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RUOLO DEL CRISTIANESIMO NELL'ABOLIZIONE DELLA SCHIAVITU'

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2021 11:36
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19/04/2021 11:33
 
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TOMMASO D’AQUINO. San Tommaso d’Aquino analizzato la morale nei rapporti umani, sostenendo che la schiavitù è in opposizione al diritto naturale e deducendo che tutte le “creature razionali” hanno diritto alla giustizia. Non ha trovato alcuna base naturale per la riduzione in schiavitù di una persona piuttosto che un’altra, rimuovendo ogni possibile giustificazione per la schiavitù in base alla razza o religione. D’Aquino ha distinto anche due forme di “sudditanza” o autorità, giuste e ingiuste: la prima si verifica quando il padrone produce un vantaggio e beneficio ai suoi sudditi. La forma ingiusta di soggezione, invece, è quella della schiavitù, in cui il sovrano gestisce il soggetto per il suo vantaggio. Per chi volesse ulteriormente approfondire il pensiero di Tommaso in questo senso, consigliamo lo studio del filosofo Hector Zagal: Aquinas on Slavery: An Aristotelian Puzzle (Universidad Santo Tomás 2003).


 


SANTA BATILDE (626-670 d.C.). Nel VII secolo la Chiesa addirittura proclamò santa la schiava britannica Batilde, divenuta sposa e poi vedova di Clodoveo II, re dei Franchi, la quale sfruttò la sua posizione per organizzare una campagna che ponesse fine alla tratta degli schiavi e per riscattare coloro che si trovavano in schiavitù.



 


PONTEFICI CRESCIUTI COME SCHIAVI. Secondo Tacito, «gli schiavi non avevano religione, o avevano solo religioni straniere» (Annali, XIV), certamente erano esclusi dalle funzioni religiose perché le avrebbero contaminate (Cicerone, “Ottavio”, XXIV). Al contrario il cristianesimo ha da subito predicato l’assoluta uguaglianza religiosa, una radicale novità. La Chiesa non guardò mai alla condizione sociale dei fedeli, offrendo a tutti gli stessi sacramenti. Numerosi chierici ebbero un’origine servile e la stessa Cattedra di San Pietro è stata occupata da uomini che erano stati schiavi, come Pio I (100-150 d.C.) e Papa Callisto I (180-222 d.C.).



 


TOMBE DEGLI SCHIAVI CRISTIANI. Interessante notare anche che nei cimiteri cristiani non vi era alcuna differenza tra le tombe degli schiavi e quelli dei liberi, al contrario dei sepolcri pagani in cui era sempre sottolineata la condizione servile con un’iscrizione (le tombe erano isolate). Addirittura sono state trovate tombe di schiavi onorati con un sepolcro più pretenzioso di altri fedeli liberi, come quello di Ampliatus nel cimitero di Domitilla (cfr. Bulletin of Christian Archaeology, 1881, pp. 57-54, and pl. III, IV). Ciò è particolarmente vero nel caso di schiavi martiri: ad esempio, le ceneri di due schiavi, Protus e Hyacinthus, bruciati vivi durante la persecuzione di Valeriano, sono state avvolte da un sudario di tessuto oro (cfr. Bulletin of Christian Archaeology, 1894, pag 28).



 


IMPERATORI CRISTIANI. Sotto gli imperatori cristiani la condanna al maltrattamento degli schiavi divenne ogni giorno più marcata. Occorre comunque dire che il diritto civile in schiavitù rimase indietro rispetto alle esigenze del cristianesimo («Le leggi di Cesare sono una cosa, le leggi di Cristo un’altra», scrive S. Girolamo in “Ep. lxxvii”), tuttavia si nota un forte progresso in questo senso. L’eliminazione improvvisa della schiavitù, come detto sopra, non era possibile poiché gran parte del sistema economico romano si basava sulla schiavitù e la sua condanna avrebbe causato seri problemi di ordine sociale per qualsiasi imperatore.


L’imperatore Costantino cercò di raggiungere due obiettivi molto importanti: favorire la liberazione del maggior numero di schiavi possibile da parte dei padroni tramite quello che viene definito “favor libertatis” e migliorare la condizione esistenziale degli schiavi che non ottenevano la libertà. Diede molto risalto nella sua attività legislativa alla cosiddetta “libertà per ricompensa” che prevedeva la liberazione dello schiavo che denunciava all’autorità pubblica delitti quali la coniazione di monete false oppure gli omicidi, i rapimenti, diede grande impulso ai processi di affrancamento per motivi religiosi emanando una legge che imponeva ai padroni ebrei di vendere gli schiavi cristiani alla Chiesa. Infine, Costantino stabilì in sedici anni (a differenza dei venti previsti da Diocleziano) il periodo necessario all’acquisto della libertà da parte dello schiavo. Per quanto riguarda i provvedimenti adottati da Costantino per migliorare la condizione servile ed eliminare abitudini molto crudeli, egli abolì la loro crocifissione, ribadì il divieto di castrazione imponendo altrimenti la confisca dello schiavo, eliminò il marchio a fuoco impresso sulla fronte degli schiavi condannati a combattere nelle arene come gladiatori o ai lavori forzati nelle miniere. Inoltre, impedì che le famiglie costituite da schiavi venissero separate riconoscendo il valore morale, materiale e religioso di tali famiglie come voleva la Chiesa cattolica. Infine Costantino in una costituzione del 326 invitò i padroni a non vendere i propri schiavi. A tale riguardo Costantino scrisse: «Tolerabilius est servos mori suis dominis quam servire extraneis».


Sotto il regno di Giustiniano la legislazione imperiale cristiana raggiunse il suo più alto livello programmatico in quanto l’imperatore affermò più volte che la schiavitù era contraria al diritto naturale. Egli si rese conto che non potendo abolire la schiavitù per ragioni di vario tipo, era necessario limitare il numero degli schiavi e rendere sempre più umana la loro condizione esistenziale applicando i principi etici del cristianesimo. Riconosceva che la dottrina cristiana era incompatibile con l’esistenza della schiavitù, ma d’altra parte si rendeva conto che i tempi non erano ancora maturi per abolirla come il diritto naturale richiedeva. Tuttavia M. Melluso, in La schiavitù nell’età giustinianea, spiega che «Giustiniano cerca sicuramente di dare una dimensione più “umana” alla schiavitù, continuando nell’opera di erosione dell’istituto quale si era radicato nella società di epoca classica» (pag. 296).


 


Almeno inizialmente, hanno scritto Jean Andreau e Raymond Descat, «la Chiesa non ha sconvolto ogni cosa, ma ha attenuato alcuni degli aspetti più negativi della schiavitù, ha combattuto gli abusi più palesi. Si è interessata particolarmente al riscatto dei prigionieri e si è opposta alla riduzione in schiavitù, con l’inganno o con la forza, di uomini e donne liberi» (J. Andreau e R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, Il Mulino 2006, p.149). Diffondendosi via via, il Cristianesimo poté cominciare, attraverso i suoi valori morali, ad attenuare le dure leggi e le abitudini severe del mondo romano per migliorare le condizioni degli schiavi. Ad esempio, in seguito alle invasioni barbariche, documenti dal V al VII secolo sono pieni di casi di prigionieri delle città conquistate e destinati al la schiavitù, che la Chiesa ha redento e rimandato a migliaia nei rispettivi Paesi (E. Lesne, Hist de la propriété ecclésiastique en France, 1910, pp 357-69). Tutto questo senza “colpi di stato” o manifestazioni di piazza, ma dimostrando quanto fosse più umano imitare l’esempio del comportamento di Gesù Cristo. Lo ha spiegato il filosofo Cornelio Fabro: «La Chiesa si adoperò in tutti i tempi per emancipare coloro che per diritto di guerra o per altri motivi erano divenuti schiavi. Non meno efficace fu l’influsso della morale e della spiritualità cristiana sulla cause prossime della schiavitù […]. Il movimento di liberazione continuò in tutto il Medioevo e si estese alle genti barbariche del Nord che accettavano l’influsso della Chiesa e del diritto romano fino a far scomparire in pratica la schiavitù antica e a concepire nuove forme di dipendenza più consone alla crescente consapevolezze della dignità dell’uomo» (C. Fabro, Studi cattolici, n.66, settembre 1966).


 
 


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