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PERLE PATRISTICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:57
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08/11/2012 08:36
 
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Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Catech. 5 sulla fede e il simbolo, 12-13; PG 33, 519-523)
Il simbolo della fede

Nell'apprendere e professare la fede, abbraccia e ritieni soltanto quella che ora ti viene proposta dalla Chiesa ed è garantita da tutte le Scritture. Ma non tutti sono in grado di leggere le Scritture. Alcuni ne sono impediti da incapacità, altri da occupazioni varie. Ecco perché, ad impedire che l'anima riceva danno da questa ignoranza, tutto il dogma della nostra fede viene sintetizzato in poche frasi.
Io ti consiglio di portare questa fede con te come provvista da viaggio per tutti i giorni di tua vita e non prenderne mai altra fuori di essa, anche se noi stessi, cambiando idea, dovessimo insegnare il contrario di quel che insegniamo ora, oppure anche se un angelo del male, cambiandosi in angelo di luce, tentasse di indurti in errore. Così «se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che abbiamo predicato, sia anàtema!» (Gal 1, 8).
Cerca di ritenere bene a memoria il simbolo della fede. Esso non è stato fatto secondo capricci umani, ma è il risultato di una scelta dei punti più importanti di tutta la Scrittura. Essi compongono e formano l'unica dottrina della fede. E come un granellino di senapa, pur nella sua piccolezza, contiene in germe tutti i ramoscelli, così il simbolo della fede contiene, nelle sue brevi formule, tutta la somma di dottrina che si trova tanto nell'Antico quanto nel Nuovo Testamento.
Perciò, fratelli, conservate con ogni impegno la tradizione che vi viene trasmessa e scrivetene gli insegnamenti nel più profondo del cuore.
Vigilate attentamente perché il nemico non vi trovi indolenti e pigri e così vi derubi di questo tesoro. State in guardia perché nessun eretico stravolga le verità che vi sono state insegnate. Ricordate che aver fede significa far fruttare la moneta che è stata posta nelle vostre mani. E non dimenticate che Dio vi chiederà conto di ciò che vi è stato donato.
«Vi scongiuro», come dice l'Apostolo, «al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose, e di Cristo Gesù, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato» (1 Tm 6, 13), conservate intatta fino al ritorno del Signore nostro Gesù Cristo questa fede che vi è stata insegnata.
Ti è stato affidato il tesoro della vita, e il Signore ti richiederà questo deposito nel giorno della sua venuta «che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e Signore dei signori; il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere» (1 Tm 6, 15-16). Al quale sia gloria, onore ed impero per i secoli eterni. Amen.
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11/11/2012 07:24
 
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Dall\'«Omelia» di un autore del secondo secolo
(Capp. 1, 1 - 2, 7; Funk, 1, 145-149)
Cristo volle salvare tutto ciò che andava in rovina

Fratelli, ravviviamo la nostra fede in Gesù Cristo, vero Dio, giudice dei vivi e dei morti, e rendiamoci consapevoli dell\'estrema importanza della nostra salvezza. Se noi svalutiamo queste grandi realtà facciamo male e scandalizziamo quelli che ci sentono e mostriamo di non conoscere la nostra vocazione né chi ci abbia chiamati né per qual fine lo abbia fatto e neppure quante sofferenze Gesù Cristo abbia sostenuto per noi.
E quale contraccambio potremo noi dargli o quale frutto degno di quello che egli stesso diede a noi? E di quanti benefici non gli siamo noi debitori? Egli ci ha donato l'esistenza, ci ha chiamati figli proprio come un padre, ci ha salvati mentre andavamo in rovina. Quale lode dunque, quale contraccambio potremo dargli per ricompensarlo di quanto abbiamo ricevuto? Noi eravamo fuorviati di mente, adoravamo pietre e legno, oro, argento e rame lavorato dall'uomo. Tutta la nostra vita non era che morte! Ma mentre eravamo avvolti dalle tenebre, pur conservando in pieno il senso della vista, abbiamo riacquistato l'uso degli occhi, deponendo, per sua grazia, quel fitto velo che li ricopriva.
In realtà, scorgendo in noi non altro che errori e rovine e l\'assenza di qualunque speranza di salvezza, se non di quella che veniva da lui, ebbe pietà di noi e, nella sua grande misericordia, ci donò la salvezza. Ci chiamò all\'esistenza mentre non esistevamo, e volle che dal nulla cominciassimo ad essere.
Esulta, o sterile, tu che non hai partorito; prorompi in grida di giubilo, tu che non partorisci, perché più numerosi sono i figli dell'abbandonata dei figli di quella che ha marito (cfr. Is 54, 1). Dicendo: Esulta, o sterile, tu che non hai partorito, sottolinea la gioia della Chiesa che prima era priva di figli e poi ha dato noi alla luce. Con le parole: Prorompi in grida di giubilo?, esorta noi ad elevare a Dio, sempre festosamente, le voci della nostra preghiera. Con l'espressione: Perché più numerosi sono i figli dell\'abbandonata dei figli di quella che ha marito, vuol dire che il nostro popolo sembrava abbandonato e privo di Dio e che ora, però, mediante la fede, siamo divenuti più numerosi di coloro che erano guardati come adoratori di Dio.
Un altro passo della Scrittura dice: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9, 13). Dice così per farci capire che vuol salvare quelli che vanno in rovina. Importante e difficile è sostenere non ciò che sta bene in piedi, ma ciò che minaccia di cadere. Così anche Cristo volle salvare ciò che stava per cadere e salvò molti, quando venne a chiamare noi che già stavamo per perderci.
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13/11/2012 06:57
 
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Dall'«Omelia» di un autore del secondo secolo
(Capp. 8, 1 - 9, 11; Funk, 1, 152-156)
La conversione sincera

Finché viviamo in questo mondo, facciamo penitenza. In realtà noi non siamo che un poco di fango tra le mani di chi lo plasma. Se un vasaio, che lavora un pezzo di creta per ricavarne un vaso, vede che questo gli esce sformato o che gli si spezza tra le mani, lo impasta di nuovo. Se invece pensa di metterlo nella fornace lo lascia com'è. Anche nella nostra esistenza c'è una situazione nella quale è possibile un rifacimento in meglio, e un\'altra nella quale non lo è più. Infatti durante la vita terrena noi abbiamo tempo e modo di far penitenza dei nostri peccati e così ottenere la salvezza dal Signore.
Usciti che saremo da questo mondo, non potremo più convertirci né espiare il male commesso. Perciò, fratelli, compiamo la volontà del Padre, conserviamo casto il nostro corpo e osserviamo i comandamenti del Signore, e così raggiungeremo la vita eterna. Per questo dice il Signore nel vangelo: Se non sarete stati fedeli nel poco, chi vi affiderà il molto? Perciò vi dico: Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto (cfr. Lc 16, 10-11). Vuol dire questo: conservate casto il corpo e immacolato il carattere del cristiano per essere degni di riprendere la vita.
E nessuno di voi osi affermare che questo corpo non sarà glorificato e non risorgerà. Riflettete un poco: in quale situazione siete stati redenti e avete ricevuto la vita spirituale, se non mentre vivevate in questo corpo? Ecco perché dobbiamo custodire il corpo come un tempio di Dio. Ma poiché siete stati chiamati nel corpo, così nel corpo verrete anche giudicati. Se Cristo Signore, che ci ha salvati, volle prendere figura umana, mentre prima era solo spirito, e così ci ha chiamati a sé, anche noi riceveremo la nostra mercede in questo corpo. Amiamoci dunque gli uni gli altri, per giungere tutti nel regno di Dio. Finché abbiamo tempo per guarire, affidiamoci a Dio, nostro medico, e consegniamo nelle sue mani i nostri pochi meriti. Quali meriti? Quelli che si acquistano mediante la penitenza fatta con cuore sincero. Egli conosce ogni cosa prima che avvenga e nulla gli sfugge di tutto ciò che si agita nel nostro cuore. Diamogli lode, dunque, non solo con la bocca, ma anche col cuore, perché ci possa ricevere come figli. Per questo il Signore disse: Miei fratelli sono coloro che fanno la volontà del Padre mio (cfr. Lc 8, 21, ecc.).
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14/11/2012 07:37
 
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Dall'«Omelia» di un autore del secondo secolo
(Capp. 10, 1 - 12, 1; 13, 1; Funk, 1, 157-159)
Attendiamo il premio, pieni di speranza

Fratelli miei, facciamo la volontà del Padre, il quale ci ha chiamati perché, praticando la virtù, avessimo la vita; correggiamo le cattive inclinazioni che ci dispongono ai delitti e fuggiamo l'empietà perché non ci sorprendano dei mali. Se infatti cercheremo di fare il bene, ci seguirà sempre la pace. Questa non si lascia trovare da coloro che sono guidati da timori umani e preferiscono i beni presenti alla promessa dei beni futuri. Essi non sanno quante amarezze nascondono i piaceri di questo mondo, quali delizie invece i beni futuri. E se fossero soli nel tenere questa linea di condotta il male non sarebbe tanto grande. Il peggio si è che con le loro perverse opinioni corrompono anime innocenti e non sanno che, così facendo, incontreranno una doppia condanna per sé e per chi li ascolta. Cerchiamo di servire Dio con cuore puro e saremo giusti. Se invece non lo serviremo per mancanza di fede nelle sue promesse, saremo ben miserabili. È stato scritto infatti: Miseri sono coloro che hanno l'animo doppio e incostante e dicono: Tutto questo lo abbiamo già sentito al tempo dei nostri padri; ma noi, pur aspettando di giorno in giorno, non abbiamo visto nulla di ciò che fu predetto. O stolti, paragonatevi a una pianta da frutto. Prendete come esempio una vite. In un primo tempo è priva anche di foglie. In seguito spuntano le gemme, quindi viene il tenero grappolo acerbo e finalmente ecco l'uva matura. Così anche il mio popolo ha sopportato calamità e angustie; ma poi non ne riceverà che bene.
Fratelli miei, non siamo di animo doppio, ma sopportiamo pieni di speranza, per riportare a suo tempo il premio. Colui che ha promesso è fedele, e renderà a ciascuno in misura delle proprie opere. Se compiremo opere di giustizia davanti a Dio, entreremo nel suo regno e riceveremo in premio ciò che orecchio non udì, né occhio vide, né mai entrò in cuore d'uomo (cfr. 1 Cor 2, 9). Attendiamo di ora in ora il regno di Dio nella carità e nella giustizia, poiché non conosciamo il giorno della venuta del Signore. Facciamo penitenza in tempo, diamoci con salda volontà a fare il bene, perché siamo pieni di stoltezza e di malizia. Cancelliamo dalla nostra anima i peccati di ieri e dedichiamoci a una vera penitenza, per meritare la salvezza. Guardiamoci dall'adulazione e procuriamo di fare del bene non solo ai fratelli, ma anche a coloro che sono estranei alla nostra fede. Pratichiamo con essi la giustizia, perché il nome di Dio non sia bestemmiato per colpa nostra (cfr. Rm 2, 24).
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15/11/2012 08:58
 
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Dall'«Omelia» di un autore del secondo secolo
(Capp. 13, 2 - 14, 5; Funk, 1, 159-161)
La Chiesa viva è corpo di Cristo

Dice il Signore: Il mio nome è bestemmiato tra tutti i popoli (cfr. Is 52, 5). E ancora: Guai a colui a causa del quale il mio nome viene bestemmiato (cfr. Rm 2, 24). Ma perché viene bestemmiato? Perché noi non mettiamo in pratica ciò che insegniamo. Infatti la gente, sentendo dalla nostra bocca le parole di Dio, ne resta stupita, perché quelle parole sono buone, sono stupende. Ma poi, notando che le nostre azioni non corrispondono alle parole che diciamo, ecco che prorompono in bestemmie, affermando che tutto ciò non è che una favola e una serie di inganni.
Sentono da noi ciò che dice Dio: Non è per voi un merito, se amate quelli che amano voi; merito lo avete se amate i vostri nemici e coloro che vi odiano (cfr. Mt 5, 46). Udendo ciò, ammirano la nobiltà di tanto amore. Ma vedono poi che noi, non soltanto non amiamo quelli che ci odiano, ma nemmeno quelli che ci vogliono bene. Allora si fanno beffe di noi e così il nome di Dio è bestemmiato. Fratelli, compiamo la volontà di Dio, Padre nostro, e faremo parte di quella Chiesa spirituale che fu creata prima ancora del sole e della luna. Ma se non faremo la volontà del Signore, sarà per noi quell'affermazione della Scrittura che dice: La mia casa è diventata una spelonca di ladri (cfr. Ger 7, 11; Mt 21, 13). Perciò facciamo la nostra scelta, cerchiamo di appartenere alla Chiesa della vita, per essere salvi. Penso che sappiate che la Chiesa viva «è corpo di Cristo» (1 Cor 12, 27). Ecco perché la Scrittura dice: «Dio creò l'uomo maschio e femmina» (Gn 1, 27; 5, 2). L'uno è Cristo, l'altra è la Chiesa. Del resto anche la Scrittura e gli apostoli affermano che la Chiesa non ha avuto origine in questo tempo, ma è da sempre, perché è spirituale, come il nostro Gesù; ma si è manifestata in questi ultimi tempi per dare a noi la salvezza. Questa Chiesa, che è spirituale, è apparsa nella carne di Cristo per ricordarci che, se uno di noi le è fedele nella carne e non l'abbandona, la riceverà nello Spirito Santo. In realtà questa carne è immagine dello spirito. Chi dunque perderà la copia, non potrà ricevere il modello originale. Perciò così ci parla, o fratelli: rispettate la carne, per essere partecipi dello spirito. Ma se diciamo che la carne è la Chiesa e lo spirito è Cristo, ne consegue che chi profana la carne, profana anche la Chiesa. Egli, di conseguenza, non sarà partecipe dello spirito che è Cristo. Questa carne, dunque, può ricevere, con l\'aiuto dello Spirito Santo, una vita mirabile e la stessa incorruzione, e nessuno è in grado di spiegare o dire ciò che Dio ha preparato per i suoi eletti.
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16/11/2012 08:17
 
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Dall'«Omelia» di un autore del secondo secolo
(Capp. 15, 1 - 17, 2; Funk, 1, 161-167)
Convertiamoci al Signore che ci ha chiamati

La norma che vi ho dato per una vita morigerata e santa non è da poco. Anzi, è tale che se uno la mette in pratica, non avrà da pentirsi, ma salverà se stesso e anche me che l'ho ammaestrato. È veramente guadagno non piccolo ricondurre sul cammino della salvezza un'anima che si era smarrita o perduta. E questo guadagno noi potremo presentarlo al Signore che ci ha creati, se chi parla e chi ascolta parla e ascolta con fede e carità.
Restiamo saldi in ciò che crediamo, nella giustizia e nella santità, e preghiamo fiduciosamente Dio il quale ci dice: Mentre tu ancora parli, risponderò: Eccomi a te (cfr. Is 58, 9). Questa espressione include una grande promessa, poiché ci fa intendere che è più pronto il Signore a dare, che noi a chiedere. Ma poiché siamo tutti partecipi di questa grande bontà, procuriamo di non invidiarci a vicenda i beni senza numero ricevuti dal Signore.
Pensiamo quanta è la gioia che quelle parole arrecano alle anime operose. Ebbene altrettanta è l'amarezza di condanna che esse portano alle anime disobbedienti.
Fratelli, prendiamo questa bella occasione per far penitenza, e mentre ne abbiamo tempo convertiamoci a Dio che ci ha chiamati e che è pronto ad accoglierci. Se lasceremo tutte le voluttà e non permetteremo che la nostra anima rimanga preda dei cattivi desideri, saremo partecipi della misericordia di Gesù. Sappiate intanto che già «viene il giorno» del giudizio, rovente come un forno, e si dissolveranno in parte i cieli (cfr. Ml 3, 19) e tutta la terra, come piombo che si discioglie al fuoco, e allora si manifesteranno tutte le azioni degli uomini, quelle occulte e quelle già note. Pertanto buona cosa è l'elemosina come penitenza dei peccati. Il digiuno vale più della preghiera, ma l'elemosina conta più di ambedue: «La carità copre una moltitudine di peccati» (1 Pt 4, 8). La preghiera, fatta con animo puro, libera dalla morte, ma è beato colui che è trovato perfetto mediante l'elemosina. Questa infatti libera dal peccato. Facciamo dunque penitenza con tutto il cuore, perché nessuno di noi perisca. Se noi abbiamo l'obbligo di richiamare altri dal culto degli idoli e istruirli, quanto più dobbiamo impegnarci a salvare tutte le anime che già godono della vera conoscenza di Dio! Perciò aiutiamoci l'un l'altro, così da condurre al bene anche i deboli e salvarci tutti, migliorandoci per mezzo della correzione fraterna.
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19/11/2012 07:03
 
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Dal Trattato «La remissione» di san Fulgenzio di Ruspe, vescovo
(Lib. 2, 11, 2 - 12, 1. 3-4; CCL 91 A, 693-695)
Chi vincerà non sarà colpito dalla seconda morte

«In un istante, in un batter d\'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati» (1 Cor 15, 52). Quando dice «noi» Paolo mostra che con lui conquisteranno il dono della futura trasformazione coloro che insieme a lui e ai suoi compagni vivono nella comunione ecclesiale e nella vita santa. Spiega poi la qualità di tale trasformazione dicendo: «È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità» (1 Cor 15, 53). In costoro allora seguirà la trasformazione dovuta come giusta ricompensa a una precedente rigenerazione compiuta con atto spontaneo e generoso del fedele. Perciò si promette il premio della rinascita futura a coloro che durante la vita presente sono passati dal male al bene.
La grazia prima opera, come dono divino, il rinnovamento di una risurrezione spirituale mediante la giustificazione interiore. Verrà poi la risurrezione corporale che perfezionerà la condizione dei giustificati. L'ultima trasformazione sarà costituita dalla gloria. Ma questa mutazione sarà definitiva ed eterna.
Proprio per questo i fedeli passano attraverso le successive trasformazioni della giustificazione, della risurrezione e della glorificazione, perché questa resti immutabile per l'eternità.
La prima metamorfosi avviene quaggiù mediante l'illuminazione e la conversione, cioè col passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla giustizia, dalla infedeltà alla fede, dalle cattive azioni ad una santa condotta. Coloro che risuscitano con questa risurrezione non subiscono la seconda morte. Di questi nell'Apocalisse è detto: «Beati e santi coloro che prendon parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte» (Ap 20, 6).
Nel medesimo libro si dice anche: «Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte» (Ap 2, 11). Dunque, come la prima risurrezione consiste nella conversione del cuore, così la seconda morte sta nel supplizio eterno. Pertanto chi non vuol esser condannato con la punizione eterna della seconda morte s\'affretti quaggiù a diventare partecipe della prima risurrezione. Se qualcuno infatti durante la vita presente, trasformato dal timore di Dio, si converte da una vita cattiva a una vita buona, passa dalla morte alla vita e in seguito sarà anche trasformato dal disonore alla gloria.
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25/11/2012 07:51
 
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Dall'opuscolo «La preghiera» di Origène, sacerdote
(Cap. 25; PG 11, 495-499)
Venga il tuo regno

Il regno di Dio, secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, non viene in modo da attirare l'attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui o eccolo là; il regno di Dio è in mezzo a noi (cfr. Lc 16, 21), poiché assai vicina è la sua parola sulla nostra bocca e nel nostro cuore (cfr. Rm 10, 8). Perciò, senza dubbio, colui che prega che venga il regno di Dio, prega in realtà che si sviluppi, produca i suoi frutti e giunga al suo compimento quel regno di Dio che egli ha in sé. Dio regna nell'anima dei santi ed essi obbediscono alle leggi spirituali di Dio che in essi abita. Così l'anima del santo diventa proprio come una città ben governata. Nell'anima dei giusti è presente il Padre e col Padre anche Cristo, secondo quell'affermazione: «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23).
Ma questo regno di Dio, che è in noi, col nostro instancabile procedere giungerà al suo compimento, quando si avvererà ciò che afferma l'Apostolo del Cristo. Quando cioè egli, dopo aver sottomesso tutti i suoi nemici, consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 24. 28). Perciò preghiamo senza stancarci. Facciamolo con una disposizione interiore sublimata e come divinizzata dalla presenza del Verbo. Diciamo al nostro Padre che è in cielo: «Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno» (Mt 6, 9-10). Ricordiamo che il regno di Dio non può accordarsi con il regno del peccato, come non vi è rapporto tra la giustizia e l'iniquità né unione tra la luce e le tenebre né intesa tra Cristo e Beliar (cfr. 2 Cor 6, 14-15).
Se vogliamo quindi che Dio regni in noi, in nessun modo «regni il peccato nel nostro corpo mortale» (Rm 6, 12). Mortifichiamo le nostre membra che appartengono alla terra (cfr. Col 3, 5). Facciamo frutti nello Spirito, perché Dio possa dimorare in noi come in un paradiso spirituale. Regni in noi solo Dio Padre col suo Cristo. Sia in noi Cristo assiso alla destra di quella potenza spirituale che pure noi desideriamo ricevere. Rimanga finché tutti i suoi nemici, che si trovano in noi, diventino «sgabello dei suoi piedi» (Sal 98, 5), e così sia allontanato da noi ogni loro dominio, potere ed influsso. Tutto ciò può avvenire in ognuno di noi. Allora, alla fine, «l\'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte» (1 Cor 15, 26). Allora Cristo potrà dire anche dentro di noi: «Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?» (1 Cor 15, 55; cfr. Os 13, 14). Fin d'ora perciò il nostro «corpo corruttibile» si rivesta di santità e di incorruttibilità; e ciò che è mortale cacci via la morte, si ricopra dell'immortalità del Padre (cfr. 1 Cor 15, 54). Così regnando Dio in noi, possiamo già godere dei beni della rigenerazione e della risurrezione.
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29/11/2012 07:29
 
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Dalle «Omelie sul vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 33, 1. 2; PG 57, 389-390)
Se saremo agnelli vinceremo,
se lupi saremo vinti

Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi, saremo sconfitti, perché saremo privi dell\'aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli. Per questo se ne andrà e ti lascerà solo, perché gli impedisci di manifestare la sua potenza.
È come se Cristo avesse detto: Non turbatevi per il fatto che, mandandovi tra i lupi, io vi ordino di essere come agnelli e colombe. Avrei potuto dirvi il contrario e risparmiarvi ogni sofferenza, impedirvi di essere esposti come agnelli ai lupi e rendervi più forti dei leoni. Ma è necessario che avvenga così, poiché questo vi rende più gloriosi e manifesta la mia potenza. La stessa cosa diceva a Paolo: «Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si manifesti pienamente nella debolezza» (2 Cor 12, 9). Sono io dunque che vi ho voluto così miti.
Per questo quando dice: «Vi mando come agnelli» (Lc 10, 3), vuol far capire che non devono abbattersi, perché sa bene che con la loro mansuetudine saranno invincibili per tutti.
E volendo poi che i suoi discepoli agiscano spontaneamente, per non sembrare che tutto derivi dalla grazia e non credere di esser premiati senza alcun motivo, aggiunge: «Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe» (Mt 10, 16). Ma cosa può fare la nostra prudenza, ci potrebbero obiettare, in mezzo a tanti pericoli? Come potremo essere prudenti, quando siamo sbattuti da tante tempeste? Cosa potrà fare un agnello con la prudenza quando viene circondato da lupi feroci? Per quanto grande sia la semplicità di una colomba, a che le gioverà quando sarà aggredita dagli avvoltoi? Certo, a quegli animali non serve, ma a voi gioverà moltissimo.
E vediamo che genere di prudenza richieda: quella «del serpente». Come il serpente abbandona tutto, anche il corpo, e non si oppone pur di risparmiare il capo, così anche tu, pur di salvare la fede, abbandona tutto, i beni, il corpo e la stessa vita.
La fede è come il capo e la radice. Conservando questa, anche se perderai tutto, riconquisterai ogni cosa con maggiore abbondanza. Ecco perché non ordina di essere solamente semplici o solamente prudenti, ma unisce queste due qualità, in modo che diventino virtù. Esige la prudenza del serpente, perché tu non riceva delle ferite mortali, e la semplicità della colomba, perché non ti vendichi di chi ti ingiuria e non allontani con la vendetta coloro che ti tendono insidie. A nulla giova la prudenza senza la semplicità.
Nessuno pensi che questi comandamenti non si possano praticare. Cristo conosce meglio di ogni altro la natura delle cose. Sa bene che la violenza non si arrende alla violenza, ma alla mansuetudine.
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30/11/2012 07:30
 
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Dalle "Omelie sul vangelo di Giovanni" di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 19,1; PG 59,120-121)
Abbiamo trovato il Messia

Andrea, dopo essere restato con Gesù e aver imparato tutto ciò che Gesù gli aveva insegnato, non tenne chiuso in sé il tesoro, ma si affrettò a correre da suo fratello per comunicargli la ricchezza che aveva ricevuto. Ascolta bene cosa gli disse: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)" (Gv 1,41). Vedi in che maniera notifica ciò che aveva appreso in poco tempo? Da una parte mostra quanta forza di persuasione aveva il Maestro sui discepoli, e, dall'altra, rivela il loro interessamento sollecito e diligente circa il suo insegnamento.
Quella di Andrea è la parola di uno che aspettava con ansia la venuta del Messia, che ne attendeva la discesa dal cielo, che trasalì di gioia quando lo vide arrivare, e che si affrettò a comunicare agli altri la grande notizia.
Dicendo subito al fratello ciò che aveva saputo, mostra quanto gli volesse bene, come fosse affezionato ai suoi cari, quanto sinceramente fosse premuroso di porgere loro la mano nel cammino spirituale.
Guarda anche l'animo di Pietro, fin dall'inizio docile e pronto alla fede: immediatamente corre senza preoccuparsi di nient'altro. Infatti dice: "Lo condusse da Gesù" (Gv 1,42). Nessuno certo condannerà la facile condiscendenza di Pietro nell'accogliere la parola del fratello senza aver prima esaminato a lungo le cose. È probabile infatti che il fratello gli abbia narrato i fatti con maggior precisione e più a lungo, mentre gli evangelisti compendiano ogni loro racconto preoccupandosi della brevità. D'altra parte non è detto nemmeno che abbia creduto senza porre domande, ma che Andrea "lo condusse da Gesù", affidandolo a lui perché imparasse tutto da lui direttamente. C'era insieme infatti anche un altro discepolo e anche lui fu guidato nello stesso modo.
Se Giovanni Battista dicendo: Ecco l'Agnello di Dio, e ancora: ecco colui che battezza nello Spirito (cfr. Gv 1,29,33), lasciò che un più chiaro insegnamento su questo venisse da Cristo stesso, certamente con motivi ancor più validi si comportò in questo modo Andrea, non ritenendosi tale da dare una spiegazione completa ed esauriente. Per cui guidò il fratello alla sorgente stessa della luce con tale premura e gioia da non aspettare nemmeno un istante.
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02/12/2012 06:45
 
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Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Cat. 15, 1. 3; PG 33, 870-874)
Le due venute di Cristo

Noi annunziamo che Cristo verrà. Infatti non è unica la sua venuta, ma ve n\'è una seconda, la quale sarà molto più gloriosa della precedente. La prima, infatti, ebbe il sigillo della sofferenza, l'altra porterà una corona di divina regalità. Si può affermare che quasi sempre nel nostro Signore Gesù Cristo ogni evento è duplice. Duplice è la generazione, una da Dio Padre, prima del tempo, e l'altra, la nascita umana, da una vergine nella pienezza dei tempi.
Due sono anche le sue discese nella storia. Una prima volta è venuto in modo oscuro e silenzioso, come la pioggia sul vello. Una seconda volta verrà nel futuro in splendore e chiarezza davanti agli occhi di tutti.
Nella sua prima venuta fu avvolto in fasce e posto in una stalla, nella seconda si vestirà di luce come di un manto. Nella prima accettò la croce senza rifiutare il disonore, nell'altra avanzerà scortato dalle schiere degli angeli e sarà pieno di gloria.
Perciò non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo in attesa della seconda. E poiché nella prima abbiamo acclamato: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 21, 9), la stessa lode proclameremo nella seconda. Così andando incontro al Signore insieme agli angeli e adorandolo canteremo: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 21, 9).
Il Salvatore verrà non per essere di nuovo giudicato, ma per farsi giudice di coloro che lo condannarono. Egli, che tacque quando subiva la condanna, ricorderà il loro operato a quei malvagi, che gli fecero subire il tormento della croce, e dirà a ciascuno di essi: «Tu hai agito così, io non ho aperto bocca» (cfr. Sal 38, 10).
Allora in un disegno di amore misericordioso venne per istruire gli uomini con dolce fermezza, ma alla fine tutti, lo vogliano o no, dovranno sottomettersi per forza al suo dominio regale.
Il profeta Malachia preannunzia le due venute del Signore: «E subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate» (Ml 3, 1). Ecco la prima venuta. E poi riguardo alla seconda egli dice: «Ecco l'angelo dell'alleanza, che voi sospirate, ecco viene ? Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare» (Ml 3, 1-3).
Anche Paolo parla di queste due venute scrivendo a Tito in questi termini: «È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (Tt 2, 11-13). Vedi come ha parlato della prima venuta ringraziandone Dio? Della seconda invece fa capire che è quella che aspettiamo.
Questa è dunque la fede che noi proclamiamo: credere in Cristo che è salito al cielo e siede alla destra del Padre. Egli verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti. E il suo regno non avrà fine.
Verrà dunque, verrà il Signore nostro Gesù Cristo dai cieli; verrà nella gloria alla fine del mondo creato, nell'ultimo giorno. Vi sarà allora la fine di questo mondo, e la nascita di un mondo nuovo.
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04/12/2012 07:45
 
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Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 45, 9. 22. 28; PG 36, 634-635. 654. 658-659. 662)
O meraviglioso scambio!

Il Verbo stesso di Dio, colui che è prima del tempo, l'invisibile, l\'incomprensibile, colui che è al di fuori della materia, il Principio che ha origine dal Principio, la Luce che nasce dalla Luce, la fonte della vita e della immortalità, l\'espressione dell'archetipo divino, il sigillo che non conosce mutamenti, l'immagine invariata e autentica di Dio, colui che è termine del Padre e sua Parola, viene in aiuto alla sua propria immagine e si fa uomo per amore dell'uomo. Assume un corpo per salvare il corpo e per amore della mia anima accetta di unirsi ad un'anima dotata di umana intelligenza. Così purifica colui al quale si è fatto simile. Ecco perché è divenuto uomo in tutto come noi, tranne che nel peccato. Fu concepito dalla Vergine, già santificata dallo Spirito Santo nell'anima e nel corpo per l'onore del suo Figlio e la gloria della verginità.
Dio, in un certo senso, assumendo l'umanità, la completò quando riunì nella sua persona due realtà distanti fra loro, cioè la natura umana e la natura divina. Questa conferì la divinità e quella la ricevette.
Colui che dà ad altri la ricchezza si fa povero. Chiede in elemosina la mia natura umana perché io diventi ricco della sua natura divina. E colui che è la totalità, si spoglia di sé fino all'annullamento. Si priva, infatti, anche se per breve tempo, della sua gloria, perché io partecipi della sua pienezza.
Oh sovrabbondante ricchezza della divina bontà!
Ma che cosa significa per noi questo grande mistero? Ecco: io ho ricevuto l'immagine di Dio, ma non l'ho saputa conservare intatta. Allora egli assume la mia condizione umana per salvare me, fatto a sua immagine e per dare a me, mortale, la sua immortalità.
Era certo conveniente che la natura umana fosse santificata mediante la natura umana assunta da Dio. Così egli con la sua forza vinse la potenza demoniaca, ci ridonò la libertà e ci ricondusse alla casa paterna per la mediazione del Figlio suo. Fu Cristo che ci meritò tutti questi beni e tutto operò per la gloria del Padre.
Il buon Pastore, che ha dato la sua vita per le sue pecore, cerca la pecora smarrita sui monti e sui colli sui quali si offrivano sacrifici agli idoli. Trovatala se la pone su quelle medesime spalle, che avrebbero portato il legno della croce, e la riporta alla vita dell'eternità.
Dopo la prima incerta luce del Precursore, viene la Luce stessa, che è tutto fulgore. Dopo la voce viene la Parola, dopo l'amico dello Sposo, viene lo Sposo stesso.
Il Signore viene dopo colui che gli preparò un popolo scelto e predispose gli uomini alla effusione dello Spirito Santo mediante la purificazione nell'acqua.
Dio si fece uomo e morì perché noi ricevessimo la vita. Così siamo risuscitati con lui perché con lui siamo morti, siamo stati glorificati perché con lui siamo risuscitati.
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06/12/2012 08:19
 
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Dal «Commento sul Diatèssaron» di sant'Efrem, diacono
(Cap. 18, 15-17; dalla versione armena del CSCO,
t. 2, 188-190)
Vegliate: egli di nuovo verrà

Nessuno conosce quell'ora, neanche gli angeli, neppure il Figlio (Mt 24, 36). Disse questo per impedire che i discepoli lo interrogassero ancora sul tempo della sua venuta. «Non spetta a voi», disse, «conoscere i tempi e i momenti» (At 1, 7). Egli nascose la cosa perché fossimo vigilanti e ognuno di noi ritenesse che il fatto può accadere ai nostri stessi giorni. Se infatti fosse stato rivelato il tempo della sua venuta, il suo avvento sarebbe rimasto senza mordente, né la sua manifestazione avrebbe costituito oggetto di attesa delle nazioni e dei secoli. Disse perciò semplicemente che sarebbe venuto, ma non determinò il tempo, e così ecco che in tutte le generazioni e nei secoli si mantiene viva la speranza del suo arrivo.
Benché infatti il Signore abbia indicato i segni della sua venuta, tuttavia non si comprende la loro ultima scadenza, poiché attraverso molteplici mutazioni essi vennero, passarono e sono tuttora in atto. La sua ultima venuta infatti è simile alla prima. Come lo attendevano i giusti e i profeti, perché pensavano che si sarebbe rivelato ai loro giorni, così oggi i fedeli desiderano accoglierlo, ognuno nel proprio tempo, appunto perché egli non indicò chiaramente il giorno della sua visita; ciò soprattutto perché nessuno pensasse che fosse sottomesso a costrizione e a tempi colui che ha il libero dominio dei ritmi e dei tempi. Ciò che lui stesso ha stabilito, come poteva essergli nascosto, dal momento che egli stesso ha manifestato perfino i segni della sua venuta?
Disse dunque: «Non lo so», anzitutto per impedire che lo interrogassero ancora, e poi perché risultassero efficaci i segni indicati. Mise in risalto quei segni perché fin dall'inizio tutti i popoli e tutti i tempi avessero motivo di pensare che la sua venuta si sarebbe potuta verificare ai loro giorni.
Vegliate, perché, quando il corpo s'addormenta, ha in noi il sopravvento la natura, e la nostra azione non si svolge secondo la nostra volontà, ma si compie secondo un impulso inconscio. E quando il torpore, cioè la viltà e la trepidazione, domina l'anima, prende dominio su di lei il nemico e fa per suo mezzo ciò ch'essa non vuole. Sulla natura domina una forza bruta e sull'anima domina il nemico.
Pertanto la vigilanza di cui parlò il Signore nostro è prescritta per ambedue: per il corpo, perché non si abbandoni a pesante sonno; per l'anima, perché non cada nel torpore della pusillanimità, secondo quel che dice la Scrittura: «Siate vigilanti, o giusti» (cfr. 1 Cor 15, 34), e: Mi sono alzato e sono con te (cfr. Sal 138, 18), e ancora: Non lasciatevi stancare, e perciò non desistiamo nel ministero che ci è stato affidato (cfr. 2 Cor 4, 1).
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07/12/2012 07:53
 
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Dalle "Lettere" di sant'Ambrogio, vescovo
(Lett. 2,1-2.4-5; PL 16,847-881)
La grazia delle tue parole conquista il popolo


Hai ricevuto il sacerdozio e, stando a poppa della Chiesa, tu guidi la nave sui flutti. Tieni saldo il timone della fede in modo che le violente tempeste di questo mondo non possano turbare il suo corso. Il mare è davvero grande, sconfinato; ma non aver paura, perché "È lui che l'ha fondata sui mari, e sui fiumi l'ha stabilita" (Sal 23,2).
Perciò non senza motivo, fra le tante correnti del mondo, la Chiesa resta immobile, costruita sulla pietra apostolica, e rimane sul suo fondamento incrollabile contro l\'infuriare del mare in tempesta. È battuta dalle onde ma non è scossa e, sebbene di frequente gli elementi di questo mondo infrangendosi echeggino con grande fragore, essa ha tuttavia un porto sicurissimo di salvezza dove accogliere chi è affaticato. Se tuttavia essa è sbattuta dai flutti sul mare, pure sui fiumi corre, su quei fiumi soprattutto di cui è detto: I fiumi hanno innalzato la loro voce (cfr. Sal 92,3). Vi sono infatti fiumi che sgorgano dal cuore di colui che è stato dissetato da Cristo e ha ricevuto lo Spirito di Dio. Questi fiumi, quando ridondano di grazia spirituale, alzano la loro voce.
Vi è poi un fiume che si riversa sui suoi santi come un torrente. Chiunque abbia ricevuto dalla pienezza di questo fiume, come l'evangelista Giovanni, come Pietro e Paolo, alza la sua voce; e come gli apostoli hanno diffuso la voce della predicazione evangelica con festoso annunzio fino ai confini della terra, così anche questo fiume incomincia ad annunziare il Signore. Ricevilo dunque da Cristo, perché anche la tua voce si faccia sentire.
Raccogli l\'acqua di Cristo, quell'acqua che loda il Signore. Raccogli da più luoghi l'acqua che lasciano cadere le nubi dei profeti. Chi raccoglie acqua dalle montagne e la convoglia verso di sé, o attinge alle sorgenti, lui pure, come le nubi, la riversa su altri. Riempine dunque il fondo della tua anima, perché il tuo terreno sia innaffiato e irrigato da proprie sorgenti. Si riempie chi legge molto e penetra il senso di ciò che legge; e chi si è riempito può irrigare altri. La Scrittura dice:"Se le nubi sono piene di acqua, la rovesciano sopra la terra" (Qo 11,3).
I tuoi sermoni siano fluenti, puri, cristallini, sì che il tuo insegnamento morale suoni dolce alle orecchie della gente e la grazia delle tue parole conquisti gli ascoltatori perché ti seguano docilmente dove tu li conduci. Il tuo dire sia pieno di sapienza. Anche Salomone afferma: Le labbra del sapiente sono le armi della Sapienza, e altrove: Le tue labbra siano ben aderenti all'idea: vale a dire, l'esposizione dei tuoi discorsi sia lucida, splenda chiaro il senso senza bisogno di spiegazioni aggiunte; il tuo discorso si sappia sostenere e difendere da se stesso e non esca da te parola vana o priva di senso.
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09/12/2012 07:27
 
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Dal «Commento sul profeta Isaia» di Eusèbio, vescovo di Cesarèa
(Cap. 40, vv. 3. 9; PG 24, 366-367)
Voce di uno che grida nel deserto

Voce di uno che grida nel deserto: «Preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio» (Is 40, 3).
Dichiara apertamente che le cose riferite nel vaticinio, e cioè l\'avvento della gloria del Signore e la manifestazione a tutta l\'umanità della salvezza di Dio, avverranno non in Gerusalemme, ma nel deserto. E questo si è realizzato storicamente e letteralmente quando Giovanni Battista predicò il salutare avvento di Dio nel deserto del Giordano, dove appunto si manifestò la salvezza di Dio. Infatti Cristo e la sua gloria apparvero chiaramente a tutti quando, dopo il suo battesimo, si aprirono i cieli e lo Spirito Santo, scendendo in forma di colomba, si posò su di lui e risuonò la voce del Padre che rendeva testimonianza al Figlio: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17, 5).
Ma tutto ciò va inteso anche in un senso allegorico. Dio stava per venire in quel deserto, da sempre impervio e inaccessibile, che era l\'umanità. Questa infatti era un deserto completamente chiuso alla conoscenza di Dio e sbarrato a ogni giusto e profeta. Quella voce, però, impone di aprire una strada verso di esso al Verbo di Dio; comanda di appianare il terreno accidentato e scosceso che ad esso conduce, perché venendo possa entrarvi: Preparate la via del Signore (cfr. Ml 3, 1).
Preparazione è l\'evangelizzazione del mondo, è la grazia confortatrice. Esse comunicano all\'umanità la conoscenza della salvezza di Dio.
«Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme» (Is 40, 9).
Prima si era parlato della voce risuonante nel deserto, ora, con queste espressioni, si fa allusione, in maniera piuttosto pittoresca, agli annunziatori più immediati della venuta di Dio e alla sua venuta stessa. Infatti prima si parla della profezia di Giovanni Battista e poi degli evangelizzatori.
Ma qual è la Sion a cui si riferiscono quelle parole? Certo quella che prima si chiamava Gerusalemme. Anch\'essa infatti era un monte, come afferma la Scrittura quando dice: «Il monte Sion, dove hai preso dimora» (Sal 73, 2); e l\'Apostolo: «Vi siete accostati al monte di Sion» (Eb 12, 22). Ma in un senso superiore la Sion, che rende nota la venuta di Cristo, è il coro degli apostoli, scelto di mezzo al popolo della circoncisione.
Sì, questa, infatti, è la Sion e la Gerusalemme che accolse la salvezza di Dio e che è posta sopra il monte di Dio, è fondata, cioè, sull\'unigenito Verbo del Padre. A lei comanda di salire prima su un monte sublime, e di annunziare, poi, la salvezza di Dio.
Di chi è figura, infatti, colui che reca liete notizie se non della schiera degli evangelizzatori? E che cosa significa evangelizzare se non portare a tutti gli uomini, e anzitutto alle città di Giuda, il buon annunzio della venuta di Cristo in terra?
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13/12/2012 08:40
 
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Dal libro «Sulla verginità» di sant'Ambrogio, vescovo
(Cap. 12,68.74-75; 13,77-78; PL 16,281.283.285-286)
Lo splendore dell\'anima illumina
la grazia dei corpo

Mi rivolgo a te, che vieni dal Popolo, dalla gente comune, ma appartieni alla schiera delle vergini. In te lo splendore dell'anima si irradia sulla grazia esteriore della persona. Per questo sei un'immagine fedele della Chiesa.
A te dico: chiusa nella tua stanza non cessare mai di tenere fisso il pensiero su Cristo, anche di notte. Anzi rimani ad ogni istante in attesa della sua visita. È questo che desidera da te, per questo ti ha scelta. Egli entrerà se troverà aperta la tua porta. Sta' sicura, ha promesso di venire e non mancherà alla sua parola. Quando verrà, colui che hai cercato, abbraccialo, familiarizza con lui e sarai illuminata. Trattienilo, prega che non se ne vada presto, scongiuralo che non si allontani. Il Verbo di Dio infatti corre, non prova stanchezza, non è preso da negligenza. L'anima tua gli vada incontro sulla sua parola, e s'intrattenga poi sull'impronta lasciata dal suo divino parlare: egli passa via presto.
E la vergine da parte sua che cosa dice? L'ho cercato ma non l'ho trovato; l'ho chiamato ma non mi ha risposto (cfr. Ct 5,6). Se così presto se n'è andato via, non credere che egli non sia contento di te che lo invocasti, lo pregasti, gli apristi la porta: spesso egli permette che siamo messi alla prova. Vedi che cosa dice nel vangelo alle folle che lo pregavano di non andarsene: Bisogna che io porti l'annunzio della parola di Dio anche ad altre città, poiché per questo sono stato mandato (cfr. Lc 4,43).
Ma anche se ti sembra che se ne sia andato, va' a cercarlo ancora.
È dalla santa Chiesa che devi imparare a trattenere Cristo. Anzi te l'ha già insegnato se ben comprendi ciò che leggi: Avevo appena oltrepassato le guardie, quando trovai l'amato del mio cuore. L'ho stretto forte e non lo lascerò (cfr. Ct 3,4). Quali dunque i mezzi con cui trattenere Cristo? Non la violenza delle catene, non le strette delle funi, ma i vincoli della carità, i legami dello spirito. Lo trattiene l'amore dell'anima.
Se vuoi anche tu possedere Cristo, cercalo incessantemente e non temere la sofferenza. È più facile spesso trovarlo tra i supplizi del corpo, tra le mani dei persecutori. Lei dice: Poco tempo era trascorso da quando le avevo oltrepassate. Infatti una volta libera dalle mani dei persecutori e vittoriosa sui poteri del male, subito, all'istante ti verrà incontro Cristo, né permetterà che si prolunghi la tua prova.
Colei che così cerca Cristo, che ha trovato Cristo, può dire: L'ho stretto forte e non lo lascerò finché non lo abbia condotto nella casa di mia madre, nella stanza della mia genitrice (cfr. Ct 3,4). Che cos'è la casa, la stanza di tua madre se non il santuario più intimo del tuo essere?
Custodisci questa casa, purificane l'interno. Divenuta perfettamente pulita, e non più inquinata da brutture di infedeltà, sorga quale casa spirituale, cementata con la pietra angolare, si innalzi in un sacerdozio santo, e lo Spirito Paraclito abiti in essa. Colei che cerca Cristo a questo modo, colei che così prega Cristo, non è abbandonata da lui, anzi riceve frequenti visite. Egli infatti è con noi fino alla fine del mondo.
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18/12/2012 09:39
 
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Dalla «Lettera a Diognèto»
(Cap. 8, 5 - 9, 6; Funk 1, 325-327)
Dio rivelò il suo amore per mezzo del Figlio

Nessun uomo in verità ha mai visto Dio né lo ha fatto conoscere, ma egli stesso si è rivelato. E si è rivelato nella fede, alla quale soltanto è concesso di vedere Dio. Infatti Dio, Signore e Creatore dell'universo, colui che ha dato origine ad ogni cosa e tutto ha disposto secondo un ordine, non solo ama gli uomini, ma è anche longanime. Ed egli fu sempre così, lo è ancora e lo sarà: amorevole, buono, tollerante, fedele; lui solo è davvero buono. E avendo egli concepito nel cuore un disegno grande e ineffabile, lo comunica al solo suo Figlio.
Per tutto il tempo dunque in cui conservava e custodiva nel mistero il suo piano sapiente, sembrava che ci trascurasse e non si desse pensiero di noi; ma quando per mezzo del suo Figlio prediletto rivelò e rese noto ciò che era stato preparato dall'inizio, tutto insieme egli ci offrì: godere dei suoi benefici e contemplarli e capirli. Chi di noi si sarebbe aspettati tutti questi favori?
Dopo aver tutto disposto dentro di sé assieme al Figlio, permise che noi fino al tempo anzidetto rimanessimo in balia d\'istinti disordinati e fossimo trascinati fuori della retta via dai piaceri e dalle cupidigie, seguendo il nostro arbitrio. Certamente non si compiaceva dei nostri peccati, ma li sopportava; neppure poteva approvare quel tempo d'iniquità, ma preparava l'era attuale di giustizia, perché, riconoscendoci in quel tempo chiaramente indegni della vita a motivo delle nostre opere, ne diventassimo degni in forza della sua misericordia, e perché, dopo aver mostrato la nostra impossibilità di entrare con le nostre forze nel suo regno, ne diventassimo capaci per la sua potenza.
Quando poi giunse al colmo la nostra ingiustizia e fu ormai chiaro che le sovrastava, come mercede, solo la punizione e la morte, ed era arrivato il tempo prestabilito da Dio per rivelare il suo amore e la sua potenza (o immensa bontà e amore di Dio!), egli non ci prese in odio, né ci respinse, né si vendicò. Anzi ci sopportò con pazienza. Nella sua misericordia prese sopra di sé i nostri peccati. Diede spontaneamente il suo Figlio come prezzo del nostro riscatto: il santo, per gli empi, l\'innocente per i malvagi, il giusto per gli iniqui, l'incorruttibile per i corruttibili, l'immortale per i mortali. Che cosa avrebbe potuto cancellare le nostre colpe, se non la sua giustizia? Come avremmo potuto noi traviati ed empi ritrovare la giustizia se non nel Figlio unico di Dio?
O dolce scambio, o ineffabile creazione, o imprevedibile ricchezza di benefici: l\'ingiustizia di molti veniva perdonata per un solo giusto e la giustizia di uno solo toglieva l'empietà di molti!
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19/12/2012 07:28
 
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Dal trattato «Contro le eresie» di sant\'Ireneo, vescovo
(Lib 3, 20, 2-3; SC 34, 342-344)
L\'incarnazione che ci ha redenti

Dio e tutte le opere di Dio sono gloria dell\'uomo; e l\'uomo è la sede in cui si raccoglie tutta la sapienza e la potenza di Dio. Come il medico dà prova della sua bravura nei malati, così anche Dio manifesta se stesso negli uomini. Perciò Paolo afferma: «Dio ha chiuso tutte le cose nelle tenebre dell\'incredulità per usare a tutti misericordia» (cfr. Rm 11, 32). Non allude alle potenze spirituali, ma all\'uomo che si mise di fronte a Dio in stato di disobbedienza e perdette la immortalità. In seguito però ottenne la misericordia di Dio per i meriti e il tramite del Figlio suo. Ebbe così in lui la dignità di figlio adottivo.
Se l\'uomo riceverà senza vana superbia l\'autentica gloria che viene da ciò che è stato creato e da colui che lo ha creato cioè da Dio, l\'onnipotente, l\'artefice di tutte le cose che esistono, e se resterà nell\'amore di lui in rispettosa sottomissione e in continuo rendimento di grazie, riceverà ancora gloria maggiore e progredirà sempre più in questa via fino a divenire simile a colui che per salvarlo è morto.
Il Figlio stesso di Dio infatti scese «in una carne simile a quella del peccato» (Rm 8, 3) per condannare il peccato, e, dopo averlo condannato, escluderlo completamente dal genere umano. Chiamò l'uomo alla somiglianza con se stesso, lo fece imitatore di Dio, lo avviò sulla strada indicata dal Padre perché potesse vedere Dio e gli diede in dono il Padre.
Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell'uomo, per abituare l\'uomo a comprendere Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell'uomo secondo la volontà del Padre. Per questo Dio stesso ci ha dato come «segno» della nostra salvezza colui che, nato dalla Vergine, è l'Emmanuele: poiché lo stesso Signore era colui che salvava coloro che di per se stessi non avevano nessuna possibilità di salvezza.
Per questo Paolo, indicando la radicale debolezza dell'uomo, dice «So che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene» (Rm 7, 18), poiché il bene della nostra salvezza non viene da noi, ma da Dio. E ancora Paolo esclama: «Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?» (Rm 7, 24). Quindi presenta il liberatore: L'amore gratuito del Signore nostro Gesù Cristo (cfr. Rm 7, 25).
Isaia stesso aveva predetto questo: Irrobustitevi, mani fiacche e ginocchia vacillanti, coraggio, smarriti di cuore, confortatevi, non temete; ecco il nostro Dio, opera la giustizia, darà la ricompensa. Egli stesso verrà e sarà la nostra salvezza (cfr. Is 35, 4).
Questo indica che non da noi, ma da Dio, che ci aiuta, abbiamo la salvezza.
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21/12/2012 08:23
 
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Dal «Commento su san Luca» di sant'Ambrogio, vescovo
(2, 19. 22-23. 26-27; CCL 14, 39-42)
La visitazione di Maria

L'angelo, che annunziava il mistero, volle garantirne la veridicità con una prova e annunziò alla vergine Maria la maternità di una donna vecchia e sterile, per dimostrare così che a Dio è possibile tutto ciò che vuole. Appena Maria ebbe udito ciò, si avviò in fretta verso la montagna, non perché fosse incredula della profezia o incerta dell\'annunzio o dubitasse della prova, ma perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall'intima gioia. Dove ormai, ricolma di Dio, poteva affrettarsi ad andare se non verso l'alto? La grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze.
Subito si fanno sentire i benefici della venuta di Maria e della presenza del Signore. Infatti «appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, esultò il bambino nel seno di lei, ed ella fu ricolma di Spirito Santo» (cfr. Lc 1, 41). Si deve fare attenzione alla scelta delle singole parole e al loro significato. Elisabetta udì per prima la voce, ma Giovanni percepì per primo la grazia; essa udì secondo l'ordine della natura, egli esultò in virtù del mistero; essa sentì l'arrivo di Maria, egli del Signore; la donna l'arrivo della donna, il bambino l'arrivo del bambino. Esse parlano delle grazie ricevute, essi nel seno delle loro madri realizzano la grazia e il mistero della misericordia a profitto delle madri stesse: e queste per un duplice miracolo profetizzano sotto l'ispirazione dei figli che portano.
Del figlio si dice che esultò, della madre che fu ricolma di Spirito Santo. Non fu prima la madre a essere ricolma dello Spirito, ma fu il figlio, ripieno di Spirito Santo, a ricolmare anche la madre.
Esultò Giovanni, esultò anche lo spirito di Maria. Ma mentre di Elisabetta si dice che fu ricolma di Spirito santo allorché Giovanni esultò, di Maria, che già era ricolma di Spirito santo, si dice che allora il suo spirito esultò. Colui che è incomprensibile, operava in modo incomprensibile nella madre. L'una, Elisabetta, fu ripiena di Spirito Santo dopo la concezione, Maria invece prima della concezione.
«Beata ? disse ? tu che hai creduto» (cfr. Lc 1, 45). Ma beati anche voi che avete udito e creduto: ogni anima che crede concepisce e genera il Verbo di Dio e riconosce le sue opere.
Sia in ciascuno l'anima di Maria per magnificare il Signore; sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio. Se c'è una sola madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede, invece, Cristo è il frutto di tutti, poiché ogni anima riceve il Verbo di Dio, purché, immacolata e immune da vizi, custodisca la castità con intemerato pudore. Ogni anima, che potrà mantenersi così, magnifica il Signore come magnificò il Signore l'anima di Maria, e il suo spirito esultò in Dio salvatore.
Come avete potuto leggere anche altrove: «Magnificate il Signore con me» (cfr. Sal 33, 4), il Signore è magnificato non perché la parola umana possa aggiungere qualcosa alla grandezza del Signore, ma perché egli viene magnificato in noi. Cristo è l'immagine di Dio: perciò l'anima che compie opere giuste e pie magnifica l'immagine di Dio a somiglianza della quale è stata creata, e mentre la magnifica, partecipa in certo modo alla sua grandezza e si eleva.
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22/12/2012 08:04
 
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Dal «Commento su san Luca» di san Beda il Venerabile, sacerdote
(1, 46-55; CCL 120, 37-39)
Magnificat

«E Maria disse: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore» (Lc 1, 46). Dice: il Signore mi ha innalzato con un dono così grande e così inaudito che non è possibile esprimerlo con nessun linguaggio: a stento lo può comprendere il cuore nel profondo. Levo quindi un inno di ringraziamento con tutte le forze della mia anima e mi do, con tutto quello che vivo e sento e comprendo, alla contemplazione della grandezza senza fine di Dio, poiché il mio spirito si allieta della eterna divinità di quel medesimo Gesù, cioè del Salvatore, di cui il mio seno è reso fecondo con una concezione temporale.
«Perché ha fatto in me cose grandi l'Onnipotente, e santo è il suo nome» (cfr. Lc 1, 49). Si ripensi all'inizio del cantico dove è detto: «L'anima mia magnifica il Signore». Davvero solo quell'anima a cui il Signore si è degnato di fare grandi cose può magnificarlo con lode degna ed esortare quanti sono partecipi della medesima promessa e del medesimo disegno di salvezza: Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome (cfr. Sal 33, 4). Chi trascurerà di magnificare, per quanto sta in lui, il Signore che ha conosciuto e di santificare il nome, «sarà considerato il minimo nel regno dei cieli» (Mt 5, 19).
Il suo nome poi è detto santo perché con il fastigio della sua singolare potenza trascende ogni creatura ed è di gran lunga al di là di tutto quello che ha fatto.
«Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia» (Lc 1, 54). Assai bene dice Israele servo del Signore, cioè ubbidiente e umile, perché da lui fu accolto per essere salvato, secondo quanto dice Osea: Israele è mio servo e io l'ho amato (cfr. Os 11, 1). Colui infatti che disdegna di umiliarsi non può certo essere salvato né dire con il profeta: «Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore mi sostiene» (Sal 53, 6) e: Chiunque diventerà piccolo come un bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli (cfr. Mt 18, 4).
«Come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre» (Lc 1, 55). Si intende la discendenza spirituale, non carnale, di Abramo; sono compresi, cioè, non solo i generati secondo la carne, ma anche coloro che hanno seguito le orme della sua fede, sia nella circoncisione sia nell'incirconcisione. Anche lui credette quando non era circonciso, e gli fu ascritto a giustizia. La venuta del Salvatore fu promessa ad Abramo e alla sua discendenza, cioè ai figli della promessa, ai quali è detto: «Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (Gal 3, 29).
È da rilevare poi che le madri, quella del Signore e quella di Giovanni, prevengono profetando la nascita dei figli: e questo è bene perché come il peccato ebbe inizio da una donna, così da donne comincino anche i benefici, e come il mondo ebbe la morte per l\'inganno di una donna, così da due donne, che a gara profetizzano, gli sia restituita la vita.
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23/12/2012 07:33
 
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Dal trattato «Contro Noèto» di sant'Ippòlito, sacerdote
(Cap. 9-12; PG 10, 815-819)
Rivelazione di Dio invisibile

Uno solo è Dio, fratelli, colui che noi non conosciamo per altra via che quella delle Sacre Scritture.
Noi dobbiamo quindi sapere tutto quanto le divine Scritture ci annunziano e conoscere quanto esse ci insegnano. Dobbiamo credere al Padre, come lui vuole che gli crediamo, glorificare il Figlio come vuole che lo glorifichiamo, ricevere lo Spirito Santo come desidera che lo riceviamo.
Procuriamo di arrivare a una comprensione delle realtà divine non secondo la nostra intelligenza e non certo facendo violenza ai doni di Dio, ma nella maniera in cui egli stesso volle rivelarsi nelle Sacre Scritture.
Dio esisteva in sé perfettamente solo. Nulla c'era che fosse in qualche modo partecipe della sua eternità. Allora egli stabilì di creare il mondo. Come lo pensò, come lo volle e come lo descrisse con la sua parola, così anche lo creò. Il mondo cominciò ad esistere, perciò, come lo aveva desiderato. E quale lo aveva progettato, tale lo realizzò. Dunque Dio esisteva nella sua unicità e nulla c'era che fosse coeterno con lui. Niente esisteva se non Dio. Egli era solo, ma completo in tutto. In lui si trovava intelligenza, sapienza, potenza e consiglio. Tutto era in lui ed egli era il tutto. Quando volle, e nella misura in cui volle, egli, nel tempo da lui prefissato, ci rivelò il suo Verbo per mezzo del quale aveva creato tutte le cose.
Poiché dunque Dio possedeva in sé la sua Parola, ed essa era inaccessibile per il mondo creato, egli la rese accessibile. Pronunziando una prima parola, e generando luce da luce, presentò alla stessa creazione come Signore il suo stesso Pensiero, e rese visibile colui che egli solo conosceva e vedeva in se stesso e che prima era assolutamente invisibile per il mondo creato. Lo rivelò perché il mondo lo vedesse e così potesse essere salvato.
Questi è la Sapienza che venendo nel mondo si rivelò Figlio di Dio. Tutto fu creato per mezzo di lui, ma egli è l'unico che viene dal Padre.
Questi poi diede una legge e dei profeti e li fece parlare nello Spirito Santo perché, ricevendo l'ispirazione della potenza del Padre, annunziassero il volere e il disegno del Padre.
Così dunque fu rivelato il Verbo di Dio, come dice il beato Giovanni che sommariamente riprende le cose già dette dai profeti mostrando che questi è il Verbo, nel quale tutto fu creato. Dice Giovanni: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, senza di lui nulla è stato fatto» (Gv 1, 1. 3).
Più avanti dice: Il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo ha conosciuto. Venne presso i suoi, ma i suoi non lo hanno accolto (cfr. Gv 1, 10-11).
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26/12/2012 07:41
 
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Dai «Discorsi» di san Fulgenzio di Ruspe, vescovo
(Disc. 3,1-3.5-6; CCL 91 A,905-909)
Le armi della carità

Ieri abbiamo celebrato la nascita nel tempo del nostro Re eterno, oggi celebriamo la passione trionfale del soldato.
Ieri infatti il nostro Re, rivestito della nostra carne e uscendo dal seno della Vergine, si è degnato di visitare il mondo; oggi il soldato, uscendo dalla tenda del corpo, è entrato trionfante nel cielo.
Il nostro Re, l\'Altissimo, venne per noi umile, ma non poté venire a mani vuote; infatti portò un grande dono ai suoi soldati, con cui non solo li arricchì abbondantemente, ma nello stesso tempo li ha rinvigoriti perché combattessero con forza invitta. Portò il dono della carità, che conduce gli uomini alla comunione con Dio.
Quel che ha portato, lo ha distribuito, senza subire menomazioni; arricchì invece mirabilmente la miseria dei suoi fedeli, ed egli rimase pieno di tesori inesauribili.
La carità, dunque, che fece scendere Cristo dal cielo sulla terra, innalzò Stefano dalla terra al cielo. La carità che fu prima nel Re, rifulse poi nel soldato.
Stefano quindi per meritare la corona che il suo nome significa, aveva per armi la carità e con essa vinceva dovunque. Per mezzo della carità non cedette ai Giudei che infierivano contro di lui; per la carità verso il prossimo pregò per quanti lo lapidavano. Con la carità confutava gli erranti perché si ravvedessero; con la carità pregava per i lapidatori perché non fossero puniti.
Sostenuto dalla forza della carità vinse Saulo che infieriva crudelmente, e meritò di avere compagno in cielo colui che ebbe in terra persecutore.
La stessa carità santa e instancabile desiderava di conquistare con la preghiera coloro che non poté convertire con le parole.
Ed ecco che ora Paolo è felice con Stefano, con Stefano gode della gloria di Cristo, con Stefano esulta, con Stefano regna. Dove Stefano, ucciso dalle pietre di Paolo, lo ha preceduto, là Paolo lo ha seguito per le preghiere di Stefano.
Quanto è verace quella vita, fratelli, dove Paolo non resta confuso per l\'uccisione di Stefano, ma Stefano si rallegra della compagnia di Paolo, perché la carità esulta in tutt\'e due. Sì, la carità di Stefano ha superato la crudeltà dei Giudei, la carità di Paolo ha coperto la moltitudine dei peccati, per la carità entrambi hanno meritato di possedere insieme il regno dei cieli.
La carità dunque è la sorgente e l\'origine di tutti i beni, ottima difesa, via che conduce al cielo. Colui che cammina nella carità non può errare, né aver timore. Essa guida, essa protegge, essa fa arrivare al termine.
Perciò, fratelli, poiché Cristo ci ha dato la scala della carità, per mezzo della quale ogni cristiano può giungere al cielo, conservate vigorosamente integra la carità, dimostratevela a vicenda e crescete continuamente in essa.
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01/01/2013 07:59
 
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Dalle «Lettere» di sant'Atanasio, vescovo
(Ad Epittèto 5-9; PG 26,1058.1062-1066)
Il Verbo ha assunto da Maria la natura umana

Il Verbo di Dio, come dice l'Apostolo, «della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli» (Eb 2,16.17) e prendere un corpo simile al nostro. Per questo Maria ebbe la sua esistenza nel mondo, perché da lei Cristo prendesse questo corpo e lo offrisse, in quanto suo, per noi.
Perciò la Scrittura quando parla della nascita del Cristo dice: «Lo avvolse in fasce» (Lc 2,7). Per questo fu detto beato il seno da cui prese il latte. Quando la madre diede alla luce il Salvatore egli fu offerto in sacrificio.
Gabriele aveva dato l'annunzio a Maria con cautela e delicatezza. Però non le disse semplicemente colui che nascerà in te, perché non si pensasse a un corpo estraneo a lei, ma: da te (cfr. Lc 1,35), perché si sapesse che colui che ella dava al mondo aveva origine proprio da lei.
Il Verbo, assunto in sé ciò che era nostro, lo offrì in sacrificio e lo distrusse con la morte. Poi rivestì noi della sua condizione, secondo quanto dice l'Apostolo: Bisogna che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità (cfr. 1 Cor 15,53).
Tuttavia ciò non è certo un mito, come alcuni vanno dicendo. Lungi da noi un tale pensiero. Il nostro Salvatore fu veramente uomo e da ciò venne la salvezza di tutta l'umanità. In nessuna maniera la nostra salvezza si può dire fittizia. Egli salvò tutto l'uomo, corpo e anima. La salvezza si è realizzata nello stesso Verbo.
Veramente umana era la natura che nacque da Maria, secondo le Scritture, e reale, cioè umano, era il corpo del Signore; vero, perché del tutto identico al nostro; infatti Maria è nostra sorella poiché tutti abbiamo origine in Adamo.
Ciò che leggiamo in Giovanni «il Verbo si fece carne» (Gv 1,14), ha dunque questo significato, poiché si interpreta come altre parole simili.
Sta scritto infatti in Paolo: Cristo per noi divenne lui stesso maledizione (cfr. Gal 3,13). L'uomo in questa intima unione del Verbo ricevette una ricchezza enorme: dalla condizione di mortalità divenne immortale; mentre era legato alla vita fisica, divenne partecipe dello Spirito; anche se fatto di terra, è entrato nel regno del cielo.
Benché il Verbo abbia preso un corpo mortale da Maria, la Trinità è rimasta in se stessa qual era, senza sorta di aggiunte o sottrazioni. È rimasta assoluta perfezione: Trinità e unica divinità. E così nella Chiesa si proclama un solo Dio nel Padre e nel Verbo.
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02/01/2013 07:39
 
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Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo.
(Disc. 43, 15. 16-17. 19-21; PG 36, 514-523)
Una sola anima in due corpi

Eravamo ad Atene, partiti dalla stessa patria, divisi, come il corso di un fiume, in diverse regioni per brama d'imparare, e di nuovo insieme, come per un accordo, ma in realtà per disposizione divina.
Allora non solo io mi sentivo preso da venerazione verso il mio grande Basilio per la serietà dei suoi costumi e per la maturità e saggezza dei suoi discorsi inducevo a fare altrettanto anche altri che ancora non lo conoscevano. Molti però già lo stimavano grandemente, avendolo ben conosciuto e ascoltato in precedenza.
Che cosa ne seguiva? Che quasi lui solo, fra tutti coloro che per studio arrivavano ad Atene, era considerato fuori dell'ordine comune, avendo raggiunto una stima che lo metteva ben al di sopra dei semplici discepoli. Questo l'inizio della nostra amicizia; di qui l'incentivo al nostro stretto rapporto; così ci sentimmo presi da mutuo affetto.
Quando, con il passare del tempo, ci manifestammo vicendevolmente le nostre intenzioni e capimmo che l'amore della sapienza era ciò che ambedue cercavamo, allora diventammo tutti e due l'uno per l'altro: compagni, commensali, fratelli. Aspiravamo a un medesimo bene e coltivavamo ogni giorno più fervidamente e intimamente il nostro comune ideale.
Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice d'invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l'emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all'altro di esserlo.
Sembrava che avessimo un'unica anima in due corpi. Se non si deve assolutamente prestar fede a coloro che affermano che tutto è in tutti, a noi si deve credere senza esitazione, perché realmente l'uno era nell'altro e con l'altro.
L'occupazione e la brama unica per ambedue era la virtù, e vivere tesi alle future speranze e comportarci come se fossimo esuli da questo mondo, prima ancora d'essere usciti dalla presente vita. Tale era il nostro sogno. Ecco perché indirizzavamo la nostra vita e la nostra condotta sulla via dei comandamenti divini e ci animavamo a vicenda all'amore della virtù. E non ci si addebiti a presunzione se dico che eravamo l'uno all'altro norma e regola per distinguere il bene dal male.
E mentre altri ricevono i loro titoli dai genitori, o se li procurano essi stessi dalle attività e imprese della loro vita, per noi invece era grande realtà e grande onore essere e chiamarci cristiani.
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10/01/2013 07:40
 
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Dal «Commento su san Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo
(Lib. 5, cap. 2; PG 73, 751-754)
L'effusione dello Spirito Santo su tutti gli uomini

Quando colui che aveva dato vita all'universo decise con un\'opera veramente mirabile, di ricapitolare in Cristo tutte le cose e volle ricondurre la natura dell\'uomo alla sua condizione primitiva di dignità, rivelò che gli avrebbe concesso in seguito, tra gli altri doni, anche lo Spirito Santo; non era infatti possibile che l\'uomo tornasse altrimenti ad un possesso duraturo dei beni ricevuti.
Stabilisce dunque Dio il tempo della discesa in noi dello Spirito ed è il tempo della venuta del Cristo, che egli ci annunzia dicendo: «In quei giorni», cioè nel tempo del Salvatore nostro, «Io effonderò il mio Spirito su ogni creatura» (cfr. Gl 3, 1).
Quando dunque l'ora della splendida misericordia di Dio portò sulla terra tra noi il Figlio Unigenito nella natura umana, cioè un uomo nato da una donna secondo la predizione delle Sacre Scritture, colui che è Dio e Padre concesse di nuovo lo Spirito e lo ricevette per primo il Cristo, come primizia della natura umana totalmente rinnovata. Lo attesta Giovanni quando dichiara: «Ho visto lo Spirito scendere dal cielo e posarsi sopra di Lui» (Gv 1, 32).
Cristo ricevette lo Spirito in quanto uomo ed in quanto era conveniente per un uomo il riceverlo. Il Figlio di Dio, che fu generato dal Padre rimanendo a lui consostanziale, e che esiste prima della sua nascita umana, anzi assolutamente prima del tempo, non si ritiene offeso che il Padre, dopo la sua nascita nella natura umana, gli dica: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato» (Sal 2, 7).
Il Padre afferma che colui che è Dio prima del tempo e da lui generato, viene generato oggi, volendo significare che nel Cristo accoglieva noi come suoi figli adottivi. Il Cristo infatti, poiché si è fatto uomo, ha assunto in sé tutta la natura umana. Il Padre ha il suo proprio Spirito e lo dà di nuovo al Figlio, perché anche noi lo riceviamo da lui come ricchezza e fonte di bene.
Per questo motivo egli ha voluto condividere la discendenza di Abramo, come si dice nella Scrittura, e in tutto si è fatto simile a noi suoi fratelli. L'Unigenito Figlio non accoglie dunque per se stesso lo Spirito; infatti lo Spirito è lo Spirito del Figlio, ed è in lui, e viene dato per lui, come abbiamo già detto: ma poiché, fattosi uomo, il Figlio ebbe in sé tutta la natura umana, ha ricevuto lo Spirito per rinnovare l'uomo completamente e riportarlo alla sua prima grandezza.
Usando dunque la saggezza della ragione e appoggiandoci alle parole della Sacra Scrittura, comprendiamo che Cristo ebbe lo Spirito non per se stesso, ma per noi; ogni bene, infatti, viene a noi per mezzo di Lui.
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13/01/2013 10:38
 
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Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 39 per il Battesimo del Signore, 14-16. 20; PG 36, 350-351. 354. 358-359)
Il battesimo di Gesù

Cristo nel Battesimo si fa luce, entriamo anche noi nel suo splendore; Cristo riceve il battesimo, inabissiamoci con lui per poter con lui salire alla gloria.
Giovanni dà il battesimo, Gesù si accosta a lui, forse per santificare colui dal quale viene battezzato nell'acqua, ma anche di certo per seppellire totalmente nelle acque il vecchio uomo. Santifica il Giordano prima di santificare noi e lo santifica per noi. E poiché era spirito e carne santifica nello Spirito e nell'acqua.
Il Battista non accetta la richiesta, ma Gesù insiste.
Sono io che devo ricevere da te il battesimo (cfr. Mt 3, 14), così dice la lucerna al sole, la voce alla Parola, l'amico allo Sposo, colui che è il più grande tra i nati di donna a colui che è il primogenito di ogni creatura, colui che nel ventre della madre sussultò di gioia a colui che, ancora nascosto nel grembo materno, ricevette la sua adorazione, colui che precorreva e che avrebbe ancora precorso, a colui che era già apparso e sarebbe nuovamente apparso a suo tempo.
«Io devo ricevere il battesimo da te» e, aggiungi pure, «in nome tuo». Sapeva infatti che avrebbe ricevuto il battesimo del martirio o che, come Pietro, sarebbe stato lavato non solo ai piedi.
Gesù sale dalle acque e porta con sé in alto tutto intero il cosmo. Vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza, quei cieli preclusi e sbarrati come il paradiso lo era per la spada fiammeggiate»
E lo Spirito testimonia la divinità del Cristo: si presenta simbolicamente sopra Colui che gli è del tutto uguale. Una voce proviene dalle profondità dei cieli, da quelle stesse profondità dalle quali proveniva Chi in quel momento riceveva la testimonianza.
Lo Spirito appare visibilmente come colomba e, in questo modo, onora anche il corpo divinizzato e quindi Dio. Non va dimenticato che molto tempo prima era stata pure una colomba quella che aveva annunziato la fine del diluvio.
Onoriamo dunque in questo giorno il battesimo di Cristo, e celebriamo come è giusto questa festa.
Purificatevi totalmente e progredite in questa purezza. Dio di nessuna cosa tanto si rallegra, come della conversione e della salvezza dell'uomo. Per l'uomo, infatti, sono state pronunziate tutte le parole divine e per lui sono stati compiuti i misteri della rivelazione.
Tutto è stato fatto perché voi diveniate come altrettanti soli cioè forza vitale per gli altri uomini. Siate luci perfette dinanzi a quella luce immensa. Sarete inondati del suo splendore soprannaturale. Giungerà a voi, limpidissima e diretta, la luce della Trinità, della quale finora non avete ricevuto che un solo raggio, proveniente dal Dio unico, attraverso Cristo Gesù nostro Signore, al quale vadano gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen.
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14/01/2013 07:25
 
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Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Capp. 59, 2 - 60, 4; 61, 3; Funk 1, 135-141)
Il Verbo di Dio che abita i cieli altissimi è fonte di sapienza

Gesù Cristo, Figlio diletto di Dio, ci ha chiamati dalle tenebre alla luce, dall'ignoranza alla conoscenza del suo nome glorioso; perché possiamo operare nel suo nome, che è all'origine di ogni cosa creata.
Per mezzo suo il creatore di tutte le cose conservi intatto il numero dei suoi eletti, che si trovano ovunque per il mondo. Ascolti la preghiera e la supplica che ora noi di cuore gli innalziamo:
Tu hai aperto gli occhi del nostro cuore perché conoscessimo te solo, Altissimo, che abiti nei cieli altissimi, Santo tra i santi. Tu abbatti l\'arroganza dei presuntuosi, disperdi i disegni dei popoli, esalti gli umili e abbatti i superbi, doni la ricchezza e la povertà, uccidi e fai vivere, benefattore unico degli spiriti e Dio di ogni carne (cfr. Is 57, 15; 13, 1; Sal 32, 10, ecc.).
Tu scruti gli abissi, conosci le azioni degli uomini, aiuti quanti sono in pericolo, sei la salvezza di chi è senza speranza, il creatore e il vigile pastore di ogni spirito. Tu dai incremento alle nazioni della terra e tra tutte scegli coloro che ti amano per mezzo del tuo Figlio diletto Gesù Cristo, per opera del quale ci hai istruiti, santificati, onorati.
Ti preghiamo, o Signore, sii nostro aiuto e sostegno. Libera quelli tra noi che si trovano nella tribolazione, abbi pietà degli umili, rialza i caduti, vieni incontro ai bisognosi, guarisci i malati, riconduci i traviati al tuo popolo. Sazia chi ha fame, libera i nostri prigionieri, solleva i deboli, da' coraggio a quelli che sono abbattuti.
Tutti i popoli conoscano che tu sei il Dio unico, che Gesù Cristo è tuo Figlio, e noi «tuo popolo e gregge del tuo pascolo» (Sal 78, 13).
Tu con la tua azione ci hai manifestato il perenne ordinamento del mondo. Tu, o Signore, hai creato la terra e resti fedele per tutte le generazioni. Sei giusto nei giudizi, ammirabile nella fortezza, incomparabile nello splendore, sapiente nella creazione e provvido nella sua conservazione, buono in tutto ciò che vediamo e fedele verso coloro che confidano in te, o Dio benigno e misericordioso. Perdona a noi iniquità e ingiustizie, mancanze e negligenze.
Non tener conto di ogni peccato dei tuoi servi e delle tue serve, ma purificaci nella purezza della tua verità e guida i nostri passi, perché camminiamo nella pietà, nella giustizia e nella semplicità del cuore, e facciamo ciò che è buono e accetto davanti a te e a quelli che ci guidano.
O Signore e Dio nostro fa', brillare il tuo volto su di noi perché possiamo godere dei tuoi beni nella pace, siamo protetti dalla tua mano potente, liberati da ogni peccato con la forza del tuo braccio eccelso, e salvati da coloro che ci odiano ingiustamente.
Dona la concordia e la pace a noi e a tutti gli abitanti della terra, come le hai date ai nostri padri, quando ti invocavano piamente nella fede e nella verità. Tu solo, o Signore, puoi concederci questi benefici e doni più grandi ancora.
Noi ti lodiamo e ti benediciamo per Gesù Cristo, sommo sacerdote e avvocato delle nostre anime. Per mezzo di lui salgano a te l'onore e la gloria ora, per tutte le generazioni e nei secoli dei secoli. Amen.
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15/01/2013 08:00
 
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Dalle «Regole più ampie» di san Basilio il Grande, vescovo
(Risp. 2, 1; PG 31, 908-910)
La forza di amare è in noi stessi

L'amore di Dio non è un atto imposto all'uomo dall'esterno, ma sorge spontaneo dal cuore come altri beni rispondenti alla nostra natura. Noi non abbiamo imparato da altri né a godere la luce, né a desiderare la vita, né tanto meno ad amare i nostri genitori o i nostri educatori. Così dunque, anzi molto di più, l'amore di Dio non deriva da una disciplina esterna, ma si trova nella stessa costituzione naturale dell'uomo, come un germe e una forza della natura stessa. Lo spirito dell'uomo ha in sé la capacità ed anche il bisogno di amare.
L'insegnamento rende consapevoli di questa forza, aiuta a coltivarla con diligenza, a nutrirla con ardore e a portarla, con l'aiuto di Dio, fino alla sua massima perfezione. Voi avete cercato di seguire questa via. Mentre ve ne diamo atto, vogliamo contribuire, con la grazia di Dio e per le vostre preghiere, a rendere sempre più viva tale scintilla di amore divino, nascosta in voi dalla potenza dello Spirito Santo.
Diciamo in primo luogo che noi abbiamo ricevuto antecedentemente la forza e la capacità di osservare tutti i comandamenti divini, per cui non li sopportiamo a malincuore come se da noi si esigesse qualche cosa di superiore alle nostre forze, né siamo obbligati a ripagare di più di quanto ci sia stato elargito. Quando dunque facciamo un retto uso di queste cose, conduciamo una vita ricca di ogni virtù, mentre, se ne facciamo un cattivo uso, cadiamo nel vizio.
Infatti la definizione del vizio è questa: uso cattivo e alieno dai precetti del Signore delle facoltà che egli ci ha dato per fare il bene. Al contrario, la definizione della virtù che Dio vuole da noi è: uso retto delle medesime capacità, che deriva dalla buona coscienza secondo il mandato del Signore.
La regola del buon uso vale anche per il dono dell'amore. Nella stessa nostra costituzione naturale possediamo tale forza di amare anche se non possiamo dimostrarla con argomenti esterni, ma ciascuno di noi può sperimentarla da se stesso e in se stesso. Noi, per istinto naturale, desideriamo tutto ciò che è buono e bello, benché non a tutti sembrino buone e belle le stesse cose. Parimenti sentiamo in noi, anche se in forme inconsce, una speciale disponibilità verso quanti ci sono vicini o per parentela o per convivenza, e spontaneamente abbracciamo con sincero affetto quelli che ci fanno del bene.
Ora che cosa c'è di più ammirabile della divina bellezza? Quale pensiero è più gradito e più soave della magnificenza di Dio? Quale desiderio dell'animo è tanto veemente e forte quanto quello infuso da Dio in un'anima purificata da ogni peccato e che dice con sincero affetto: Io sono ferita dall'amore? (cfr. Ct 2, 5). Ineffabili e inenarrabili sono dunque gli splendori della divina bellezza.
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16/01/2013 07:55
 
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Dal trattato «Contro le eresie» di sant\'Ireneo, vescovo
(Lib. IV, 6, 3. 5. 6. 7; SC 100, 442. 446. 448. 454)
La manifestazione del Figlio è la conoscenza del Padre

Nessuno può conoscere il Padre senza il Verbo di Dio, cioè senza la rivelazione del Figlio, né alcuno può conoscere il Figlio senza la benevolenza del Padre. Il Figlio, poi, porta a compimento la benevolenza del Padre; infatti il Padre manda, mentre il Figlio è mandato e viene. Il Verbo conosce il Padre, per quanto invisibile e indefinibile per noi, e anche se è inesprimibile, viene da lui espresso. A sua volta, poi, solo il Padre conosce il suo Verbo.
Questa mutua relazione fra le Persone divine ci è stata rivelata dal Signore.
Il Figlio con la sua manifestazione ci dà la conoscenza del Padre. Infatti la conoscenza del Padre viene dalla manifestazione del Figlio: tutto viene manifestato per mezzo del Verbo.
Ora il Padre ha rivelato il Figlio allo scopo di rendersi manifesto a tutti per mezzo di lui, e di accogliere nella santità, nell'incorruttibilità e nel refrigerio eterno coloro che credono a lui. Credere a lui, poi, è fare la sua volontà.
Il Verbo per la sua stessa natura rivela Dio creatore, per mezzo del mondo il Signore creatore del mondo, per mezzo della creatura l'artefice che l'ha plasmata, e per mezzo della sua condizione di Figlio rivela quel Padre che ha generato il Figlio. Certo tutti discutono allo stesso modo queste verità, ma non tutti vi credono allo stesso modo. Così il Verbo predicava se stesso e il Padre, per mezzo della Legge e dei Profeti, e tutto il popolo ha sentito allo stesso modo, ma non tutti hanno creduto allo stesso modo.
Il Padre era manifestato per mezzo dello stesso Verbo reso visibile e palpabile, quantunque non tutti vi credessero allo stesso modo; ma tutti videro il Padre nel Figlio: infatti il Padre è la realtà invisibile del Figlio, come il Figlio è la realtà visibile del Padre.
Il Figlio, poi, mettendosi al servizio del Padre, porta a compimento ogni cosa dal principio alla fine, e senza di lui nessuno può conoscere Dio. Conoscere il Figlio è conoscere il Padre. La conoscenza del Figlio viene a noi dal rivelarsi del Padre attraverso il Figlio. Per questo il Signore diceva: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11, 27). «Lo voglia rivelare»: infatti non fu detto soltanto per il futuro, come se il Verbo abbia cominciato a rivelare il Padre quando nacque da Maria, ma vale in generale per tutti i tempi. Infatti fin da principio il Figlio, vicino alla creatura da lui plasmata, rivela a tutti il Padre, a chi vuole, quando vuole e come vuole il Padre.
La nostra fede è questa: In tutto e per tutto non c'è che un solo Dio Padre, un solo Verbo, un solo Spirito e una sola salvezza per tutti quelli che credono nel Dio uno e trino.
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17/01/2013 06:16
 
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Dalla «Vita di sant'Antonio» scritta da sant'Atanasio, vescovo
(Capp. 2-4; PG 26,842-846)
La vocazione di sant\'Antonio

Dopo la morte dei genitori, lasciato solo con la sorella ancor molto piccola, Antonio, all\'età di diciotto o vent\'anni, si prese cura della casa e della sorella. Non erano ancora trascorsi sei mesi dalla morte dei genitori, quando un giorno, mentre si recava, com\'era sua abitudine, alla celebrazione eucaristica, andava riflettendo sulla ragione che aveva indotto gli apostoli a seguire il Salvatore, dopo aver abbandonato ogni cosa. Richiamava alla mente quegli uomini, di cui si parla negli Atti degli Apostoli, che, venduti i loro beni, ne portarono il ricavato ai piedi degli apostoli, perché venissero distribuiti ai poveri. Pensava inoltre quali e quanti erano i beni che essi speravano di conseguire in cielo.
Meditando su queste cose entrò in chiesa, proprio mentre si leggeva il vangelo e sentì che il Signore aveva detto a quel ricco: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi e avrai un tesoro nei cieli» (Mt 19,21).
Allora Antonio, come se il racconto della vita dei santi gli fosse stato presentato dalla Provvidenza e quelle parole fossero state lette proprio per lui, uscì subito dalla chiesa, diede in dono agli abitanti del paese le proprietà che aveva ereditato dalla sua famiglia - possedeva infatti trecento campi molto fertili e ameni - perché non fossero motivo di affanno per sé e per la sorella. Vendette anche tutti i beni mobili e distribuì ai poveri la forte somma di denaro. Partecipando un\'altra volta all'assemblea liturgica, sentì le parole che il Signore dice nel vangelo: «Non vi angustiate per il domani» (Mt 6,34). Non potendo resistere più a lungo, uscì di nuovo e donò anche ciò che gli era ancora rimasto. Affidò la sorella alle vergini consacrate a Dio e poi egli stesso si dedicò nei pressi della sua casa alla vita ascetica, e cominciò a condurre con fortezza una vita aspra, senza nulla concedere a se stesso.
Egli lavorava con le proprie mani: infatti aveva sentito proclamare: «Chi non vuol lavorare, neppure mangi» (2Ts 3,10). Con una parte del denaro guadagnato comperava il pane per sé, mentre il resto lo donava ai poveri.
Trascorreva molto tempo in preghiera, poiché aveva imparato che bisognava ritirarsi e pregare continuamente (cfr. 1Ts 5,17). Era così attento alla lettura, che non gli sfuggiva nulla di quanto era scritto, ma conservava nell\'animo ogni cosa al punto che la memoria finì per sostituire i libri. Tutti gli abitanti del paese e gli uomini giusti, della cui bontà si valeva, scorgendo un tale uomo lo chiamavano amico di Dio e alcuni lo amavano come un figlio, altri come un fratello.
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