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IL NOSTRO CUORE NON HA POSA FINCHE' IN DIO NON RIPOSA

Ultimo Aggiornamento: 15/08/2018 16:03
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01/11/2011 22:20
 
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DAL CATECHISMO RIPORTIAMO QUESTA FONDAMENTALE SEZIONE CHE CI PERMETTERA' DI COMPRENDERE COME IL CUORE DELL'UOMO SARA' SEMPRE ALLA RICERCA DI DIO, A VOLTE ANCHE INCONSAPEVOLMENTE

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01/11/2011 22:21
 
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SEZIONE PRIMA - “IO CREDO” - “NOI CREDIAMO”

CAPITOLO PRIMO - L'UOMO E' “CAPACE” DI DIO


I. Il desiderio di Dio


27 Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell'uomo, perché l'uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l'uomo e soltanto in Dio l'uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa:


La ragione più alta della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19].


28 Nel corso della loro storia, e fino ai giorni nostri, gli uomini in molteplici modi hanno espresso la loro ricerca di Dio attraverso le loro credenze ed i loro comportamenti religiosi (preghiere, sacrifici, culti, meditazioni, ecc). Malgrado le ambiguità che possono presentare, tali forme d'espressione sono così universali che l'uomo può essere definito un essere religioso:


Dio creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo ( At 17,26-28 ).


29 Ma questo “intimo e vitale legame con Dio” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 19] può essere dimenticato, misconosciuto e perfino esplicitamente rifiutato dall'uomo. Tali atteggiamenti possono avere origini assai diverse: [Cf ibid., 19-21] la ribellione contro la presenza del male nel mondo, l'ignoranza o l'indifferenza religiosa, le preoccupazioni del mondo e delle ricchezze, [Cf Mt 13,22 ] il cattivo esempio dei credenti, le correnti di pensiero ostili alla religione, e infine la tendenza dell'uomo peccatore a nascondersi, per paura, davanti a Dio [Cf Gen 3,8-10 ] e a fuggire davanti alla sua chiamata [Cf Gn 1,3 ].


30 “Gioisca il cuore di chi cerca il Signore” ( Sal 105,3 ). Se l'uomo può dimenticare o rifiutare Dio, Dio però non si stanca di chiamare ogni uomo a cercarlo perché viva e trovi la felicità. Ma tale ricerca esige dall'uomo tutto lo sforzo della sua intelligenza, la rettitudine della sua volontà, “un cuore retto” ed anche la testimonianza di altri che lo guidino nella ricerca di Dio.


Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù e la tua sapienza incalcolabile. E l'uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l'uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te [Sant'Agostino, Confessiones, 1, 1, 1].



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01/11/2011 22:22
 
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II. Le vie che portano alla conoscenza di Dio


31 Creato a immagine di Dio, chiamato a conoscere e ad amare Dio, l'uomo che cerca Dio scopre alcune “vie” per arrivare alla conoscenza di Dio. Vengono anche chiamate “prove dell'esistenza di Dio”, non nel senso delle prove ricercate nel campo delle scienze naturali, ma nel senso di “argomenti convergenti e convincenti” che permettono di raggiungere vere certezze.

Queste “vie” per avvicinarsi a Dio hanno come punto di partenza la creazione: il mondo materiale e la persona umana.



32 Il mondo: partendo dal movimento e dal divenire, dalla contingenza, dall'ordine e dalla bellezza del mondo si può giungere a conoscere Dio come origine e fine dell'universo.


San Paolo riguardo ai pagani afferma “Ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità” ( Rm 1,19-20 ) [Cf At 14,15; At 14,17; 32 At 17,27-28; Sap 13,1-9 ].

E sant'Agostino: “Interroga la bellezza della terra, del mare, dell'aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo... interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un loro inno di lode ["confessio"]. Ora, queste creature, così belle ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è bello ["Pulcher"] in modo immutabile?” [Sant'Agostino, Sermones, 241, 2: PL 38, 1134].



33 L' uomo: con la sua apertura alla verità e alla bellezza, con il suo senso del bene morale, con la sua libertà e la voce della coscienza, con la sua aspirazione all'infinito e alla felicità, l'uomo si interroga sull'esistenza di Dio. In queste aperture egli percepisce segni della propria anima spirituale. “Germe dell'eternità che porta in sé, irriducibile alla sola materia”, [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 18; cf 14] la sua anima non può avere la propria origine che in Dio solo.


34 Il mondo e l'uomo attestano che essi non hanno in se stessi né il loro primo principio né il loro fine ultimo, ma che partecipano all'Essere in sé, che non ha né origine né fine. Così, attraverso queste diverse “vie”, l'uomo può giungere alla conoscenza dell'esistenza di una realtà che è la causa prima e il fine ultimo di tutto “e che tutti chiamano Dio” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I, 2, 3].



35 L'uomo ha facoltà che lo rendono capace di conoscere l'esistenza di un Dio personale. Ma perché l'uomo possa entrare nella sua intimità, Dio ha voluto rivelarsi a lui e donargli la grazia di poter accogliere questa Rivelazione nella fede. Tuttavia, le “prove” dell'esistenza di Dio possono disporre alla fede ed aiutare a constatare che questa non si oppone alla ragione umana.



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01/11/2011 22:24
 
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III. La conoscenza di Dio secondo la Chiesa


36 “La santa Chiesa, nostra madre, sostiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create” [Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3004; cf 3026; Conc. Ecum. Vat. II, Dei ]. Senza questa capacità, l'uomo non potrebbe accogliere la Rivelazione di Dio. L'uomo ha questa capacità perché è creato “a immagine di Dio” [Cf Gen 1,27 ].


37 Tuttavia, nelle condizioni storiche in cui si trova, l'uomo incontra molte difficoltà per conoscere Dio con la sola luce della ragione.


Infatti, sebbene la ragione umana, per dirla semplicemente, con le sole sue forze e la sua luce naturale possa realmente pervenire ad una conoscenza vera e certa di un Dio personale, il quale con la sua Provvidenza si prende cura del mondo e lo governa, come pure di una legge naturale inscritta dal Creatore nelle nostre anime, tuttavia la stessa ragione incontra non poche difficoltà ad usare efficacemente e con frutto questa sua capacità naturale. Infatti le verità che concernono Dio e riguardano i rapporti che intercorrono tra gli uomini e Dio, trascendono assolutamente l'ordine delle cose sensibili, e, quando devono tradursi in azioni e informare la vita, esigono devoto assenso e la rinuncia a se stessi. Lo spirito umano, infatti, nella ricerca intorno a tali verità, viene a trovarsi in difficoltà sotto l'influsso dei sensi e della immaginazione ed anche a causa delle tendenze malsane nate dal peccato originale. Da ciò consegue che gli uomini facilmente si persuadono, in tali argomenti, che è falso o quanto meno dubbio ciò che essi non vorrebbero che fosse vero” [Pio XII, Lett. enc. Humani generis: Denz. -Schönm., 3875].


38 Per questo l'uomo ha bisogno di essere illuminato dalla Rivelazione di Dio, non solamente su ciò che supera la sua comprensione, ma anche sulle “verità religiose e morali che, di per sé, non sono inaccessibili alla ragione, affinché nella presente condizione del genere umano possano essere conosciute da tutti senza difficoltà, con ferma certezza e senza mescolanza d'errore” [Pio XII, Lett. enc. Humani generis: Denz. -Schönm., 3875].


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01/11/2011 22:25
 
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IV. Come parlare di Dio?


39 Nel sostenere la capacità che la ragione umana ha di conoscere Dio, la Chiesa esprime la sua fiducia nella possibilità di parlare di Dio a tutti gli uomini e con tutti gli uomini. Questa convinzione sta alla base del suo dialogo con le altre Religioni, con la filosofia e le scienze, come pure con i non credenti e gli atei.


40 Essendo la nostra conoscenza di Dio limitata, lo è anche il nostro linguaggio su Dio. Non possiamo parlare di Dio che a partire dalle creature e secondo il nostro modo umano, limitato, di conoscere e di pensare.


41 Le creature hanno tutte una certa somiglianza con Dio, in modo particolarissimo l'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio. Le molteplici perfezioni delle creature (la loro verità, bontà, bellezza) riflettono dunque la perfezione infinita di Dio. Di conseguenza, noi possiamo parlare di Dio a partire dalle perfezioni delle sue creature, “difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l'Autore” ( Sap 13,5 ).



42 Dio trascende ogni creatura. Occorre dunque purificare continuamente il nostro linguaggio da ciò che ha di limitato, di immaginoso, di imperfetto per non confondere il Dio “ineffabile, incomprensibile, invisibile, inafferrabile” [Liturgia di san Giovanni Crisostomo, Anafora] con le nostre rappresentazioni umane. Le parole umane restano sempre al di qua del Mistero di Dio.


43 Parlando così di Dio, il nostro linguaggio certo si esprime alla maniera umana, ma raggiunge realmente Dio stesso, senza tuttavia poterlo esprimere nella sua infinita semplicità. Ci si deve infatti ricordare che “non si può rilevare una qualche somiglianza tra Creatore e creatura senza che si debba notare tra di loro una dissomiglianza ancora maggiore”, [Concilio Lateranense IV: Denz. -Schönm., 806] e che “noi non possiamo cogliere di Dio ciò che Egli è, ma solamente ciò che Egli non è, e come gli altri esseri si pongano in rapporto a lui” [San Tommaso d'Aquino, Summa contra gentiles, 1, 30].


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26/07/2012 11:59
 
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15/08/2018 16:03
 
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«Il ritorno di Dio? Inevitabile,
l’uomo ha in sé un richiamo trascendente»

 
 
di Claudio Risé*
*psicoterapeuta junghiano
 
Sulla religiosità oggi, e su chi abbia a no diritto di parola su simboli e riti religiosi, c’è grande confusione in Italia dovuta anche a disinformazione. Lo stereotipo corrente, più volte ripetuto dai grandi media, è che la religione e i suoi simboli non interessano quasi più nessuno. Ci viene spiegato fino alla noia che il mondo sviluppato si occupa d’altro: soldi, divertimento, status, insomma le cose che “contano”. Il resto è bigottismo in via di scomparsa.

È la tesi della “secolarizzazione”. Il mondo ha ormai imparato a fare a meno di Dio, e va avanti, più o meno tranquillamente, per conto suo. Un’ipotesi proposta ormai da più di 230 anni, quando la Rivoluzione francese fece abbattere le statue sacre per sostituirle con quelle della dea Ragione, ed è ormai smentita, come vedremo, da dati internazionalmente noti e accettati. Tanto che il filosofo ufficiale della postmodernità, Jürgen Habermas, ha chiesto di parlare ormai di post secolarizzazione  […].

L’essere umano ha bisogno d’altro, oltre ai soldi e a consumi più o meno splendenti. In particolare ha bisogno di amare e di sentirsi amato da un Altro che lo ricambi da una dimensione più alta ed eterna, e che tutte le culture del mondo chiamano Dio, in forme diverse. È il provvidenziale aspetto della psiche umana che in occidente si è sempre chiamato “anima” (senza ascoltare la quale anche il corpo non sta tanto bene) a cercare instancabilmente Dio e la sua forza. Ed è alla ricerca dell’anima che Orfeo suonava il suo flauto per i boschi della Grecia, non ancora amministrata dalla troika, ma già testimone della nascita della poesia, della cultura e della bellezza di questa parte del mondo. Sì: è da quelle parti che si trovano anche le nostre radici, bibliche, greche, cristiane di cui ci parlò sapientemente Benedetto XVI. Ritrovarle ci fa bene, anche se nella modesta Carta dell’Unione europea non se ne parla affatto (ma non importa).

Il ritorno di Dio che pose fine alla secolarizzazione non avvenne di colpo. Era già per un bisogno religioso che verso la metà degli anni Sessanta (assai prima del 1968), migliaia di giovani occidentali lasciarono le case dei loro indaffarati genitori per una ricerca più alta (senza troppa paura del basso) attraverso la meditazione, la ricerca di sé e quella del sacro. Era l’epoca del Concilio Vaticano II e l’interesse delle chiese cristiane andava alle «verità orizzontali», come le chiamò il teologo Jean Guitton: la pace, i diritti, le libertà, la scienza. Molti di quei giovani intuivano però che da nessuna di quelle categorie pratiche sarebbe scaturito il cambiamento di rotta di cui essi sentivano l’esigenza: mancava l’asse verticale della croce, quello diretta verso l’alto. Lo cercarono (di solito senza trovarlo) nei conventi fra le vette dell’Himalaya, nelle meditazioni, anche tra santoni a volte variopinti; almeno ci provarono. Come già riconobbe lo storico Augusto del Noce, la stessa contestazione giovanile nacque più tardi «dal riconoscimento che la società opulenta porta l’alienazione al suo grado massimo» (L’epoca della secolarizzazione, edizioni Aragno) e dal tentativo di superarla.

Il bisogno rimasto insoddisfatto fu poi di lì a qualche anno riproposto con ostentata superficialità dalla pubblicità, più versatile e a suo modo profonda delle diverse chiese. I «trend setter», gli osservatori di tendenze, molto più informati con i loro sondaggi della fumosa teoria illuminista della secolarizzazione (presa sul serio anche da alcune chiese cristiane), sapevano infatti perfettamente che per moltissimi giovani Gesù era più interessante di qualsiasi altro «brand» e che in fondo avrebbero davvero voluto seguirlo. Così lanciarono, nella primavera del 1973, i jeans Jesus con stampato sul sedere: «Chi ama mi segua». L’Osservatore Romano ci fece un corsivo indignato. Anche Pier Paolo Pasolini sembrò caderci con uno «scritto corsaro» sul Corriere della Sera. In cui peraltro acutamente annunciava che da quel manifesto il capitalismo «forniva agli uomini una visione totale e unica della vita», dal corpo al consumo a Dio, e non avrebbe più saputo che farsene della Chiesa. Come più o meno avvenne. Però siccome PPP oltre ai toni profetici un po’ profeta lo era (come i veri poeti), riconobbe anche che forse questa storia ci parlava del futuro. Forse chiamando i calzoni Jesus e stampandoci sopra «Chi mi ama mi segua», il capitalismo intuiva anche che la sequela di Cristo sarebbe passata da lì, dalla sazietà del consumo, più che dai discorsi sui diritti o sulla scienza fatti dal Concilio. E lo stesso PPP vide in ciò la punizione, la «nemesi della Chiesa per il suo patto col Diavolo»: il consumismo materialista.

Fatto sta che i popoli tornarono davvero a seguire Dio, e non solo nel mondo cristiano. Di lì a pochi anni, in Iran il regime occidentalizzato dello Scià di Persia fu rovesciato dall’ajatollah Khomeini, che lo sostituì con uno Stato teocratico, tutt’ora al potere. Negli Usa si diffusero, anche tra i giovani cristiani libertari, movimenti come i Promise keepers, i mantenitori della promessa, che si sposavano solo dopo aver fatto una solenne e pubblica promessa di mantenere il vincolo matrimoniale rinunciando alla possibilità del divorzio, arrivando a ottenere che in molti Stati federali questa venisse registrata ufficialmente. Insomma contro il «vogliamo tutto» si chiedevano vincoli, per ricostruire identità. Un processo che continua oggi, nel mondo e anche in tutto l’Occidente, rinnovando continuamente la ricerca di nuovi modi di affermazione. Inoltre i Paesi non occidentali avevano dimostrato che la secolarizzazione non era indispensabile allo sviluppo economico e alla modernizzazione, che si verificavano a ritmi molto elevati anche in società prevalentemente religiose come l’India, o Singapore dove anzi la religiosità si intensificava con lo sviluppo. Credere in Dio non significava affatto restare poveri e affamati.

Fu però dopo la caduta del muro di Berlino e dell’Unione sovietica che la secolarizzazione entrò in crisi in tutto il mondo. Il «ritorno di Dio» era ormai evidente, e riconosciuto dalla sociologia religiosa, dai sondaggi condotti ovunque per verificarla, e dalla scienza politica. Il fenomeno non fece piacere alla maggior parte dei vecchi politici, formati fin dall’inizio del secolo scorso sull’ipotesi di un graduale e inarrestabile sviluppo dell’ateismo. Il ritorno di Dio non deve però sorprendere: l’osservazione psicologica mostra con precisa evidenza (in Carl Gustav Jung, Edmund Husserl, Karl Jaspers e tanti altri), che l’uomo ha in sé un forte richiamo trascendente, che si esprime ad esempio nei suoi ideali. Quando non lo ascolta (o viene impedito di farlo) soffre e si ammala. Inoltre ha bisogno di appartenenze più significative e interessanti della tessera del supermercato, che lo aiutino a riconoscere la sua identità e il senso della sua esistenza. Tra questi aspetti identitari quello religioso è fra i più potenti, e ne trascina con sé molti altri. Non è un caso, ad esempio, che alla fine del Novecento, quando dopo la prima ubriacatura di globalizzazione secolarizzata si ricostituirono le antiche nazioni inglobate dall’ex Jugoslavia comunista, il criterio principale nello stabilire i confini fu subito quello dell’appartenenza religiosa. Come ha scritto Marco Rizzi, in quell’occasione: «la religione maggioritaria ha determinato i confini degli Stati» (La secolarizzazione debole, edizioni Il Mulino). Anche in Europa, alla fine del secolo scorso, nazioni e identità religiose stavano già rinascendo.

La Russia post sovietica per prima cominciò presto a ritrovare dopo 70 anni di comunismo ateo gli aspetti religiosi e trascendenti della propria identità, assieme con la propria storia, i propri confini e i propri simboli. In quel Paese ciò ha enormemente rafforzato sia la partecipazione religiosa, che la Chiesa cristiana ortodossa e lo Stato. La Cina, con i suoi attuali dirigenti, se è impegnata nella riproposizione del pensiero taoista, e della visione morale e religiosa di Confucio e dei sui allievi. Non tutti, però, furono contenti della fine della secolarizzazione. In Occidente le più sconcertate furono appunto le due autorità che dall’epoca della «morte di Dio» in poi avevano amministrato l’intera questione religiosa: lo Stato con i suoi partiti tradizionali, e le chiese «sbilanciate a favore del secolarismo», come ha sottolineato il filosofo Marcello Pera in un’intervista a questo giornale (del 5 aprile 2018). Oggi, se la maggioranza degli intervistati da Pew research e tanti altri dichiara tranquillamente di credere in Dio, e moltissimi assicurano di sentirsi rafforzati da un rapporto personale forte con il sacro, la meditazione e la preghiera, significa che la religione è ormai uscita da quell’angolo riservato in cui l’avevano confinata gli accordi tra le diplomazie degli Stati secolarizzati e le burocrazie ecclesiastiche. Ciò però scompagina vecchie abitudini, tradizionali pigrizie e recenti comodità. È più facile far funzionare la Chiesa come una onlus che stare al passo con uno spirito santo che, come dice il Vangelo di Giovanni: «nessuno sa dove viene e dove va», ma è proprio ciò che i fedeli cercano.

Spesso però i sacerdoti non hanno più una relazione diretta né con le lingue in cui la parola biblica e evangelica è stata trasmessa, né con le tradizioni rituali e mistiche che possono sopperire a una sua vacillante interpretazione. Come lamentano molti fedeli: si comportano come assistenti sociali. Ciò però non c’entra con il cristianesimo, dove fin dall’inizio Gesù ammoniva Giuda, l’amministratore-traditore, che protestava per il dispendio dell’olio versato sul suo corpo prima della Passione: «I poveri li avrete sempre con voi, ma non avrete più me» (Marco 14, 1-11). Povertà e ricchezza riguardano la libertà umana; ma è nel rapporto personale con Cristo che si gioca il destino dell’uomo. Come aveva intuito Jean Guitton, le «verità orizzontali» pace, diritti, scienza e «le cose come stanno» hanno disabituato i ministri della fede alla fatica di frequentare l’altro, difficile, asse della croce, quello verticale, con (ad esempio) le sue tensioni in alto verso il futuro (personale e collettivo), e, in basso verso il profondo, il passato e la tradizione. La straordinaria dinamicità del cristianesimo sta invece da sempre nel coniugare le due direzioni, orizzontale e verticale, al centro delle quali sta l’uomo.

Il risveglio della fede come sentimento diffuso e popolare non ha in sé nulla di necessariamente divisivo. Come hanno dimostrato gli studi sulla guerra, al contrario di quanto spesso si sostiene, solo meno del 10% dei principali conflitti è stato provocato da motivazioni religiose. È un fatto però che questa fede ritrovata ed esigente è più complicata da amministrare di consuetudini opportunistiche o devozioni superficiali. Nel cristianesimo in particolare il ritorno di Dio fa invece appello a quella «creatività» non convenzionale cui richiamava Benedetto XVI. Certo è che le ideologie universalistiche del 1700 e le loro fantasie onnipotenti di sostituire Dio e le sue tradizioni nazionali con una «dea Ragione» buona per tutti hanno fatto il loro tempo. Sul piano esistenziale, in modi di vita orientati sempre di più dall’invadenza dell’economia e dalla tecnica, le credenze religiose rappresentano per gruppi sempre più numerosi l’alternativa possibile alle logiche spersonalizzanti dei mercati e disumanizzanti delle tecniche; a cominciare da quelle per la riproduzione artificiale.

Sul piano antropologico riemergono le antiche realtà dei popoli, i territori, le nazioni, le loro culture; e il loro Dio, che può convivere con tutti a patto di venire rispettato. Il nostro è l’uomo-Dio morto sulla croce. L’unico a essere risorto.

fonte: https://www.uccronline.it/2018/08/14/il-ritorno-di-dio-inevitabile-luomo-ha-in-se-un-richiamo-trascendente/


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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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