel progetto islamista e jihadista di costruire il Grande califfato islamico. Un progetto politico preciso che ha armi, eserciti, soldi e che si sta realizzando a partire dalla Siria». Qui, a Raqqa, i guerriglieri qaedisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante sono entrati nella chiesa greco-cattolica di Nostra signora dell’Annunciazione e hanno bruciato tutti i paramenti religiosi. La stessa cosa hanno fatto nella chiesa cattolico-armena dei martiri, dove hanno anche distrutto la croce che si stagliava sopra la torre, rimpiazzandola con la bandiera che recita la professione di fede islamica: «Non c’è altro Dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo messaggero».

Ad al Taqbah la popolazione cristiana è stata costretta a fuggire e Ninar Odisho, rimasto per difendere le sue proprietà, è stato picchiato a morte lo scorso 21 settembre dai terroristi di al Nusra perché cristiano. A volte non basta neanche scappare, come racconta un testimone: «Io sono fuggito ma i ribelli continuano a scrivermi sul cellulare che se tornerò mi taglieranno la testa e la esporranno in moschea, così che tutti i musulmani la vedano e ne siano orgogliosi. Ora non accendo più il cellulare se non quando ne ho strettamente bisogno, per paura di ricevere telefonate da loro».

Peggiora la condizione di Maloula, l’antico villaggio cristiano conquistato da al Qaeda. Lo scorso 24 settembre il patriarcato greco-ortodosso di Antiochia ha lanciato un «appello urgente» perché «la Croce rossa siriana e internazionale e tutte le organizzazioni governative e non» soccorrano le suore e le orfanelle rimaste intrappolate nel monastero di Santa Tecla in mano ai ribelli. «Si trova in mezzo all’infuriare della battaglia e questo rende difficile e pericoloso ottenere rifornimenti per sopravvivere – recita l’appello –. Il generatore elettrico non funziona più e il convento non riceve più acqua minacciando le vite di chi ci abita ancora».

«Quanti pregano per i fratelli?»
In questa situazione prendono sempre più corpo le parole pronunciate a inizio anno da Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme: «In passato io dicevo che noi di Gerusalemme siamo la Chiesa del calvario, ma ormai tutto il Medio Oriente è Chiesa del calvario. La cosa peggiore, soprattutto in Siria, è l’incognita di quello che verrà dopo. C’è un piano internazionale per cambiare la situazione, ma su ciò che verrà dopo c’è sempre un silenzio totale. Sarà peggio? Non lo so… C’è l’esempio dell’Iraq, dell’Egitto… La mia domanda, che non è bella, è: ma se capita qualche cosa anche in Giordania, dove vanno questi cristiani? In Arabia Saudita? Dove andiamo?».

La scomparsa dal Medio Oriente dei cristiani sarebbe una tragedia perché «oggi più che mai questa regione ha bisogno del Vangelo di Gesù, quello della pace, della verità, della fraternità e della giustizia», affermano i patriarchi cattolici d’Oriente. «Se il mondo perde il Vangelo, conoscerà una situazione di distruzione, come quella che noi viviamo oggi».

Ecco perché la condizione dei cristiani in Medio Oriente riguarda tutti e non a caso lo scorso 25 settembre, durante l’udienza generale a piazza San Pietro, Papa Francesco ha detto: «Quando sentiamo dire che tanti cristiani sono perseguitati e danno la vita per la loro fede, il nostro cuore viene toccato o no? Siamo aperti a quel fratello o a quella sorella che sta dando la vita per Gesù Cristo? Quanti di voi pregano per i cristiani che sono perseguitati? Quanti? Ognuno risponda nel suo cuore: “Io prego per quel fratello, per quella sorella in difficoltà solo perché difende la sua fede?”. È importante guardare fuori dal proprio recinto, sentirsi Chiesa, unica famiglia di Dio!».
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09/10/2013 12:15
 
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Un cristiano del Pakistan:
«perdono i kamikaze»

Attentato pakistanEnnesimo attentato in Pakistan contro le chiese cristiane, questa volta, domenica 22 settembre, è stata attaccata dai talebani la chiesa di Peshawar durante la Messa uccidendo 85 vite e ferendo 140 persone.

“Il Sussidiario” ha intervistato Z.Y., cristiano pakistano di 21 anni, che era uscito da Messa pochi istanti prima che due kamikaze si facessero esplodere in chiesa.

«Mi trovavo all’esterno», ha raccontato, «ho visto le due esplosioni provocate da altrettanti kamikaze. Ho visto bene in viso i due terroristi, erano due uomini giovani. Quando i due ordigni sono deflagrati mi sono trovato circondato da persone agonizzanti che gridavano chiedendo aiuto, riverse a terra davanti a me, e nei muri della chiesa c’erano dei grossi buchi da cui si vedeva l’interno della navata».

«Non c’è nessuna legge che protegge i cristiani», ha spiegato Z.Y., tuttavia «non ho paura di andare a Messa e non l’avrò mai in futuro. Quando un terrorista ti lancia una bomba addosso ti uccide, ma quando hai paura è come se fossi tu a ucciderti da solo. Per questo motivo noi cristiani pakistani non possiamo permetterci di avere paura. Non temo per me stesso, ma ho paura per i miei familiari e per la comunità cristiana della mia città, e soffro molto per il fatto di non potere vivere liberamente la mia religione. Nella fede trovo però la forza per affrontare tutto ciò».

Nell’attentato ha perso 13 parenti tra zii e cugini, anche bambini, e numerosi amici. «Ciò di cui abbiamo bisogno è di maggiore sicurezza e di medicine per le persone ferite. I Paesi occidentali hanno risorse che spesso vanno sprecate e che potrebbero essere utilizzate per aiutarci. Qui in Pakistan c’è bisogno del vostro sostegno».

Nonostante tutto, ha concluso, non ha esitato a perdonare i due kamikaze «perché Gesù Cristo ci ha insegnato a perdonarli in quanto non sanno quello che fanno».

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13/10/2013 07:43
 
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NIGERIA, UN COLPO DI MACHETE HA FERMATO ''MAMMA AFRICA''
Morta la missionaria italiana Afra Martinelli che portava l’istruzione nella foresta

GIACOMO GALEAZZI

L’arcivescovo di Ibadan, Felix Job le aveva affidato un compito degno di Madre Teresa: «garantire il diritto allo studio» nel disastrato Delta del Niger. Il sogno di far rinascere una regione martoriata è finito in una di quelle tragedie per cui papa Francesco nel viaggio a Cagliari ha invocato l’aiuto di Dio. Una violenza inaudita ha spezzato una missione a metà tra cielo e terra. Massacrata a colpi di machete alla testa è morta dopo dodici giorni di agonia. Afra Martinelli, 78 anni, missionaria originaria della provincia di Brescia.


«Il Pontefice segue con angoscia la vicenda di chi per amore degli altri ha sacrificato la sua vita: questo è il momento del dolore e della preghiera», spiega il portavoce vaticano padre Federico Lombardi. La Segreteria di Stato raccoglie attraverso diocesi e nunziature le informazioni sul martirio dei cristiani nel Terzo Mondo.

Il Papa ha messo le «periferie» e le missioni al centro della Chiesa universale. «Quel che accade a chi predica nel mondo il Vangelo della misericordia è la preoccupazione prioritaria del Pontefice», sottolinea padre Lombardi. La «maestra degli ultimi» non ha retto alle gravi ferite riportate due settimane fa nel corso di una rapina nella sua abitazione a Oguashi-Ukwu, 30mila abitanti a 400 chilometri da Lagos in Nigeria. Si è spenta per un atto di «criminalità comune» nella terra che da anni vede scorrere sangue dei martiri cristiani del fondamentalismo islamici.

«Gestiva una scuola e tutto fa pensare che l’abbiano uccisa per rubare nella struttura - osserva padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia missionaria Asianews -. Tanti nelle missioni muoiono come lei. Nella casa dei missionari i banditi sanno di trovare qualcosa di più di quello che hanno nella propria. E sanno che sono indifesi, senza armi». La notte del 26 settembre «Mamma Afra» è stata aggredita nella sua abitazione.


I suoi 18 collaboratori del Centro Regina Mundi l’hanno trovata la mattina seguente riversa in una pozza di sangue e con una ferita alla nuca. Era ancora viva, ma le sue condizioni erano apparse da subito gravissime.

«Volevano attribuirle la cittadinanza onoraria ma lei era contraria, diceva di non aver fatto nulla - racconta il fratello Enrico Martinelli -. Da quando era stata chiamata nel Paese africano dal vescovo di Ibadan, Afra continuava a ottenere riconoscimenti». Un piccolo miracolo lo aveva già compiuto. Una struttura che ospita ragazzi e ragazze, dove c’è una scuola di informatica e un collegio per chi viene da lontano e non può tornare a casa ogni giorno.

Era persino riuscita a raccogliere le offerte per un generatore, un bene raro e prezioso nel sud della Nigeria ricco di petrolio ma ostaggio di povertà e bande criminali.

«Non aveva paura - aggiunge il fratello Enrico - ma solo tanta voglia di condividere; con i cristiani, che nel Delta del Niger sono maggioranza, con gli animisti e i fedeli di altre religioni tradizionali». La scia di sangue nei confronti dei cristiani nel mondo è lunga. Nel solo 2012 si stima che ne siano stati uccisi 105mila, secondo i dati dell’Osservatorio della libertà religiosa. La Nigeria non è nuova a episodi di violenza interreligiosa.

A essere particolarmente colpite sono soprattutto le regioni del nord-est, dove da anni detta legge il gruppo fondamentalista islamico dei Boko Haram, che contesta l’educazione occidentale e vuole imporre la Sharia (legge islamica). Nelle aree centrali del Paese - regioni che dividono il nord a maggioranza musulmano dal sud cristiano e animista - sono più frequenti episodi di microcriminalità o conflitti interetnici provocati da rivalità legate al controllo della terra e del bestiame. Il sud del Paese è stato spesso teatro di attacchi, condotti da gruppi armati, contro multinazionali del petrolio.

In queste aree sono poco diffuse le violenze interconfessionali e le attività terroristiche degli jihadisti. Sia «in odium fidei» o per il coraggio di restare dove tutti scappano, «Mamma Afra» è già tra i martiri disarmati di una Chiesa che attraverso associazioni e istituzioni benefiche propone la «civiltà dell’amore» come alternativa alla «strumentalizzazione del finto dio della violenza» alla "globalizzazione dell'indifferenza"


vatican insider




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07/11/2013 08:31
 
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CENTRAFRCA. PER SCAPPARE DAI RIBELLI ISLAMISTI, SEIMILA PERSONE SI RIFUGIANO NELLA CATTEDRALE DI BOUAR 

Novembre 5, 2013 
Leone Grotti

La stessa situazione si vive a Bossangoa, dove più di 35 mila cristiani hanno trovato rifugio nella locale missione cattolica

Più di seimila persone si sono rifugiate nella cattedrale di Bouar nella Repubblica Centrafricana per paura di essere uccise dai ribelli della coalizione Seleka. Lo scorso 27 ottobre alcuni ribelli, che si sono macchiati in tutto il paese di persecuzioni anticristiane, saccheggi, ruberie e torture, sono stati attaccati a Bouar da gruppi spontanei di autodifesa chiamati “Antibalaka”. Per sfuggire dai combattimenti, la gente ha cercato rifugio nelle parrocchie di Fatima, San Lorenzo e appunto la Cattedrale.

RISCHIOSO TORNARE A CASA. «Non è un problema politico, le persone che hanno attaccato i ribelli sono disperati che hanno visto le loro case bruciate, amici e familiari uccisi e i loro beni rubati», racconta a Fides padre Aurelio Gazzera. Il missionario ha visitato la cattedrale pochi giorni fa: «È impressionante vedere tutta questa gente conservare la calma e allo stesso tempo darsi da fare. Ma rimane la preoccupazione di un ritorno a casa che non è privo di rischi».

MISSIONE CATTOLICA STRAPIENA. La stessa situazione si vive a Bossangoa, città natale del presidente deposto Francois Boizizé, che lo scorso 24 marzo è stato costretto alla fuga da un colpo di Stato guidato dal musulmano Michel Djotodia e da una coalizione di ribelli Seleka, soprattutto stranieri e musulmani nel paese a maggioranza cristiano. Come riporta la BBC se la città è deserta, la missione cattolica è strapiena di gente. Più di 35 mila cristiani hanno trovato rifugio qui dopo che le loro case sono state assaltate dagli islamisti.

CRISTIANI PERSEGUITATI. La missione cattolica accoglie migliaia di persone nuove ogni settimana e la gente ha paura di lasciarla anche se le loro cose si trovano a pochi metri di distanza. Tutti i cristiani sono identificati con gli “antibalaka” e rischiano la vita se vengono trovati dai ribelli. Le forze dispiegate nel paese dall’Unione Africana e dalle Nazioni Unite non bastano a riportare alla normalità la situazione e tutti nella missione cattolica di Bossangoa hanno una storia da raccontare fatta di familiari uccisi e case distrutte, spesso solo perché cristiani.

Tempi.it
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15/11/2013 17:37
 
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CRISTIANI IN EGITTO: LA PIAGA DEI RAPIMENTI r
A Minya il calvario dei cristiani copti: più di ottanta le persone rapite. Dottori e farmacisti i bersagli preferiti

MARCO TOSATTI
ROMA
L’arresto di Morsi, e la stretta sui Fratelli musulmani ha avuto come una delle conseguenze collaterali il moltiplicarsi di attacchi contro i cristiani copti, facile bersaglio per i radicali islamici alla ricerca di un capro espiatorio indifeso. Negli ultimi mesi circa 80 chiese sono state attaccate e spesso date alle fiamme, prima che le forze dell’ordine siano riuscite a riprendere il controllo della situazione.

Ed è la regione di Minya, nell’Alto Egitto, dove vive una larga minoranza copto-cristiana, quella più colpita dalla violenza islamica. Secondo fonti della regione, almeno venti fra chiese, scuole e altre istituzioni cristiane sono state attaccate e date alle fiamme. Persino gli orfanotrofi sono stati il bersaglio di folle di radicali islamici, saccheggiati e poi bruciati, nel tentativo di cancellare la presenza cristiana dalla regione. Esemplare il caso della chiesa di Tadros e-Shabti. I sostenitori di Morsi hanno preso a bersaglio due case per bambini disabili, situate vicino alla chiesa parrocchiale. Dopo aver rubato le offerte, i vestiti e persino i giochi dei bambini hanno appiccato un incendio che è durato oltre cinque ore.

Gli attacchi hanno provocato vittime fra la popolazione copta; e hanno impedito in molti casi la celebrazione delle liturgie. Persino al monastero della Vergine Maria, a cui i radicali hanno cercato di dare fuoco, per la prima volta in 1600 anni di vita una domenica non si sono svolte le liturgie abituali. In almeno un caso – la chiesa Evangelica del villaggio di Bedin – un edificio cristiano è stato trasformato a forza in una moschea.

L’Associated Press ha riportato che dopo aver dato fuoco a una scuola francescana, gli isslamici hanno fatto sfilare per le strade come prigioniere di guerra tre suore, prima che una musulmana offrisse loro rifugio. Alte due donne che lavoravano nella scuola sono state aggredite e molestate mentre cercavano di scappare attraverso la folla.

I copti e le altre minoranze cristiane sono sbalorditi dall’appoggio che i Fratelli musulmani godono nei media anglosassoni e occidentali in genere. La Chiesa Copta ha criticato “la falsa rappresentazione dei fatti sui media occidentali”, e ha chiesto che si facesse un esame delle azioni “delle organizzazioni radicali assetate di sangue…piuttosto che dare loro legittimità con un appoggio globale e una copertura politica, mentre tentano di creare il caos e la distruzione sulla nostra amata terra”, e i fatti fossero riportati “accuratamente e in maniera veridica”.


Ma a fianco della violenza politica islamica contro i cristiani si è aggiunta un’altra forma di violenza, spesso mescolata alla prima, e cioè quella dei rapimenti dietro pagamento di riscatto. Quasi cento cristiani sono stati rapiti nell’Alto Egitto, e liberati dopo il pagamento di un riscatto da parte delle famiglie, da quanto è iniziato la cosiddetta “Primavera araba”, con la caduta del regime di Hosni Mubarak.

E ancora una volta è la provincia di Minya ha detenere il poco onorabile primato. Più di ottanta persone, tutte copte, sono state rapite nella regione. E sia le vittime che gli attivisti dei diritti umani che le personalità della Chiesa accusano le autorità, e in particolare la polizia di fare poco o niente per reprimere questo fenomeno drammatico.

Tanto da spinere il vescovo Makarios, l’autorità spirituale copta più alta a Minya, a uscire con una dichiarazione pubblica. “Anche se alcuni musulmani dicono che la Chiesa non deve avere un ruolo negli affari politici, e non dovrebbe interferire perché non è il nostro ruolo, la verità è che lo Stato non fa il suo dovere, i membri della Chiesa sono danneggiati e spingono la Chiesa a intervenire. Se lo Stato facesse quello che deve, nessuno parlerebbe”.

Minya ormai viene chiamata la “capitale dei rapimenti. E dal momento che i dottori e i farmacisti cristiani sono diventati il bersaglio preferito dei rapitori, alcune comunità rurali si sono trovate senza assistenza medica. Infatti i medici temono di avventurarsi su strade deserte lontane dalla città, dove è più alto il rischio che avvengano imboscate. E anche questo genere di crimine ha conosciuto un’impennata dopo la caduta di Morsi, segno evidente di un legame con la situazione politica venutasi a creare nel Paese.

vatican insider
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30/11/2013 08:57
 
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ASIA/SIRIA -
Un parroco: “L’esodo dei civili cristiani da Qara, invasa da jihadisti stranieri”

Damasco (Agenzia Fides) –

I villaggi, cristiani e non, a Nord di Damasco, nel massiccio del Qalamoun, sono nel mirino di gruppi armati di jihadsiti stranieri che li stanno rastrellando, portando solo morte e distruzione. Lo racconta all’Agenzia Fides p. George Louis, parroco greco-cattolico della Chiesa di San Michele a Qara, che è stata devastata e bruciata. Il sacerdote spiega: “Maalula, Sednaya, Sadad, poi Qara e Deir Atieh, ora Nebek: i jihadisti armati applicano un medesimo modello: prendono di mira un villaggio, lo invadono, uccidono, bruciano devastano. Per i civili, cristiani e non, la vita è sempre più difficile. I miliziani stranieri agiscono fuori controllo dei nostri compatrioti siriani dell’Esercito Libero Siriano (FSA), che invece sono rispettosi di tutti, e che non vogliono radere al suolo l’intero paese. Ma questi, purtroppo, in tanti casi hanno dovuto ritirasi di fronte ai gruppi armati stranieri”.
P. Louis racconta quanto avvenuto a Qara fra il 16 e il 20 novembre. Da mesi il villaggio viveva in un particolare “status quo”, in un regime di “semiautonomia”, con il tacito accordo fra i siriani del FSA e l’esercito regolare. Non vi era conflitto, pur essendo la cittadina sotto controllo del FSA. Lo stato intanto continuava a fornire elettricità, acqua e servizi alla popolazione.
L’equilibrio è saltato, racconta p. George, quando “il 16 novembre, oltre 3.000 jihadisti calati dal villaggio sunnita di Arsal, piattaforma dei gruppi armati che penetrano in Siria attraverso il Libano, sono penetrati nel villaggio, trasformandolo in campo di battaglia. I soldati del FSA, in minoranza, si sono ritirati. La gente ha cominciato a fuggire. Circa 6.000 cittadini sono fuggiti immediatamente verso città e villaggi vicini”. Ma la comunità cristiana di Qara, raccolta nel centro storico, non voleva muoversi. Il prete racconta a Fides: “Sono iniziati lanci di razzi contro le case e per le strade. Con circa 35 famiglie cristiane. ci siamo rifugiati in chiesa a pregare. Il cancello della chiesa è stato colpito ed è saltato. Sono entrati combattenti armati a viso coperto, capelli lunghi, non siriani, non si capiva di quale nazionalità. Hanno detto: vogliamo uccidervi tutti, cani cristiani. E bruceremo questo luogo idolatrico”. A quel punto, uno dei parrocchiani , Emile, parlando in arabo, ha iniziato con coraggio a parlamentare con il capo del gruppo, citando versetti del Corano, dicendo che l’islam rispetta i cristiani e le altre minoranze. “L’uomo ha risposto che avrebbe chiesto al suo capo, per decidere la nostra sorte e conduce i suoi uomini fuori dall’edificio”, prosegue p. George. Nel frattempo il sacerdote e i fedeli escono dalla chiesa da un’uscita secondaria, e tutti fuggono nei vicoli del centro storico. Si dirigono sull’autostrada e si uniscono ad altri profughi, raggiungendo il villaggio di Der Atieh. Qui ricevono calorosa ospitalità dai cristiani locali, di altre confessioni: il parroco e i fedeli greco-ortodossi li accolgono con grande generosità. Intanto anche Der Atieh finisce nel mirino dei jihadisti (vedi Fides 25/11/2013). I miliziani iniziano una “caccia all’uomo” e tengono i cristiani in ostaggio. “Ci siamo nascosti negli scantinati per 4 giorni e 4 notti, senza acqua, cibo, elettricità”, racconta p. Louis. “Dopo una notte di preghiera, abbiamo deciso di tentare la fuga. Alle 5 del mattino, siamo riusciti a uscire dal viaggio. Con una marcia forzata di sei ore, in gravi condizioni di percolo, siamo giunti a Sadad, altra città martirizzata (vedi Fides 31/10/2013). L’Arcivescovo Selwanos Boutros Alnemeh e i fedeli che sono rientrati in città ci hanno accolto con amore e benevolenza”.
Intanto a Qara la situazione è drammatica. Dopo giorni di combattimenti, vi sono macerie dappertutto. Molte case e strade sono state minate con esplosivi. La Chiesa greco cattolica di San Michele è stata devastata e bruciata. Altre chiese cattoliche ortodosse a Der Athie hanno subito la stessa sorte, come alcune moschee: è un monito ai musulmani moderati.
P. George precisa: “Questi sono combattenti stranieri estremisti, che vogliono solo seminare odio e violenza settaria, distruzione indiscriminata, del tutto privi di rispetto verso i civili. Non sono nel FSA. A noi non resta altro che pregare. In questo esodo, abbiamo provato la bella esperienza di solidarietà e affetto fra cristiani cattolici e ortodossi”.

(PA) Agenzia Fides 28/11/2013)
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17/12/2013 12:09
 
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SIRIA, DUEMILA CRISTIANI IN OSTAGGIO A KANAYE: «DEVONO CONVERTIRSI ALL'ISLAM PER NON ESSERE UCCISI»
 <br /> 
 <br /> Dicembre 16, 2013 
 <br /> Redazione
 <br /> Da sabato sera un commando di Al Nusra ha in mano una comunità cristiana del villaggio. L’allarme di monsignor Nazzaro: «Se una sola donna uscisse senza il velo, tutti gli abitanti verrebbero passati per le armi»
 <br /> 
 <br /> Da sabato sera sono bloccati nel villaggio di Kanaye, in Siria, invaso dai miliziani di Al Nusra e dai salafiti: duemila cristiani rischiano in queste ore il massacro, qualora non accettassero di convertirsi all’islam. A dare la notizia del sequestro è il vescovo emerito di Aleppo, monsignor Giuseppe Nazzaro, avvertito da uno degli abitanti del Paese che è riuscito a prendere il telefono e a chiamare di nascosto il religioso.
 <br /> 
 <br /> L’ARRIVO E LE MINACCE. «In base alle informazioni ricevute gli al qaedisti stranieri sono entrati nel villaggio e hanno impedito al parroco di suonare le campane per avvertire del pericolo i suoi compaesani», sono le parole di monsignor Nazzaro, riportate da TgCom24. Il presule teme per le sorti della piccola comunità siriana, costretta ad abiurare la propria fede cristiana: «Hanno bloccato le vie di accesso e ordinato alla popolazione di adeguarsi alla legge coranica. Se anche una sola donna dovesse uscire senza il velo islamico, tutti gli abitanti del villaggio verrebbero passati per le armi. La gente era terrorizzata ma purtroppo da stanotte non sono più riuscito a mettermi in contatto con loro e non ho ulteriori notizie».
 <br /> 
 <br /> AD ALEPPO UCCISI 15 BAMBINI. In quella stessa regione, l’Idlib, nel 2012 era stato conquistato con modalità simili un villaggio non lontano da Kanaye, Ghassanieh: i luoghi sacri erano stati saccheggiati, le abitazioni erano diventate alloggi e roccaforti dei ribelli, e i cristiani si erano dati alla fuga sotto minaccia di morte. «Anche Kanaye rischia la stessa sorte – continua monsignor Nazzaro – ed è assurdo che nessuno muova un dito per proteggere i cristiani siriani». Ad Aleppo, intanto, nel nord del Paese, ieri un raid aereo condotto dalle forze governative ha provocato la morte di 83 persone, di cui 15 bambini.
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 <br /> Siria, 2mila cristiani in ostaggio nel villaggio di Kanaye | Tempi.it





SIRIA, DUEMILA CRISTIANI IN OSTAGGIO A KANAYE: «DEVONO CONVERTIRSI ALL'ISLAM PER NON ESSERE UCCISI» Dicembre 16, 2013 Redazione Da sabato sera un commando di Al Nusra ha in mano una comunità cristiana del villaggio. L’allarme di monsignor Nazzaro: «Se una sola donna uscisse senza il velo, tutti gli abitanti verrebbero passati per le armi» Da sabato sera sono bloccati nel villaggio di Kanaye, in Siria, invaso dai miliziani di Al Nusra e dai salafiti: duemila cristiani rischiano in queste ore il massacro, qualora non accettassero di convertirsi all’islam. A dare la notizia del sequestro è il vescovo emerito di Aleppo, monsignor Giuseppe Nazzaro, avvertito da uno degli abitanti del Paese che è riuscito a prendere il telefono e a chiamare di nascosto il religioso. L’ARRIVO E LE MINACCE. «In base alle informazioni ricevute gli al qaedisti stranieri sono entrati nel villaggio e hanno impedito al parroco di suonare le campane per avvertire del pericolo i suoi compaesani», sono le parole di monsignor Nazzaro, riportate da TgCom24. Il presule teme per le sorti della piccola comunità siriana, costretta ad abiurare la propria fede cristiana: «Hanno bloccato le vie di accesso e ordinato alla popolazione di adeguarsi alla legge coranica. Se anche una sola donna dovesse uscire senza il velo islamico, tutti gli abitanti del villaggio verrebbero passati per le armi. La gente era terrorizzata ma purtroppo da stanotte non sono più riuscito a mettermi in contatto con loro e non ho ulteriori notizie». AD ALEPPO UCCISI 15 BAMBINI. In quella stessa regione, l’Idlib, nel 2012 era stato conquistato con modalità simili un villaggio non lontano da Kanaye, Ghassanieh: i luoghi sacri erano stati saccheggiati, le abitazioni erano diventate alloggi e roccaforti dei ribelli, e i cristiani si erano dati alla fuga sotto minaccia di morte. «Anche Kanaye rischia la stessa sorte – continua monsignor Nazzaro – ed è assurdo che nessuno muova un dito per proteggere i cristiani siriani». Ad Aleppo, intanto, nel nord del Paese, ieri un raid aereo condotto dalle forze governative ha provocato la morte di 83 persone, di cui 15 bambini. Siria, 2mila cristiani in ostaggio nel villaggio di Kanaye | Tempi.it



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26/12/2013 07:48
 
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Il Natale dei cristiani perseguitati tra barricate, guardie di sicurezza e paura. «Ma la venuta di Gesù ci dà forza»





 

Dicembre 24, 2013 Leone Grotti





Iraq, Pakistan, Nigeria, Siria, Indonesia e tanti altri paesi: così i cristiani sotto attacco si preparano alle celebrazioni del 25 dicembre



cristiani-persecuzione-mondoIl Natale non è solo gioia e speranza. In molti paesi Natale significa barricate, guardie di sicurezza e paura. Perché nei paesi dove i cristiani sono perseguitati, soprattutto in Africa e Medio Oriente, il 25 dicembre è un giorno pericoloso e ogni chiesa e celebrazione eucaristica un obiettivo per bande di terroristi islamici che hanno come scopo quello di seminare il panico tra i cristiani e, attraverso di loro, colpire l’Occidente.



nigeria-benueNIGERIA. Negli ultimi tre anni, i miliziani di Boko Haram hanno sempre attaccato i cristiani a Natale. Gravissimi gli attentati del 2011, quando i terroristi islamici hanno bombardato tre chiese. Ecco perché in questi giorni la Nigeria si sta preparando: «Tutte le forze speciali saranno dispiegate per garantire la sicurezza – spiega il portavoce della polizia Frank Mba – Abbiamo intensificato le pattuglie. Faremo particolare attenzione agli spazi pubblici e alle chiese».
Boko Haram, che significa “L’educazione occidentale è peccato”, ha come obiettivo quello di cacciare tutti i cristiani ”infedeli” dal nord del paese e di instaurare uno Stato islamico con la sharia.

pakistan-cristiani-attentato-chiesaPAKISTAN. Quello del 2013 sarà un Natale ancora più difficile degli altri anni per i cristiani pakistani. Dopo l’attentato del 22 settembre davanti alla chiesa di Tutti i santi di Peshawar, che ha causato la morte di 96 persone, e la rivendicazione da parte dei talebani, che hanno promesso di colpire ancora, i cristiani saranno costretti a fare più attenzione.
Il governo si è già attivato per prevenire altri massacri e ha dato queste indicazioni ai cristiani: «Alzate barricate fuori dalle chiese e mantenete l’entrata sempre libera. Inoltre, non fate uscire al termine della Messa tutte le persone insieme ma fate evacuare i fedeli un po’ alla volta». Joesph Coutts, arcivescovo di Karachi, ha già però affermato a tempi.it che «la sicurezza non basta perché le chiese sono centinaia».

041116_iraq_christians_hmed_8a_hmedium1-jpg-crop_displayIRAQ. Lo stillicidio di cristiani in Iraq è continuo e dura tutto l’anno. Ma nessuno ha dimenticato l’attentato del 2010 alla cattedrale siro-cattolica di Baghdad, dove un commando legato ad Al Qaeda ha sterminato 48 fedeli e due giovani preti, distruggendo la chiesa. Nel 2012 la cattedrale è stata ristrutturata e riaperta al culto ma resta la paura e non è un caso se nel 2003 c’erano 1,5 milioni di cristiani in Iraq e oggi solo 200 mila, 300 mila al massimo.
Per non rischiare attentati, la Chiesa ha cancellato le messe di mezzanotte del 24 e 31 dicembre. «Non c’è pace e sicurezza, ecco perché abbiamo fatto questa scelta», spiega il vescovo ausiliare del patriarcato di Babilonia Shlemon Warduni.

INDONESIA. Le autorità hanno allertato già 87 mila agenti di polizia per proteggere la minoranza cristiana dalle minacce terroristiche durante il Natale in Indonesia. In ogni chiesa dovrebbe essere formato un servizio d’ordine per impedire attentati e anche alcuni musulmani si potrebbero unire ai cristiani.
La situazione, nonostante i tentativi di mettere al sicuro i luoghi di culto, è tesa: il presidente Yudhoyono ha pubblicamente annunciato che si temono attacchi e i recenti segnali di intolleranza contro le chiese (demolite o chiuse da bande di estremisti) e contro i cristiani (gli ulema a Banda Aceh hanno vietato gli «auguri di Natale») non contribuiscono a creare un clima sereno.

CENTRAFRICA. I cristiani del Centrafrica non hanno mai avuto motivo negli anni scorsi di temere le celebrazioni di Natale ma quest’anno, dopo il colpo di Stato del 24 marzo e le violenze sanguinarie dei ribelli islamisti Seleka, hanno paura. Decine di migliaia di fedeli si sono rifugiati nelle concessioni delle Cattedrali in diverse città del paese e ora passeranno lì il Natale, temendo di tornare alle loro case nonostante l’intervento per pacificare lo Stato dell’esercito francese.

Deir-Atieh-cristiani-siriaSIRIA. Erano abituati diversamente, i cristiani siriani. Il regime di Assad, infatti, ha sempre rispettato le diverse confessioni e garantito una vera libertà religiosa. Dopo quasi tre anni di guerra, però, è tutto cambiato. I terroristi islamici legati ad Al Qaeda danno la caccia ai cristiani, perché «infedeli», le cattedrali ortodossa e siriaca di Aleppo saranno prive dei vescovi, Yazigi e Mar Gregorios, rapiti il 22 marzo scorso. A Maloula non c’è quasi più nessuno e anche le suore del monastero di Santa Tecla sono state rapite dagli islamisti.
Le parole dell’arcivescovo maronita di Damasco Samir Nassar descrivono bene che cosa sarà il Natale quest’anno in Siria: «In Siria a Gesù Bambino non mancano i compagni: migliaia di bambini che hanno perso le loro case vivono sotto tende povere come la stalla di Betlemme. Gesù non è solo nella sua miseria. L’infanzia siriana, abbandonata e segnata dalle scene di violenza, sogna di essere al posto di Gesù, che ha sempre con sé i suoi genitori che lo circondano e lo accarezzano. Alcuni invidiano il Bimbo divino che ha trovato una stalla per nascere e ripararsi, mentre tra questi bambini disgraziati c’è chi è nato sotto le bombe o lungo il cammino della fuga».

siria-cristianiLA PREGHIERA DEI PERSEGUITATI. Anche i cristiani di IranCinaEgittoTerra Santa, e l’elenco è sicuramente incompleto, vivono nel dolore la ricorrenza del 25 dicembre ma le parole rivolte dal patriarca dei caldei Sako agli iracheni vale per tutti i cristiani perseguitati: «Nel mezzo delle avversità e delle situazioni più dure e cupe, che viviamo e sperimentiamo in via quotidiana in Iraq, Siria, Libano e nel Medio oriente, la festa del Natale giunge per ridestare in noi la fiamma della speranza. Il Natale è fonte di forza e fiducia per ricostruire ciò che è andato distrutto negli anni di carestia; per ripristinare ciò che si è deformato; per riunire quanti sono stati separati, per riportare indietro quanti sono emigrati. (…) Possa il Natale portarci in dono la pace e la stabilità. E una benedizione divina per noi e i nostri cari, che duri per tutto l’anno».


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27/12/2013 08:03
 
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IRAQ, BOMBA DOPO LA MESSA: DECINE DI VITTIME 
Almeno trenta persone hanno perso la vita in un attentato a Baghdad, altre 40 sarebbero rimaste ferite

Luca Romano - Mer, 25/12/2013 - 15:32

In Iraq è ancora strage e la violenza non si ferma neppure nel giorno di Natale.

Una autobomba è esplosa fuori da una chiesa nel quartiere di Doura, a sud di Baghdad, proprio mentre i fedeli stavano uscendo dopo aver assistito alla funzione religiosa.

Persecuzione, ogni 5 minuti muore un cristiano nel mondo
Il bilancio della tragedia è ancora incerto ma dalle prime, frammentarie, informazioni si delinea una strage. Fonti ufficiali parlano di ventisei morti ma, secondo alcuni funzionari della polizia, le vittime sarebbero più di 36. Poco prima, sempre nello stesso quartiere, un altro ordigno è esploso in un mercato provocando altre 11 vittime.

"Questo attacco era mirato alla chiesa e la maggior parte delle vittime sono cristiane", ha riferito un ufficiale della polizia spiegando che l'esplosione è "avvenuta mentre i fedeli uscivano" dopo la funzione di Natale. "La Chiesa è un luogo di amore e di pace, che non è fatta per la guerra", ha commentato il Vescovo della Chiesa di San Giuseppe di Baghdad.

Ma il vescovo ausiliare della capitale iraqena frena: l'attacco non era diretto ai cristiani. "Non dobbiamo mescolare le cose. Voi sapete che gli attentati in Iraq sono diversi e tanti. Poi una macchina che è esplosa al mercato - e c'è una chiesa vicino al mercato - io non dico che è contro i cristiani o contro il Natale! - ha detto monsignor Shlemon Warduni alla radio Vaticana -. E' avvenuto nel giorno di Natale, ma non perchè è Natale. Queste notizie danno alla gente un'impressione non buona ed è a questo che i mass media devono fare attenzione!".

Ma il numero dei cristiani nel paese negli ultimi anni, segnati da violenze settarie, si è drasticamente ridotto passando da circa 1-1,5 milioni prima del 2003 agli appena 500 mila attuali. La comunità cristiana è al centro di una vera e propria carneficina: uno degli attacchi più sanguinari è avvenuto nell0'ottobre del 2010, quando 44 fedeli e due sacerdoti furono uccisi in un attacco alla chiesa di Nostra Signora a Baghdad.

Una vera e propria carneficina che viene perpetrata in molti paesi del mondo, una guerra contro i cristiani che in un anno ha fatto 195mila vittime, una ogni cinque minuti.

ilgiornale.it
IRAQ, BOMBA DOPO LA MESSA: DECINE DI VITTIME 
Almeno trenta persone hanno perso la vita in un attentato a Baghdad, altre 40 sarebbero rimaste ferite

Luca Romano - Mer, 25/12/2013 - 15:32

In Iraq è ancora strage e la violenza non si ferma neppure nel giorno di Natale.

Una autobomba è esplosa fuori da una chiesa nel quartiere di Doura, a sud di Baghdad, proprio mentre i fedeli stavano uscendo dopo aver assistito alla funzione religiosa.

Persecuzione, ogni 5 minuti muore un cristiano nel mondo
Il bilancio della tragedia è ancora incerto ma dalle prime, frammentarie, informazioni si delinea una strage. Fonti ufficiali parlano di ventisei morti ma, secondo alcuni funzionari della polizia, le vittime sarebbero più di 36. Poco prima, sempre nello stesso quartiere, un altro ordigno è esploso in un mercato provocando altre 11 vittime.

"Questo attacco era mirato alla chiesa e la maggior parte delle vittime sono cristiane", ha riferito un ufficiale della polizia spiegando che l'esplosione è "avvenuta mentre i fedeli uscivano" dopo la funzione di Natale. "La Chiesa è un luogo di amore e di pace, che non è fatta per la guerra", ha commentato il Vescovo della Chiesa di San Giuseppe di Baghdad.

Ma il vescovo ausiliare della capitale iraqena frena: l'attacco non era diretto ai cristiani. "Non dobbiamo mescolare le cose. Voi sapete che gli attentati in Iraq sono diversi e tanti. Poi una macchina che è esplosa al mercato - e c'è una chiesa vicino al mercato - io non dico che è contro i cristiani o contro il Natale! - ha detto monsignor Shlemon Warduni alla radio Vaticana -. E' avvenuto nel giorno di Natale, ma non perchè è Natale. Queste notizie danno alla gente un'impressione non buona ed è a questo che i mass media devono fare attenzione!".

Ma il numero dei cristiani nel paese negli ultimi anni, segnati da violenze settarie, si è drasticamente ridotto passando da circa 1-1,5 milioni prima del 2003 agli appena 500 mila attuali. La comunità cristiana è al centro di una vera e propria carneficina: uno degli attacchi più sanguinari è avvenuto nell0'ottobre del 2010, quando 44 fedeli e due sacerdoti furono uccisi in un attacco alla chiesa di Nostra Signora a Baghdad.

Una vera e propria carneficina che viene perpetrata in molti paesi del mondo, una guerra contro i cristiani che in un anno ha fatto 195mila vittime, una ogni cinque minuti.

ilgiornale.it

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11/01/2014 10:49
 
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Miserere, storie di cristiani perseguitati.
Frusta e galera per chi libera le donne saudite
dalle catene della sharia

Gennaio 10, 2014 Franco Molon

La vicenda di una cittadina di Khobar che ha scoperto la propria dignità di persona convertendosi al cristianesimo. Grazie a due colleghi che l’hanno pagata cara

arabia-saudita-donne-velo-islamicoPubblichiamo la venticinquesima puntata di “Miserere”, la serie realizzata da Franco Molon e dedicata ai cristiani perseguitati (per leggere le storie precedenti clicca qui).

Chi sono io per valere un prezzo così alto? Sono stata pagata con il sangue di trecento frustate e con la pena di sei anni di carcere. La mia pace può forse costare quanto i tormenti di un uomo buono? Ero un’impiegata commerciale in una grande compagnia petrolifera ma il mio stipendio e la mia istruzione non erano sufficienti a comprarmi la dignità. Vivevo sottomessa a Dio, a mio padre e ai fratelli, al capoufficio. Non uscivo sola di casa, non guidavo, non potevo decidere nulla, non mostravo il mio volto. Vivevo come esiste una cosa. Ero una cosa.

Qualche mese fa un collega di lavoro ha cominciato a guardarmi con occhi diversi. Da principio pensavo che mi desiderasse come si vuole una donna ma poi ho capito che nel suo sguardo c’era qualcosa di più, la capacità di vedere in me una persona. Abbiamo cominciato a parlarci, non con la voce ché sarebbe stato uno scandalo, ma attraverso una chat, benché le nostre scrivanie fossero una di fronte all’altra. Ci scambiavamo parole con la tastiera e sguardi oltre il divisorio che ci separava.

La prima cosa che ho imparato è stata come ripulire la cache dopo ogni conversazione; la seconda, iniziare a pensare a me stessa come a qualcosa che ha un valore, un essere unico e irripetibile, che poteva essere amato e non solo avuto e usato. Non mi sono innamorata di lui, mi sono innamorata del suo sguardo su di me.

Nella chat che utilizzavamo non eravamo soli, c’erano molti altri suoi amici, uomini e donne che ho imparato a conoscere e nei quali ritrovavo lo stesso modo di trattarmi, persone alle quali potevo mostrare il mio vero volto, quello dell’anima, non quello che ero solita nascondere sotto il velo. Il desiderio di conoscere l’origine di quel modo di essere divenne pressante.

arabia-saudita-donne-velo-islamico-hÈ stato così che mi si è mostrato lo sguardo che sta prima di ogni altro sguardo, il volto che sta alla radice di ogni volto, gli occhi che soli possono guardare alla miseria dell’uomo senza averne schifo, l’amore che fa consistere ogni cosa.

La cosa che ero è diventata persona, il nulla che sono è divenuto prezioso. La vita ha trovato la pace di un senso. Non potevo continuare a vivere come prima e ho chiesto di diventare cristiana. Sono stata battezzata con l’acqua del dispenser in pausa pranzo.

Credevo, con questo passo, di essere arrivata al termine del mio cammino, di aver posato il primo piede in paradiso ma mi sbagliavo, è stato l’inizio di un inferno. La mia nuova vita non sopportava più di rimanere costretta nelle regole di prima. Avrei voluto buttare il velo, uscire da sola, frequentare i miei fratelli cristiani, vivere la mia fede alla luce del sole ma non potevo perché la mia famiglia mi avrebbe denunciata alla polizia religiosa e fatta arrestare. Non ero uscita dalla gabbia dell’islam per finire in una prigione di Khobar. Mi sembrava tutto una grande presa in giro: liberata per diventare prigioniera. Forse che il Signore Gesù mi aveva trovata con l’unico scopo di consegnarmi agli aguzzini? No, non poteva essere. L’unica mia speranza era di fuggire per sempre dall’Arabia Saudita.

Parlai a lungo con il mio collega di questo progetto e, alla fine, questi si risolse di aiutarmi. Trovò una famiglia in Libano disposta ad accogliermi, comprò il biglietto aereo, falsificò i miei documenti aggiungendo l’autorizzazione di mio padre a lasciare il paese, organizzò ogni cosa del dettaglio. Alla fine, con il cuore in gola, salii sul volo per Beirut. Lui rimase e fu arrestato; per aver organizzato la mia fuga, per aver falsificato i documenti fu condannato a trecento frustate e sei anni di carcere.

Ora vivo in Svezia, da sola, in un piccolo appartamento; faccio l’impiegata commerciale in un’azienda che esporta legno, vado al lavoro, torno a casa, sbrigo le faccende e il giorno dopo sono di nuovo in ufficio. Non porto più il velo e la domenica vado a Messa ma non passa giorno senza che mi domandi se questa mia vita valga la crocifissione del mio amico.

12 maggio 2013 – Il tribunale di Khobar (Arabia Saudita) ha condannato un cristiano libanese, residente in Arabia, a sei anni di carcere e 300 frustate per aver svolto una parte attiva nella conversione al cristianesimo di una donna saudita sua collega di lavoro. La donna, con l’aiuto di un altro collega, è poi fuggita prima in Libano e poi in Svezia per sottrarsi alla vendetta della famiglia. Il collega che l’ha aiutata è stato, a sua volta, condannato a 200 frustate e due anni di carcere. 


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15/01/2014 05:55
 
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Persecuzione dei cristiani nei paesi islamici:
clamoroso flash mob in Germania

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Tutta la Germania mobilitata contro la persecuzione dei cristiani nei paesi islamici. Da Monaco di Baviera a Colonia, da Stoccarda a  Essen, migliaia di persone hanno organizzato contemporaneamente sabato scorso un enorme flash mob di protesta.

Intenzione degli organizzatori è portare all’attenzione globale la persecuzione dei cristiani nei paesi islamici. Nell’occasione è stata diffusa anche una classifica dei paesi islamici dove i cristiani sono maggiormente perseguitati:

1° Corea del Nord,

2° Somalia,

3° Siria,

4° Iraq,

5° Afghanistan,

6° Arabia Saudita,

7° Maldive,

8° Pakistan,

9° Iran,

10° Yemen.

 Oltre a questi Paesi la persecuzione dei cristiani è molto forte in Sudan, Eritrea, Libia, Nigeria, Uzbekistan, Repubblica Centrafricana, Etiopia, Vietnam, Qatar e Turkmenistan. La Siria si è appena trasferita dal 11° posto al 3° posto in classifica.


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19/01/2014 08:58
 
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Chi perseguita i cristiani. Ecco l'infame classifica

di Anna Bono
19-01-2014
È ben noto quali siano i paesi in cui i cristiani corrono maggiori pericoli, il giudizio è sostanzialmente unanime e si sintetizza grosso modo nella World Watch List di Open Doors, la classifica dei 50 stati in cui i cristiani subiscono le persecuzioni maggiori, pubblicata all’inizio di ogni anno. La World Watch List 2014 è stata presentata da pochi giorni. Vi sono confermati quasi tutti i paesi elencati nel 2013 con al primo posto, come sempre, la Corea del Nord. Ne sono usciti Azerbaigian, Uganda e Kirghizistan, sostituiti da Repubblica Centrafricana, Sri Lanka e Bangladesh.

In Bangladesh, una delle tre “new entry”, al 48° posto, la prima vittima cristiana dall’inizio dell’anno è Ovidio Marandy, un giovane cattolico del gruppo tribale Santal, fratello di un sacerdote della diocesi di Dinajpur. L’11 gennaio a Gobindoganj, nel distretto settentrionale di Gaibandha, il ragazzo, ben noto e apprezzato per il suo coraggio e la sua determinazione, è stato ucciso dagli estremisti islamici per aver organizzato una manifestazione di protesta contro le violenze ai danni dei cristiani verificatesi nelle diocesi di Mymensigh e Rajshahi alcuni giorni prima, all’indomani delle legislative del 5 gennaio. Centinaia di islamisti avevano allora assalito e incendiato le abitazioni dei cristiani che erano andati a votare nonostante le minacce dei partiti all’opposizione intenzionate a boicottare il voto. Inoltre gli estremisti avevano minacciato di tornare per prendersi le terre della comunità. Durante l’assalto, otto persone erano state ferite, alcune gravemente. Anche nella parrocchia di Baromari, nel distretto di Sherpur, i cristiani che hanno osato andare alle urne hanno subito in questi giorni attacchi da parte degli islamisti.

Nello Sri Lanka, 29° nella World Watch List 2014, a infierire contro i cristiani a Hikkaduwa, nel sud del paese, sono stati invece i radicali buddisti che il 12 gennaio, in pieno giorno, hanno attaccato due chiese indipendenti di cui pretendono la chiusura con il pretesto che manchino dei permessi di apertura. Una folla guidata da otto monaci buddisti ha dapprima circondato gli edifici scagliando pietre e mattoni. Poi, malgrado la presenza delle forze dell’ordine, ha fatto irruzione al loro interno danneggiando seriamente le strutture e dando fuoco a simboli e libri religiosi, incluse alcune Bibbie. Gli attacchi confermano il clima di crescente intolleranza nei confronti delle minoranze già più volte denunciato dalle autorità religiose e che ha appunto meritato al paese l’ingresso nella lista di Open Doors. I cristiani sono poco più del 6%della popolazione. La religione ufficiale è il buddismo, praticato da quasi il 70% degli abitanti.

Il pastore evangelico Sanjeevulu, guida del gruppo “Amici di Hebron”, è il primo cristiano ucciso nel 2014 in India, 28° paese nell’elenco di Open Doors. L’11 gennaio a Vikarabad, nell’Andra Pradesh, quattro uomini si sono presentati a casa sua e lo hanno indotto a uscire in strada sostenendo di voler pregare con lui. Poi lo hanno aggredito infliggendogli sette coltellate e colpendolo con mazze e bastoni. L’uomo è deceduto due giorni dopo. La moglie, accorsa alle sue grida e anch’essa ferita, è sopravvissuta. I leader cristiani locali hanno organizzato una manifestazione pacifica per chiedere giustizia. Alcuni dei fedeli che vi hanno partecipato sono però stati arrestati. È possibile che l’omicidio fosse premeditato da tempo. Tre mesi fa il pastore aveva infatti subito minacce dai membri di un gruppo fondamentalista indù con i quali aveva avuto una discussione. Global Council of Indian Churches si dice allarmato per la recrudescenza della persecuzione anti-cristiana nello stato dell’Andra Pradesh.

In Indonesia – al 47° posto nella World Watch List – la persecuzione si manifesta anche in vessazioni e divieti continui. Per fare un esempio, il complesso iter burocratico imposto ai cristiani per la costruzione di edifici religiosi fa si che possano trascorrere anche dieci anni prima che si ottengano tutte le autorizzazioni necessarie. Trattandosi di luoghi di culto, è inoltre necessario il nulla osta dei residenti e del locale gruppo per il dialogo interreligioso. Fatto sta che, in un solo mese, a partire dal 16 dicembre 2013, le autorità di Sumatra, su pressione degli estremisti islamici, hanno bloccato i lavori di costruzione di ben cinque chiese. L’ultimo cantiere è stato chiuso alcuni giorni or sono a Pasir Putih, nel distretto di Bungo. L’intoppo apparentemente solo amministrativo – qualche autorizzazione mancante – in realtà pare mascheri l’intenzione di impedire definitivamente la costruzione con la motivazione che in quella zona la presenza di una chiesa costituirebbe fonte di “disturbo sociale”. Le autorità locali intendono far costruire al posto delle abitazioni private.

In Vietnam – 18° nell’elenco di Open Doors – sono i terreni e le proprietà dell’arcidiocesi di Saigon a essere il bersaglio dell’intolleranza religiosa. Le autorità intendono espropriare la parrocchia di Thu Thiem, fondata oltre 150 anni or sono, e gli edifici usati dalle religiose della congregazione Amanti del Sacro Cuore, attiva da 173 anni. L’ordinanza di sequestro è già stata emessa e non sono mancate le minacce e le intimidazioni. Ciononostante il parroco di Thu Thiem non si è arreso. Alle pressioni ha risposto dicendosi “pronto al martirio” se necessario, per difendere la sua parrocchia e la Chiesa vietnamita. In Vietnam i cristiani sono poco meno del 7% della popolazione e patiscono le crescenti limitazioni alla libertà religiosa imposte dal governo controllato dal Partito unico comunista.

lanuovabq.it
Chi perseguita i cristiani. Ecco l'infame classifica

di Anna Bono
19-01-2014
È ben noto quali siano i paesi in cui i cristiani corrono maggiori pericoli, il giudizio è sostanzialmente unanime e si sintetizza grosso modo nella World Watch List di Open Doors, la classifica dei 50 stati in cui i cristiani subiscono le persecuzioni maggiori, pubblicata all’inizio di ogni anno. La World Watch List 2014 è stata presentata da pochi giorni. Vi sono confermati quasi tutti i paesi elencati nel 2013 con al primo posto, come sempre, la Corea del Nord. Ne sono usciti Azerbaigian, Uganda e Kirghizistan, sostituiti da Repubblica Centrafricana, Sri Lanka e Bangladesh.

In Bangladesh, una delle tre “new entry”, al 48° posto, la prima vittima cristiana dall’inizio dell’anno è Ovidio Marandy,  un giovane cattolico del gruppo tribale Santal, fratello di un sacerdote della diocesi di Dinajpur. L’11 gennaio a Gobindoganj, nel distretto settentrionale di Gaibandha, il ragazzo, ben noto e apprezzato per il suo coraggio e la sua determinazione, è stato ucciso dagli estremisti islamici per aver organizzato una manifestazione di protesta contro le violenze ai danni dei cristiani verificatesi nelle diocesi di Mymensigh e Rajshahi alcuni giorni prima, all’indomani delle legislative del 5 gennaio. Centinaia di islamisti avevano allora assalito e incendiato le abitazioni dei cristiani che erano andati a votare nonostante le minacce dei partiti all’opposizione intenzionate a boicottare il voto. Inoltre gli estremisti avevano minacciato di tornare per prendersi le terre della comunità. Durante l’assalto, otto persone erano state ferite, alcune gravemente. Anche nella parrocchia di Baromari, nel distretto di Sherpur, i cristiani che hanno osato andare alle urne hanno subito in questi giorni attacchi da parte degli islamisti.

Nello Sri Lanka, 29° nella World Watch List 2014, a infierire contro i cristiani a Hikkaduwa, nel sud del paese, sono stati invece i radicali buddisti che il 12 gennaio, in pieno giorno, hanno attaccato due chiese indipendenti di cui pretendono la chiusura con il pretesto che manchino dei permessi di apertura. Una folla guidata da otto monaci buddisti ha dapprima circondato gli edifici scagliando pietre e mattoni. Poi, malgrado la presenza delle forze dell’ordine, ha fatto irruzione al loro interno danneggiando seriamente le strutture e dando fuoco a simboli e libri religiosi, incluse alcune Bibbie. Gli attacchi confermano il clima di crescente intolleranza nei confronti delle minoranze già più volte denunciato dalle autorità religiose e che ha appunto meritato al paese l’ingresso nella lista di Open Doors. I cristiani sono poco più del 6%della popolazione. La religione ufficiale è il buddismo, praticato da quasi il 70% degli abitanti.

Il pastore evangelico Sanjeevulu, guida del gruppo “Amici di Hebron”, è il primo cristiano ucciso nel 2014 in India, 28° paese nell’elenco di Open Doors. L’11 gennaio a Vikarabad, nell’Andra Pradesh, quattro uomini si sono presentati a casa sua e lo hanno indotto a uscire in strada sostenendo di voler pregare con lui. Poi lo hanno aggredito infliggendogli sette coltellate e colpendolo con mazze e bastoni. L’uomo è deceduto due giorni dopo. La moglie, accorsa alle sue grida e anch’essa ferita, è sopravvissuta. I leader cristiani locali hanno organizzato una manifestazione pacifica per chiedere giustizia. Alcuni dei fedeli che vi hanno partecipato sono però stati arrestati. È possibile che l’omicidio fosse premeditato da tempo. Tre mesi fa il pastore aveva infatti subito minacce dai membri di un gruppo fondamentalista indù con i quali aveva avuto una discussione. Global Council of Indian Churches si dice allarmato per la recrudescenza della persecuzione anti-cristiana nello stato dell’Andra Pradesh.

In Indonesia – al 47° posto nella World Watch List – la persecuzione si manifesta anche in vessazioni e divieti continui. Per fare un esempio, il complesso iter burocratico imposto ai cristiani per la costruzione di edifici religiosi fa si che possano trascorrere anche dieci anni prima che si ottengano tutte le autorizzazioni necessarie. Trattandosi di luoghi di culto, è inoltre necessario il nulla osta dei residenti e del locale gruppo per il dialogo interreligioso. Fatto sta che, in un solo mese, a partire dal 16 dicembre 2013, le autorità di Sumatra, su pressione degli estremisti islamici, hanno bloccato i lavori di costruzione di ben cinque chiese. L’ultimo cantiere è stato chiuso alcuni giorni or sono a Pasir Putih, nel distretto di Bungo. L’intoppo apparentemente solo amministrativo – qualche autorizzazione mancante – in realtà pare mascheri l’intenzione di impedire definitivamente la costruzione con la motivazione che in quella zona la presenza di una chiesa costituirebbe fonte di “disturbo sociale”. Le autorità locali intendono far costruire al posto delle abitazioni private.

In Vietnam – 18° nell’elenco di Open Doors – sono i terreni e le proprietà dell’arcidiocesi di Saigon a essere il bersaglio dell’intolleranza religiosa. Le autorità intendono espropriare la parrocchia di Thu Thiem, fondata oltre 150 anni or sono, e gli edifici usati dalle religiose della congregazione Amanti del Sacro Cuore, attiva da 173 anni. L’ordinanza di sequestro è già stata emessa e non sono mancate le minacce e le intimidazioni. Ciononostante il parroco di Thu Thiem non si è arreso. Alle pressioni ha risposto dicendosi “pronto al martirio” se necessario, per difendere la sua parrocchia e la Chiesa vietnamita. In Vietnam i cristiani sono poco meno del 7% della popolazione e patiscono le crescenti limitazioni alla libertà religiosa imposte dal governo controllato dal Partito unico comunista.

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22/01/2014 09:22
 
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Siria. Jihadisti decapitano un cristiano
e gli piantano in petto la croce
che portava al collo

È quanto è accaduto a Fadi Matanius Mattah, giovane cristiano di 34 anni, martirizzato da un gruppo di cinque jihadisti mentre da Homs si recava nel villaggio cristiano di Marmarita

siria-ribelli-cristiani-al-duvairtratto da Zenit.org - Ucciso, decapitato e trafitto dalla croce che portava al collo. È quanto è accaduto a Fadi Matanius Mattah, giovane cristiano di 34 anni, martirizzato da un gruppo di cinque jihadisti. Lo scorso 8 gennaio – ha raccontato all’agenzia Fides un sacerdote della diocesi di Homs – Fadi si stava recando in automobile insieme ad un amico, Firas Nader (29 anni), da Homs al villaggio cristiano di Marmarita. La vettura è stata intercettata dal gruppo islamista, che, armato, ha aperto il fuoco contro l’auto. Una volta raggiunta, i miliziani hanno notato che il giovane portava una croce al collo; quindi lo hanno decapitato, piantando la croce nel suo petto, per poi rubare denaro e documenti.

In tutto ciò, hanno lasciato Firas per terra, gravemente ferito, credendo fosse già morto. Il giovane ha potuto quindi osservare quanto stava accadendo e, una volta spariti i persecutori, ha potuto mettersi in salvo incamminandosi a piedi, con le poche forze rimaste, verso la cittadina di Almshtaeih, dove poi è stato trasferito all’ospedale di Tartous.
Su indicazione dell’amico, alcuni fedeli sono riusciti a recuperare il corpo di Mattah, portandolo a Marmarita, dove la comunità cristiana locale ha espresso sdegno e dolore per l’atto inumano. Secondo un comunicato inviato a Fides da Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), la violenza contro i cristiani in Siria, causata dalle migliaia di fazioni islamiste, sta diventando «una delle peggiori persecuzioni sopportate dai cristiani in questo scorcio del terzo millennio».

Oltre 600.000 cristiani, quindi un terzo del totale dei fedeli siriani, sono sfollati all’interno del Paese o vivono da rifugiati in Paesi confinanti, confermano gli ultimi rapporti. E i leader cristiani confermano l’esodo massiccio dei cristiani dal paese. Sempre ACS rivela che in zone come Homs, Marmarita e Hamat, la popolazione siriana, che include molti cristiani, vive in gravi condizioni di disagio ed ha urgenza di cibo, riscaldamento, riparo e medicine a causa del freddo che peggiora la crisi umanitaria esistente per il conflitto.


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05/02/2014 08:06
 
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Nigeria, i cristiani uccisi in chiesa da Boko Haram
sono stati «sgozzati uno a uno»

Lo ha riferito alla Bbc il vescovo di Yola Mamza Dami Stephen, che ha parlato con alcuni cristiani sopravvissuti
nigeria-cristiani-islam-boko-haram-conversioneSono arrivati sui camion, hanno fatto irruzione in chiesa «verso la fine della messa» e l’hanno chiusa a chiave. Chi ha tentato di scappare «dalle finestre è stato raggiunto da colpi di arma da fuoco», gli altri «sono stati sgozzati uno a uno». Così i cristiani del villaggio di Waga Chakawa (Adamawa, Nigeria), sopravvissuti all’attacco di Boko Haram, hanno raccontato l’attentato di domenica scorsa al vescovo di Yola Mamza Dami Stephen, che l’ha riportato alla Bbc.

CRISTIANI SGOZZATI. Sono almeno 30 i fedeli uccisi dai terroristi islamici, che prima di andarsene hanno bruciato le case del villaggio, preso alcuni residenti in ostaggio per quattro ore e piazzato delle bombe.
«Tutti gli abitanti ora sono terrorizzati, vivono nella paura. Nessuno li protegge e non è possibile dire dove e quando attaccheranno la prossima volta. La gente non può più dormire con gli occhi chiusi».

VILLAGGIO RASO AL SUOLO. Lo stesso giorno Boko Haram ha anche innescato delle bombe in un mercato nel villaggio di Kawuri (Borno) uccidendo almeno 52 persone. Nelle esplosioni, tutte le case del villaggio, circa 300, sono state rase al suolo.



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07/02/2014 16:27
 
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Sud Sudan.
«I ribelli hanno spazzato via tutto, anche le chiese.
I nostri missionari scappano nelle foreste»

Leone Grotti

Intervista a padre Daniele Moschetti, superiore dei Comboniani nello Stato più giovane del mondo: «Gli scontri hanno creato una ferita fra tribù che non sarà sanata prima di decenni»

sud-sudan-scontri-guerra«La diocesi di Malakal è stata distrutta, i ribelli hanno spazzato via tutto, quel poco che abbiamo costruito in otto anni non c’è più. Ora i combattimenti si spostano a Leer, nello Unity State». Si dichiara «molto preoccupato» a tempi.it padre Daniele Moschetti, superiore dell’ordine dei Comboniani in Sud Sudan, dove laguerra tra i soldati governativi del presidente Salva Kiir (foto in basso a destra, ndr) e quelli del vicepresidente deposto, Riek Machar, accusato di tentato golpe, hanno già fatto dal 15 dicembre scorso circa 10 mila morti e 500 mila sfollati.

«ATTACCATE CHIESE E MISSIONI». Nonostante un “cessate il fuoco” firmato ed entrato in vigore il 24 gennaio, si combatte ancora, soprattutto nel nord, nelle zone dei giacimenti petroliferi, unica ricchezza del paese. «I ribelli hanno attaccato anche missioni, parrocchie e chiese. Solo la cattedrale a Malakal è stata risparmiata, dove i sacerdoti hanno ospitato e nascosto moltissime persone, anche di etnie diverse», continua padre Moschetti. Gli scontri, di origine politica, hanno fatto esplodere i «vecchi odi tribali» e la violenza è «talmente grande» che «la gente abbandona le case e scappa, mentre i ribelli bruciano, rubano e distruggono tutto, ospedali compresi».

Salva Kiir Mayardit«SCAPPIAMO NELLE FORESTE». Vicino a Leer, «dove c’è una nostra missione nello Unity State», si combatte ancora: «Abbiamo chiesto ai nostri missionari di andarsene e di abbandonare la missione», rivela padre Moschetti. «Nel villaggio erano rimasti solo loro. Ora hanno raggiunto gli abitanti nelle foreste. Sappiamo che quando arrivano soldati e ribelli, questi depredano e distruggono tutto. Non potevamo rischiare la vita, anche se sappiamo che faranno man bassa di tutto».

LOTTA DI POTERE. Padre Moschetti si trova nella capitale Juba dove ha partecipato a una conferenza straordinaria con tutti i vescovi del paese: «A breve uscirà la lettera pastorale su quello che stiamo vivendo”, spiega. «Preghiamo perché ci sia la conversione dei cuori e delle menti di tutti. Questa è una lotta di potere, non per la gente. Perché da quando siamo diventati indipendenti (luglio 2011, ndr) la gente non è che abbia goduto di molti servizi in più».

FERITE TRIBALI INSANABILI. L’emergenza umanitaria resta gravissima. Spiega il comboniano: «Qui manca tutto: medicine, acqua, cibo. Non si sa più dove dormire e se di giorno ci sono 50 gradi, di sera fa già freddo. Già eravamo uno dei paesi a rischio carestia, ora la situazione è penosa, difficilissima». Quando si tornerà alla normalità? «Non si sa. Questi nuovi scontri hanno creato una ferita a livello tribale che non sarà sanata prima di decenni. Lo strappo tra tribù c’era già prima, ora è stato acuito».



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06/03/2014 20:29
 
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COREA DEL NORD/ Condannati a morte per aver frequentato un missionario

Pubblicazione: mercoledì 5 marzo 2014
Redazione

Saranno condannate a morte per aver avuto contatti personali con un missionario, il pastore battista Kim Jung-wook. Si tratta di 33 cittadini della Corea del nord, prossime vittime della follia sanguinaria del dittatore Kim Jong-Un ormai noto al mondo per il pungo di ferro con cui, ancor peggio dei suoi predecessori, governa il suo paese. Un recente documento delle Nazioni unite ha definito il regime comunista nord coreano autore di crimini contro l'umanità pari a quelli del nazismo. Il caso che riguarda questo missionario è molto poco chiaro. L'uomo, detenuto nelle carceri del paese dallo scorso ottobre, ha recentemente tenuto una dichiarazione pubblica in cui si è auto accusato di essere penetrato nella Corea del nord per convertirla al cristianesimo e abbattere l'attuale regime. Naturalmente ci sono molti dubbi su quanto ha detto: secondo un'altra versione l'uomo sarebbe stato invece rapito da agenti nordcoreani al confine con la Cina. I motivi stessi del rapimento non sarebbero chiari: forse un'azione preventiva in accordo con gli alleati cinesi, o forse il bisogno di creare un capro espiatorio per giustificare la repressione in atto. Sta di fatto che 33 persone, accusate di aver avuto contatti con il pastore, sono già state condannate alla pena di morte. In Corea del nord è detenuto dal 2012 un altro pastore, di nazionalità americana, Kenneth Bae, arrestato mentre stava portando in giro per il paese alcuni turisti, e di cui non si sa quasi più nulla se non che è sempre rinchiuso in carcere. E' stato condannato a 15 anni di carcere e di lavori forzati.

ilsussidiario.net
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07/03/2014 08:08
 
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IL PAPA: «OGGI CRISTIANI PERSEGUITATI PERCHÉ HANNO UNA BIBBIA»


04/03/2014  Nella messa di martedì mattina a Santa Marta Francesco parla delle persecuzioni di chi professa la fede in Gesù e afferma che oggi ci sono molti più martiri rispetto ai primi tempi della Chiesa: «Ci sono persone condannate perché hanno una Bibbia. Non possono portare il segno della croce. E questa è la strada di Gesù. Ma è una strada gioiosa»




Oggi ci sono più martiri rispetto ai primi tempi della Chiesa, una situazione che conferma come la Croce sia sempre nella strada cristiana. 






È la riflessione di papa Francesco nella messa di martedì mattina a Santa Marta dove ha incentrato la sua omelia sulle persecuzioni dei cristiani affermando che la vita cristiana non è “un vantaggio commerciale”, ma “è semplicemente seguire Gesù”. Anche se la sua sequela, oltre a un guadagno, comporta anche delle persecuzioni: «Come se Gesù dicesse: “Sì, voi avete lasciato tutto e riceverete qui, in terra, tante cose: ma con la persecuzione!” Come un’insalata con l’olio della persecuzione: sempre! Questo è il guadagno del cristiano e questa è la strada di quello che vuole andare dietro a Gesù, perché è la strada che ha fatto Lui: Lui è stato perseguitato! È la strada dell’abbassamento. Quello che Paolo dice ai Filippesi: “Si abbassò. Si è fatto uomo e si abbassò fino alla morte, morte di croce”. Questo è propria la tonalità della vita cristiana”». 

Così anche nelle Beatitudini, ha proseguito il Papa, quando Gesù dice: «Beati voi quando vi insulteranno, quando sarete perseguitati a causa del mio nome, è una delle Beatitudini la persecuzione. La Croce – ha ammonito – è sempre nella strada cristiana! Noi – ha ribadito – avremo tanti fratelli, tante sorelle, tante madri, tanti padri nella Chiesa, nella comunità cristiana», ma «anche avremo la persecuzione»: «Perché il mondo non tollera la divinità di Cristo. Non tollera l’annuncio del Vangelo. Non tollera le Beatitudini. E così la persecuzione: con la parola, le calunnie, le cose che dicevano dei cristiani nei primi secoli, le diffamazioni, il carcere… Ma noi dimentichiamo facilmente. Ma pensiamo ai tanti cristiani, 60 anni fa, nei campi, nelle prigioni dei nazisti, dei comunisti: tanti! Per essere cristiani! Anche oggi… “Ma oggi abbiamo più cultura e non ci sono queste cose”. Ci sono! E io vi dico che oggi ci sono più martiri che nei primi tempi della Chiesa».

Tanti fratelli e sorelle, ha proseguito, «che danno testimonianza di Gesù, offrono la testimonianza di Gesù e sono perseguitati». Cristiani, ha constatato con amarezza, che non possono neppure avere la Bibbia con sé: «Sono condannati perché hanno una Bibbia. Non possono portare il segno della croce. E questa è la strada di Gesù. Ma è una strada gioiosa, perché mai il Signore ci prova più di quello che noi possiamo portare. La vita cristiana non è un vantaggio commerciale, non è un fare carriera: è semplicemente seguire Gesù! Ma quando seguiamo Gesù succede questo. Pensiamo se noi abbiamo dentro di noi la voglia di essere coraggiosi nella testimonianza di Gesù. Anche pensiamo – ci farà bene – ai tanti fratelli e sorelle che oggi – oggi! – non possono pregare insieme, perché sono perseguitati; non possono avere il libro del Vangelo o una Bibbia, perché sono perseguitati».

Pensiamo, ha detto ancora, a quei fratelli che «non possono andare a Messa, perché è vietato». Quante volte, ha affermato, «viene un prete di nascosto, fra di loro, fanno finta di essere a tavola, a prendere un tè e lì celebrano la Messa, perché non li vedano. Questo – ha avvertito il Papa - succede oggi». Pensiamo, ha concluso, se siamo disposti «a portare la Croce come Gesù? A portare persecuzioni per dare testimonianza di Gesù», come «fanno questi fratelli e sorelle che oggi sono umiliati e perseguitati; questo pensiero ci farà bene a tutti».


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17/03/2014 07:30
 
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Attacco contro i cristiani in Nigeria:
uccise 100 persone

Ancora strage di cristiani in Nigeria. Alcuni funzionari governativi hanno reso noto che un gruppo di estremisti musulmani hanno attaccato tre villaggi cristiani uccidendo più di 100 civili. I terroristi hanno dato alle fiamme centinaia di capanne dal tetto di paglia. Negli ultimi anni, e soprattutto in questi mesi, migliaia di persone sono state uccise a causa della competizione per la terra e l’acqua tra i pastori musulmani e gli agricoltori cristiani. La settimana scorsa un altro eccidio ha colpito il vicino stato di Katsina, causando la morte di più di 100 persone. Il Capo villaggio Chenshyi Nuhu, ha confermato che uomini armati hanno ucciso più di 50 persone. Mentre il villaggio nella parte meridionale di Kaduna è stato distrutto. L’ultima strage si è consumata venerdì sera e così come abbiamo detto all’inizio sono stati eliminate cento persone. Gli indigeni del Forum Southern Kaduna, hanno accusato il governo di non agire nei confronti dei gruppi terroristici, che seminano paura e panico tra la popolazione.


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29/03/2014 17:42
 
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Nel Laos famiglie cristiane costrette a fuggire: rifiutavano di convertirsi all’Islam



Sei famiglie cristiane laotiane hanno dovuto abbandonare il loro villaggio natale – composto in larga maggioranza di buddisti – nel sud del Paese, perché vittime di continue pressioni; i residenti volevano costringerli ad abbandonare la loro religione e convertirsi, è quanto apprendiamo da una nota di Asia News. È quanto denunciano gli attivisti di Human Rights Watch for Lao Religious Freedom (Hrwlrf), ong con base negli Stati Uniti, secondo cui i membri della minoranza sono stati “minacciati di sfratto”, nel caso in cui “non avessero rinunciato alla fede”. Diversa la versione dei funzionari della provincia di Savannakhet, per i quali le famiglie avrebbero lasciato il villaggio di Natahall, nel distretto di Phin, di loro“spontanea volontà” per “evitare scontri” con gli altri abitanti. Ai primi di marzo (ma la vicenda è emersa solo in questi giorni) alcune famiglie cristiane hanno abbandonato il villaggio di Natahall, costruendo nuovi alloggi in un’area distante una decina di chilometri. In passato il gruppo si era convertito al cristianesimo e questa scelta, nel tempo, ha creato malumori e insofferenze sempre più forti fra la maggioranza buddista e, in particolare, nel gruppo degli anziani e dei capi-villaggio. Dall’inizio dell’anno si è registrata una continua escalation di tensione, che è sfociata poi nella decisione di fuggire.


Secondo quanto riferiscono gli attivisti di Hrwlrf, i membri della minoranza cristiana sarebbero stati vittime di persecuzioni e abusi. Nel dicembre scorso i capi villaggio di Natahall, col sostegno della polizia, hanno emesso un ordine di sfratto nei loro confronti; tuttavia, il gruppo ha opposto resistenza rifiutandosi, in un primo momento, di fuggire o convertirsi. Le autorità “hanno agito in modo da bandire la fede cristiana dal villaggio ed espellere gli abitanti che continuavano a professare il cristianesimo”. L’ultimo episodio risale all’11 marzo scorso, quando durante un incontro pubblico i leader della comunità hanno offeso i cristiani, definendoli seguaci di una “religione straniera americana” e obbligandoli a convertirsi al buddismo. Le famiglie hanno quindi deciso di abbandonare le loro case, ricominciando una nuova vita in una zona più sicura. Dall’ascesa al potere dei comunisti nel 1975, con la conseguente espulsione dei missionari stranieri, la minoranza cristiana in Laos è soggetta a controlli serrati e vi sono limiti evidenti alla pratica del culto. La maggioranza della popolazione (il 67%) è buddista; su un totale di sei milioni di abitanti, i cristiani sono il 2% circa, di cui lo 0,7% cattolici. a cura di Giovanni Profeta


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18/04/2014 09:51
 
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18/04/2014 16:58
 
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Il calvario nigeriano



di Davide Perillo


17/04/2014 - Cosa permette di vivere in un Paese preda del terrorismo e dove andare a messa può voler dire non tornare più? «La Croce e la Resurrezione, quello che festeggiamo in questi giorni». Parla l'arcivescovo di Jos, Ignatius Kaigama





«Le radici. Contano quelle. Se sono forti, non hai paura. E la nostra radice è la fede». È lì, dove si pianta la Croce, che si appoggia Ignatius Kaigama, 55 anni, arcivescovo di Jos e presidente dei Vescovi della Nigeria. «La Croce e la Risurrezione. Quello che festeggiamo in questi giorni». E che permette al suo popolo di vivere in un Paese dove il terrorismo sta facendo decine di vittime e uscire di casa per andare a messa può voler dire non tornare più.

Il motivo si chiama Boko Haram, il gruppo islamista che da anni semina attentati e ora guadagna spazi di manovra anche a Sud, nella metà del Paese a matrice cristiana. La Nigeria è un gigante: 36 Stati, 160 milioni di abitanti (40% cristiani, 45% musulmani, il resto animisti), un mare di petrolio, un’economia in volo (più 7% di crescita media annua nell’ultimo decennio) che, grazie a un ricalcolo del Pil, le ha appena permesso di superare il Sudafrica in cima alle classifiche dei Paesi più ricchi del continente. E i riflettori del mondo pronti ad accendersi quando, il 7 maggio, aprirà il Forum mondiale dell’economia di Abuja, una specie di Davos africana (6mila poliziotti mobilitati). 

Eppure si continua a morire per strada. Anzi, si muore sempre più spesso. Dall’inizio dell’anno ci sono state almeno 1.600 vittime. Duecentomila persone sono dovute fuggire di casa. Solo nelle ultime due settimane il bollettino di guerra ha registrato, nell’ordine: 8 morti in un raid a Gwaram; almeno 71 (e 124 feriti) per le bombe alla stazione dei bus di Nyanya, vicino ad Abuja; un centinaio di studentesse liceali rapite a Chibok il giorno dopo… Più una catena di violenze, rapimenti e aggressioni che molto spesso ha come vittime i cristiani. Boko Haram vuol dire l’“educazione occidentale è un male”. E il cristianesimo è visto come il Male, da spazzare via per fare spazio a un Califfato islamico. Ci sono stati - e ci sono - decine di attentati nelle chiese e nelle scuole. Si corrono rischi anche in questi giorni di festa. Ma la voce di monsignor Kaigama è serena: «Quando entro in una chiesa per celebrare messa, so che corro un pericolo. Ma sono lì nel nome del Signore. È quella la mia forza».

Perché Boko Haram è diventato così potente? Lei di recente ha detto: «Un paio di anni fa erano un gruppo di fanatici armati quasi solo di archi, frecce e machete: ora sono organizzati, hanno armi, soldi...». Che cosa è successo? 
Boko Haram sta cambiando la sua natura. Sta diventando un’altra cosa. All’inizio si lamentavano della decadenza morale della società. Se la prendevano con l’educazione e i costumi occidentali. E l’obiettivo eravamo solo noi cristiani. Loro vogliono l’eliminazione del cristianesimo dal Paese. Pretendevano che il presidente della Nigeria fosse un musulmano, attaccavano quasi soltanto le chiese. Adesso c’è un atteggiamento differente. Colpiscono tutto e tutti: le istituzioni, le banche, le scuole… E gli uomini, senza troppe distinzioni. Si stanno trasformando in una forza politica. Con un’agenda ancora non chiara, ma appoggi dentro e fuori la Nigeria. La comunità internazionale dovrebbe aiutarci a scoprirli. 

Non è una guerra di religione, quindi. 
Lo abbiamo sempre detto, ma quello che sta succedendo lo conferma. Le bombe come quelle alla stazione dei bus di Abuja non distinguono tra cristiani e musulmani. Anche al Nord, ormai, si vedono attacchi che hanno solo spiegazioni politiche. I terroristi cercano l’anarchia e il caos. Certo, poi quando attaccano gli uomini di Dio lo fanno per motivi religiosi. Ma sono piani che si intrecciano. E rendono tutto più complicato.

Per voi, però, cambia poco: continuate ad essere i primi bersagli.
Nelle loro teste rimane l’idea di spazzare via il cristianesimo e rimpiazzarlo con l’islam, su questo non c’è dubbio. La Chiesa è sempre sotto attacco. Molte delle scuole assaltate, per esempio, sono cristiane, e non è un caso. Abbiamo tanti nemici anche in casa, all’interno del sistema. Ma spero con forza che troveremo le parole giuste per purificare i loro cuori e le loro intenzioni. 

E da dove possono venire queste parole? Al Meeting di Rimini, due anni fa, lei ricordava una frase che dice spesso anche ai suoi fedeli in cerca di vendetta: «Il cristianesimo non riguarda la guerra, ma la pace». Cosa vuol dire? Qual è il ruolo della Chiesa, in questa situazione?
Rendere possibile il dialogo e la speranza. Non è facile: i terroristi sono così abituati a distruggere e uccidere che quasi non sono più in grado di ascoltare l’altro. Ma noi dobbiamo continuare a pregare Dio perché cambi i cuori. Dobbiamo richiamare sempre alla non violenza. E incoraggiare la nostra gente, specialmente i più giovani, a non avere paura. Molti di loro stanno vivendo una vita piena di drammi, di confusione… Il nostro ruolo è dare speranza. È ricordare alla gente: «Non fermatevi al buio, non è quello che conta. C’è ancora luce».

Dove?
In cima al Calvario. Siamo messi alla prova, ma la nostra vita è una vita con Gesù e per Gesù. Ed è illuminata dalla Risurrezione. 

A Rimini lei ricordava che «Gesù è morto sulla croce, con questa apertura delle braccia con cui vuole abbracciare tutta l’umanità». Che cosa vuole dire oggi in Nigeria?
L’altro giorno, per prepararci alla Pasqua, abbiamo fatto un incontro in una chiesa di Jos con i giovani che cantano nei cori parrocchiali. Gli ho detto: «Noi siamo il popolo della speranza. Non possiamo essere frustrati da chi vuole abbattere la nostra speranza. Non importano gli attacchi, la povertà sociale, l’amarezza nei confronti del Governo che non si occupa dei giovani. Non è quello che vince. La nostra speranza è Cristo. Nella luce di Cristo, ce la faremo». Gli ho chiesto di ripeterlo: «We shall overcome, ce la faremo». Lo hanno fatto tutti, in coro. Poi abbiamo pregato. Erano centinaia. Avrebbe dovuto vederli in faccia. Ci sono le violenze, la povertà, i problemi. Ma la nostra speranza ha una radice più salda: Gesù, che è via, verità e vita. E la Sua Risurrezione. 

Ma che significato ha la Pasqua in un Paese che vive una continua Passione?
Noi nigeriani siamo un popolo che ha sofferto molto. Siamo abituati a «soffrire sorridendo», come dice una nostra canzone. A volte da fuori può sembrare che il Paese sia sul punto di disintegrarsi, di spaccarsi. Ma noi abbiamo la capacità di stare uniti. La Pasqua per noi ha questo senso: noi cristiani possiamo essere indeboliti, feriti, sembrare sconfitti, ma c’è la Risurrezione. E questo annuncio continua a diffondersi.

Come sarà la sua Pasqua?
In questi giorni io non starò a Jos: andrò nei villaggi qui intorno dove non c’è una parrocchia o la chiesa. Torno in città solo per la veglia di sabato sera, ma poi riparto, per condividere quei giorni con chi soffre di più. Sarò tra la gente proprio per portare questo messaggio di speranza: possiamo essere trascurati dai nostri leader politici, possono attaccarci, farci del male. Ma non saremo mai sconfitti. Sarò li a incoraggiare il mio popolo. La gente ha ancora sete della parola di Dio. Serve per vivere. 

Da cosa lo vede?
Dal fatto che vengono in chiesa anche se rischiano la vita. Perché la possibilità di essere attaccati c’è, ed è alta; ma la gente viene. L’altroieri c’erano le cresime: la cattedrale era piena. E le chiese saranno piene anche oggi. E venerdì. E domenica. Chi crede vuole vincere la paura. 

E ci riesce?
Giorni fa ho chiesto ai fedeli di radunarsi sul posto dove costruiremo la nuova cattedrale. Di solito la gente ha paura di raduni del genere: dove c’è folla non sai mai cosa potrà succedere. Bene: era pieno di persone. Una marea. È un popolo che ha radici salde nella fede. Sono una grande testimonianza. E danno coraggio anche a me, che sono il loro pastore. Esco di casa e so che potrebbe essere l’ultima volta. Ma so anche che lo faccio per loro e per la gloria di Dio.


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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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