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I FONDAMENTI DEL CRISTIANESIMO

Ultimo Aggiornamento: 18/10/2018 14:41
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19/04/2010 23:22
 
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L'ATTO di FEDE
secondo il Cattolicesimo



In questo capitolo vedremo
- cos'è l'atto di fede cristiano (cattolico)

a) nei primi ascoltatori degli apostoli
b) negli uomini di oggi
c) negli apostoli, che hanno fatto un atto di fede in Gesù;

- analizzeremo le reazioni possibili dell'ascoltatore di fronte all'annuncio della fede cristiana;
- tratteremo della fede come dono di Dio.

Appendice: informazioni sugli apostoli



1. Introduzione

Gesù è risorto o no?

Possiamo ora farci un'opinione nostra?


Prima di affrontare il nostro problema, crediamo utile premettere alcune considerazioni sull'atto di fede in generale.
Atto di fede è accettare come vera un’affermazione che per noi non è evidente, non è controllabile, non è dimostrabile, fidandoci dell’attendibilità delle persone che la sostengono.
Per fare questo è necessario però che il contenuto dell'affermazione non sia assurdo per noi.
Normalmente si arriva alla decisione di accettare qualcosa d'inevidente dopo aver analizzato il "testimone" per vedere se fornisce "garanzie" sufficienti di credibilità e cioè se conosce bene le cose che dice (competenza) ed è onesto nel dirle (onestà).
La valutazione se le garanzie offerte del testimone siano "sufficienti" è soggettiva, dipende dalla persona che sceglie se fidarsi o no.



* Applichiamo alla risurrezione di Gesù.
Poiché noi non siamo testimoni diretti di essa, la nostra domanda diventa: coloro che l'hanno raccontata sono degni di fiducia? Che "garanzie" portano?

Si noti che la situazione è diversa a seconda che si parli
- degli immediati ascoltatori degli apostoli
- degli uomini di oggi.
Faremo perciò due trattazioni separate.



2. La fede dei discepoli degli apostoli


Quando gli apostoli hanno predicato la risurrezione di Gesù, i loro ascoltatori si sono domandati:
«Costoro stanno dicendo il vero riguardo a Gesù? Sono persone degne di fiducia? Che garanzie di credibilità offrono?» (Cfr. Atti 2,37; 7,54; 8,6.12.34-37; 10,44-46; 11,20-24; c. 13-14; c. 16-19...).
Il metodo attraverso il quale potevano ricavare una risposta era diverso a seconda che essi fossero stati ebrei o pagani.

a) Per gli ebrei:
Avendo sentito gli apostoli affermare che Gesù era morto e risorto «secondo le Scritture» (1 Cor 15,3-5; At 2; 10; 13; 17,1-4), e che quindi era il messia atteso, non avevano che da controllare le Scritture per vedere se le affermazioni degli apostoli corrispondevano a verità (Atti 13,42-45; 14,1-3; 17,3-4.11-12).
E poiché per gli ebrei religiosi le Scritture erano (e sono tuttora) accettate come parola di Dio, qualora la loro indagine fosse risultata positiva, avevano gli elementi "sufficienti" per poter aderire al Cristianesimo e di fatto molti aderirono (per es. Atti 2,41; 5,14.28; 6,1.7; cfr. anche Lc 24, 25-27 e Gv 5, 44) e aderiscono anche oggi.

b) Per i pagani:
I pagani, che non avevano le "Scritture" da consultare, non potevano fare altro che cercare di stabilire se gli apostoli meritassero o non meritassero fiducia in relazione a quello che annunciavano e cioè verificare
- se non si fossero ingannati (competenza);
- se non volessero ingannare (onestà).

Per poterlo fare adeguatamente, dovevano analizzare:
- la coerenza del messaggio in se stesso,
- la coerenza di vita degli apostoli, il loro disinteresse, il loro coraggio nell’affrontare le persecuzioni, ed eventualmente ottenere conferme da qualche altro testimone.

A volte a spingere i pagani a credere interveniva anche qualche «fatto miracoloso», che serviva, secondo il libro degli Atti di apostoli, a confermare quanto gli apostoli andavano dicendo (es. Atti 13,12; 14,8-20).

Il libro degli Atti molte volte chiama in causa anche l’azione di Dio (dello Spirito Santo) per «toccare il cuore» degli ascoltatori e farli credere. Per i cristiani questo intervento è verissimo. Valga come prova per es. Atti 13,48: «quanti erano preordinati alla vita eterna, credettero». Tuttavia dal punto di vista storico un intervento di Dio non è dimostrabile e quindi una corretta esposizione dei fatti non deve qui prendere in considerazione questo intervento.

Di fatto molti pagani hanno giudicato "sufficienti" le garanzie fornite dagli apostoli e perciò hanno scelto di fidarsi di loro e di aderire quindi al Cristianesimo.



In sintesi:

l’atto di fede dei diretti ascoltatori degli apostoli è stato un atto di fiducia negli apostoli per ciò che riguarda la loro testimonianza su Gesù. Li hanno conosciuti e li hanno giudicati testimoni attendibili.

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3. L’atto di fede dei cristiani di oggi

Chi ascolta oggi l'annuncio della risurrezione non può non chiedersi: « Ma questa asserita risurrezione sarà avvenuta realmente?».

Si tratta di un fatto eccezionale e per di più senza testimoni diretti, un fatto al di fuori dell'esperienza comune (gli apostoli non dicono di avere visto Gesù risorgere, ma di averlo visto già risorto).

Inoltre noi, educati dal materialismo, siamo spinti con più facilità rispetto agli antichi a pensare che con la morte finisca tutto.

Tuttavia due sole risposte sono possibili sul piano storico:

o Gesù è risorto, o non è risorto.

Qualcuno potrebbe tentare di liquidare subito il problema, affermando che la risurrezione è scientificamente impossibile e quindi non può essere successa.
Poiché non si riesce (per ora?) a ripetere in laboratorio una risurrezione su cui fare studi e analisi, è chiaro che non possiamo collocare il discorso su questo piano.Uno scienziato serio dovrebbe dire: Io non so che cosa sia possibile in natura. Prima fammelo succedere e poi io lo prenderò in considerazione.

Dobbiamo pertanto collocarci sul piano storico.

Il problema allora si riduce a questo:

Chi, come noi, non ha conosciuto gli apostoli, ma ha a disposizione i documenti del Nuovo Testamento e pochi altri documenti, come deve regolarsi? Come deve interpretare i testi: secondo la scuola tradizionale, o secondo la scuola critica, o secondo la scuola mitica, oppure accettare la malafede degli apostoli?


a) L’atto di fede: atto di fiducia nella Chiesa

Secondo i cattolici, l’atto di fede è prima di tutto un atto di fiducia nella Tradizione (sia orale, sia scritta), cioè nella comunità cristiana (Chiesa).

Cristiano è colui che decide di fidarsi della Chiesa che

- abbia valutato con sufficiente spirito critico le persone degli apostoli e le loro testimonianze orali e scritte;

- abbia scelto quei testi che erano veramente conformi alla loro predicazione (cfr. canone del N.T., pag. 46 e segg.);

- abbia fedelmente trasmesso i testi lungo i secoli (cfr. trasmissione del N.T., pag 58 e segg.);

- li abbia correttamente interpretati, secondo quanto veramente volevano dire;

- ne abbia ininterrottamente trasmessa anche l’interpretazione.

Fidarsi della Chiesa non vuol dire accettare che, lungo i secoli, tutti i singoli cristiani (e la gerarchia in particolare) abbiano sempre vissuto coerentemente con i testi che hanno predicato. Vuol solo dire accettare che essa abbia conservato e trasmesso correttamente la vera tradizione apostolica, sia orale, sia scritta.

Secondo i cattolici (e anche secondo altri gruppi cristiani come ortodossi, anglicani,...) la fede cristiana non può essere un atto di fiducia nei testi, ma prima di tutto deve essere un atto di fiducia nella comunità cristiana che li ha prodotti.
Il Cristianesimo, infatti, è sorto verso il 30, mentre i primi documenti cristiani che possediamo sono posteriori al 50. Perciò il Cristianesimo c’era già quando i documenti non c’erano ancora.



b) Le argomentazioni a favore della storicità della risurrezione

Basandosi dunque sui testi del Nuovo Testamento, i cristiani (cattolici) hanno dovuto prima di tutto rispondere alle negazioni della scuola critica e della scuola mitica e poi portare ragioni positive a favore della risurrezione di Gesù.

NB. La "scuola ebraica" che sostiene la malafede degli apostoli verrà trattata più avanti.



1. Risposte alla scuola critica

Dall’esame dei racconti evangelici della risurrezione, si vede che i testi, pur con qualche divergenza e contraddizione, nella sostanza intendono raccontare che Gesù è veramente risorto.

Benché non raccontino il fatto della risurrezione (nessun discepolo l’ha visto), raccontano che almeno alcuni discepoli/discepole

- hanno visto Gesù morto e l’hanno sepolto;

- hanno trovato il suo sepolcro vuoto (...però c'erano i lini);

- hanno visto Gesù nuovamente vivo (apparizioni) e da ciò hanno dedotto che egli era risorto.

La scuola critica ha cercato di contestare questi dati (sempre però partendo dal presupposto della buona fede degli apostoli, che si sarebbero sbagliati nell’interpretare i fatti visti).

1) Quanto alla morte di Gesù: è difficile accettare che non ci sia stata, sia per l’esperienza che i romani avevano in fatto di crocifissione e sia per il colpo di lancia (colpo di grazia) inferto al costato di Gesù (Gv 19,31-35).

2) Quanto al sepolcro trovato vuoto: è difficile pensare allo sbaglio di sepolcro. Gli evangelisti infatti mettono in evidenza che le donne, che la domenica mattina hanno trovato il sepolcro vuoto, sono le stesse che il venerdì sera hanno osservato dove il corpo di Gesù era stato deposto: cfr. Mc 15,47; Lc 23,55-56; Mt 27,61.

Il fatto poi che i vangeli presentino come testimoni della tomba vuota delle donne, la cui testimonianza era vista con diffidenza presso gli ebrei, rende inverosimile un’invenzione tardiva del sepolcro vuoto. L'avrebbero fatto trovare vuoto da uomini.

Stando poi al vangelo secondo Matteo (27,64 e 28,13), persino gli avversari di Gesù, cioè gli ebrei non cristiani, ammettono che la sua tomba fosse vuota: fanno infatti girare la voce che i suoi discepoli, venuti di notte, rubarono il cadavere (cfr. Gv 20,3-10).

Spesso si fa anche l'ipotesi del trafugamento del cadavere.
Essa è fatta soprattutto in ambiente ebraico: cfr. Mt 28,13 e Dialogo con Trifone di Giustino.
- Se così fosse, i discepoli (almeno alcuni) non sarebbero in buona fede (come vorrebbe la scuola critica).
- Questa ipotesi però contraddice il racconto di Giovanni, testimone oculare, il quale, dalla collocazione dei lini nel sepolcro, quel mattino concluse che non avevano potuto rubare il cadavere, ma che Gesù era risorto (Gv 20,1-11).
- Per poter sostenere questa affermazione, occorrerebbe aver trovato il cadavere di Gesù. Cosa che non avvenne.
- Il trafugamento di un cadavere era reato grave sia per la legge ebraica, sia per quella romana. E tuttavia non si ha notizia di processi contro cristiani per tale reato.

3) Quanto alle apparizioni di Gesù risorto occorre notare: siamo sicuri che siano proprio avvenute? Non potrebbe essersi trattato di allucinazione collettiva, di ipnosi, di sosia...?

- I documenti ci dicono che gli apostoli stessi si sono posti il problema di essere di fronte ad allucinazioni o simili (cfr. Lc 24,36-43; il caso di Tommaso - Gv 20,24-29) e che l’hanno risolto a favore della risurrezione.

E non vale obiettare: «Ma i testi che possediamo sono scritti da cristiani», perché in storia un documento si deve accettare come vero fino a quando non si prova il contrario.
Perché negare agli autori cristiani quel credito di buona fede che si concede a tutti gli altri storici? La malafede va provata! E poi gli apostoli sono diventati «cristiani» (cioè seguaci di Cristo) proprio dopo aver visto Lui risorto.

- Le apparizioni, narrate da molte fonti (l’elenco più completo è in 1 Cor 15,3-10), non erano previste, né attesedagli apostoli, , anzi furono accolte con dubbi ed incredulità (Mt 28,17; Mc 16,11.13.14; Lc 24,11.36-43; Gv 20,24-29).



2. Rilievi alla scuola mitica

- Affermare che la risurrezione è un «mito», un modo di dire, usato dagli apostoli per dire qualcos’altro, va provato.

- Occorre anche demolire la testimonianza di Paolo in 1 Cor 15 che dice:

«apparve a più di 500 fratelli in una volta sola, molti dei quali sono ancora vivi...» e poi «apparve anche a me».

Non si fa così anche oggi per provare un fatto?

- Paolo conosce perfettamente il greco, l’ebraico e l’aramaico. Resta difficile accettare che abbia capito male quanto i primi apostoli volevano dire.



3. Le ragioni a favore della storicità dei racconti

a) È possibile che gli apostoli abbiano inventato, sia pure in buona fede, la risurrezione?

Quest'ipotesi urta contro alcuni dati di fatto:

- la risurrezione non era attesa.

Gli annunci di Gesù sulla sua risurrezione non determinarono nessuna cosciente aspettativa negli apostoli: cfr. Mc 8,31; 9,9; 9,31; 10,34; 14,25-28-62; Lc 11,29-30; 13,32; 17,26-27; Mt 12,40; 24,27-39; Gv 2,19;...

Un testo fra tutti:

«Quando poi discesero dal monte, Gesù comandò loro (cioè a Pietro, Giacomo e Giovanni) di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, fino a quando il Figlio dell’uomo non fosse risuscitato dai morti. Essi osservarono l’ordine, ma intanto si chiedevano tra loro che cosa significasse quel "risorgere dai morti"» (Mc 9,9-10).

Nel giudaismo infatti la risurrezione era attesa - e neanche da tutti (cfr. Mt 22,23; At 23,6) - alla fine dei tempi e non subito dopo la morte (cfr. Gv 11,24).

- Come mai gli apostoli, che pure vogliono far credere la risurrezione, non la raccontano mai, come invece fa per es. il vangelo di Pietro (apocrifo)?

- Perché gli apostoli o i loro discepoli non si preoccupano di rendere credibile la loro testimonianza, armonizzando le narrazioni della risurrezione in modo da eliminare almeno le divergenze e le contraddizioni più palesi?

- Perché raccontano di aver trovato il sepolcro già aperto, cosa che avrebbe potuto far sospettare l’asportazione del cadavere? Non sarebbe stato più spettacolare dire che la pietra era al suo posto, magari coi sigilli intatti, e far risorgere Gesù nel momento in cui viene tolta la pietra?

- Che cosa ci guadagnavano ad inventare la risurrezione? A che pro sopportare tutte le fatiche della predicazione (2 Cor 11)? Perché perdere la fama, il lavoro, le amicizie, i beni? Perché rischiare la scomunica da parte dei capi ebrei? Perché accettare di andare davanti ai tribunali?

- Che cosa avrebbero potuto fare di più per testimoniare la loro convinzione nella risurrezione? Lasciarono il lavoro, la famiglia, la patria. Girarono il mondo (almeno alcuni di cui abbiamo notizie sicure), subirono persecuzioni... fino a morire. Chi glielo faceva fare? Solo il fanatismo? E perché allora raccontano di aver dubitato, oppure che Tommaso volle controllare (Gv 20)?

- Come spiegare che, mentre da giovani abbandonarono Gesù, da vecchi, col decadere degli entusiasmi, ebbero il coraggio di dare la vita per lui?

- Le apparizioni di Gesù, allucinazioni di fanatici? E come mai si hanno solo in un tempo limitato (poche settimane)? Il fanatismo era terminato?

b) La testimonianza di Paolo di Tarso: da persecutore che era, si è convertito, quando ha visto Gesù risorto (At 9,1-22; 22,6-16; 26,12-18; Gal 1,11-24; 1 Cor 15,8).

Questa testimonianza ha un notevole peso e non è facile da demolire, perché è sostenuta da tutta la vita di Paolo, con quanto egli ha fatto e sofferto per il nome di Gesù.

Un testo per tutti:

"Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno" (Fil 1,21).

Certo si deve concludere che Paolo era una persona convinta. Ed è difficile spiegare la sua convinzione con un semplice colpo di sole sulla via di Damasco!

* Si noti però che questi argomenti (ed altri che si potrebbero portare), quantunque forti, non sono tali da dimostrare la risurrezione.

Se così fosse, tutti gli intelligenti sarebbero cristiani e tutti gli stupidi no!

Per la risurrezione non si possono portare prove, ma solo garanzie, indizi. Ne consegue che l’atto di fede sarà sempre un atto libero (= non costretto dall’evidenza), ma non stupido (perché ci sono garanzie).

Valutare se gli apostoli meritano fiducia è sempre un atto di notevole complessità, sia perché gli elementi da analizzare sono molti (tutti i documenti delle prime chiese e la loro trasmissione), sia soprattutto perché, nello stabilire il peso da attribuire ad ogni singolo elemento, interviene in modo decisivo la persona che lo valuta, con tutta la sua esperienza, ma anche con tutta la sua soggettività. Per questo nessun elemento sarà decisivo per convincere, in quanto, con un po’ di buona volontà, potrà sempre essere interpretato anche in altro modo.

D’altra parte nessuno potrà forse mai dimostrare con argomenti inoppugnabili che i motivi su cui si fonda la fiducia verso una persona sono falsi.

La «forza» degli argomenti che vengono portati non sta in ciascuno di essi (presi singolarmente potrebbero infatti essere scalzati), ma forse nella loro «convergenza» (card. Newman, fine 1800).

Non stupisca questa affermazione, quasi che la somma di molti argomenti incerti possa dare la certezza. Sembra che in questioni storiche la cosa stia proprio così: di per sé un solo testimone veritiero è tanto attendibile quanto mille, eppure mille testimoni, ciascuno dei quali può sbagliare, ci danno una garanzia maggiore che non uno solo, soprattutto se si vede che sono indipendenti l'uno dall'altro.

Da quanto detto si deduce che la fede non potrà essere «dimostrata». Se così fosse, sarebbe ancora fede? Nell’atto di fede infatti intervengono sempre dei fattori arazionali che influiscono notevolmente sul giudizio.

Credere non sarà mai un atto razionale (= dimostrabile razionalmente) o irrazionale (= assurdo), sarà solo un atto ragionevole, altrettanto ragionevole quanto il non credere.

Pascal diceva: «A volte il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce».

In sintesi:

l’atto di fede degli uomini di oggi implica due passi successivi:

1) fiducia nella Chiesa che abbia tramandato bene il genuino insegnamento degli apostoli e ne garantisca la fedele conservazione nel Nuovo Testamento;

2) fiducia negli apostoli che dicano il vero quando affermano che Gesù è risorto e raccontino le cose da lui dette e fatte.

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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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