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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 21/05/2024 10:19
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12/11/2018 09:36
 
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Se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te (...), tu gli perdonerai»

Rev. D. Pedro-José YNARAJA i Díaz
(El Montanyà, Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci parla di tre temi importanti. In primo luogo, la nostra attitudine verso i bambini. Se in altre occasioni ci è stata elogiata l’infanzia, in questa ci si avverte del male che si può occasionargli.

Scandalizzare non è sconvolgere o stupire, come a volte si interpreta; la parola dal greco usata dall’evangelista “Skandalon”, che significa oggetto che fa inciampare o scivolare, una pietra nel cammino, o una buccia di banana per capirci. Il bambino deve essere molto rispettato, e guai a colui che lo inizi nel peccato! (cf. Lc 17,1). Gesù gli annuncia un castigo terribile e lo fa con una immagine molto eloquente. Tuttavia si trovano in Terra Santa pietre di mulino antiche. Sono come una specie di grandi diavoli (assomigliano anche solo che in maggior misura ai collari che si mettono al collo dei traumatizzati). Imporre la pietra allo scandalizzatore e gettarlo in acqua esprime un terribile castigo. Gesù usa un linguaggio quasi di umor nero. Poveri noi se danneggiamo corrompendo i bambini! Poveri noi se li iniziamo nel peccato! Ci sono tanti modi per danneggiarli: mentire, ambizionare, trionfare ingiustamente, dedicarsi a mestieri che soddisfano la vanità...

In secondo luogo, il perdono. Gesù ci chiede di perdonare tante volte come sia necessario, e anche nello stesso giorno, se l’altro è pentito, anche se ci brucia l’anima: «se tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo, ma se si pentirà, perdonagli» (Lc 17,3). Il termometro della carità è la capacità di perdonare.

In terzo luogo la fede: più che una ricchezza dell’intendimento (in senso veramente umano), è uno “stato d’animo’’, frutto della esperienza di Dio, di poter agire contando con la sua fiducia. «la fede è l’inizio della vera vita», disse San Ignazio di Antioquia. Chi attua con fede ottiene opere sorprendenti, così lo esprime il Signore: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe» (Lc 17,6).
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13/11/2018 07:36
 
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Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»

Rev. D. Jaume AYMAR i Ragolta
(Badalona, Barcelona, Spagna)


Oggi, l’attenzione del Vangelo non si dirige all’atteggiamento del padrone, ma a quello dei servi. Gesù invita i suoi apostoli, mediante l’esempio di una parabola, a riflettere sull’atteggiamento di servizio: il servo deve compiere il suo dovere senza aspettarsi una ricompensa: «Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?» (Lc 17,9). Tuttavia, questa non è l’ultima lezione del Maestro con riguardo al servizio. Gesù dirà più avanti ai suoi discepoli : «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.» (Gv 15,15). Gli amici non presentano fatture. Se i servi devono compiere il loro dovere, ancora di più gli apostoli di Gesù. Noi, amici suoi, dobbiamo compiere la missione affidataci da Dio, coscienti che il nostro lavoro non ha diritto a nessuna ricompensa, perché lo facciamo con gioia e perché tutto quello che abbiamo e siamo è un dono di Dio.

Per il credente tutto è un simbolo, per chi ama tutto è un dono. Lavorare per il Regno di Dio è, già la nostra ricompensa; perciò non dobbiamo dire con tristezza né svogliatamente: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10), ma con la gioia di chi è stato chiamato a diffondere il Vangelo.

In questi giorni abbiamo presente anche la festa di un grande santo, di un grande amico di Gesù, molto popolare in Catalogna, san Martino di Tours, che dedicò la sua vita al servizio del Vangelo di Cristo. Di lui scrisse Sulpicio Severo: «Uomo straordinario che non fu soggiogato dal lavoro né vinto dalla morte, non ebbe preferenze per nessuna delle due parti, non temette la morte , non rifiutò la vita! Con le mani e gli occhi alzati verso il cielo, il suo spirito invincibile non smetteva di pregare». Nella preghiera, nel dialogo con l’Amico, troviamo, effettivamente, il segreto e la forza del nostro servire servizio.
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14/11/2018 05:34
 
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Si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo»

P. Conrad J. MARTÍ i Martí OFM
(Valldoreix, Barcelona, Spagna)


Oggi, Gesù passa intorno a noi per farci vivere la scena anteriore, con un aria realistica, nella persona di tanti emarginati come ce ne sono nella nostra società, che si fissano nei cristiani per trovare in essi la bontà e l'amore di Gesù. In tempi del Signore, i lebbrosi erano parte della tenuta degli emarginati. In realtà, quei dieci lebbrosi andarono a incontrare Gesù all'ingresso di un villaggio (cfr Lc 17,12), perché non potevano entrare nei paesi, e nemmeno avevano permesso per approcciarsi alla gente (“si fermarono a distanza”).

Con un po di immaginazione, ognuno di noi è in grado di riprodurre l'immagine degli emarginati della società, che hanno nomi come noi: immigrati, tossicodipendenti, criminali, persone con AIDS, disoccupati, poveri... Gesù vuole ripristinarli, rimediare le loro sofferenze, solvere i loro problemi; e ci chiede collaborazione disinteressata, gratuita, efficace... per amore.

Inoltre, facciamo più presente in ciascuno di noi la lezione che Gesù dà. Noi siamo peccatori e bisognosi di perdono, siamo poveri che aspettano tutto da Lui. Saremmo in grado di dire come il lebbroso, «Gesù, maestro, abbi pietà di me» (Lc 17,13)? Sappiamo rivolgerci a Gesù con preghiera profonda e fiduciosa?

Imitiamo il lebbroso, che torna a Gesù per ringraziarlo? Infatti, soltanto «Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio» (Lc 17:15). Gesù non trova gli altri nove, «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?» (Lc 17,15). Sant'Agostino ci lasciò questa dichiarazione: «'Grazie a Dio': non c'è nulla che si possa dire più brevemente (...) ne fare con più profitto di queste parole». Per tanto, noi, come ringraziamo Gesù per il grande dono della vita, propria e della famiglia; la grazia della fede, la Santa Eucaristia, il perdono dei peccati...? Non succede qualche volta di non ringraziare per l'Eucaristia, anche se partecipiamo spesso de essa? L'Eucaristia è, senza dubbio, la nostro miglior esperienza di ogni giorno.
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15/11/2018 07:13
 
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«Il regno di Dio è in mezzo a voi!»

Fray Josep Mª MASSANA i Mola OFM
(Barcelona, Spagna)


Oggi, i farisei domandano a Gesù una cosa che ci ha sempre attratti, con un insieme di interesse, di curiosità e di paura...: Quando verrà il Regno di Dio? Quando sarà il giorno definitivo, la fine del mondo, il ritorno di Cristo per giudicare i vivi ed i morti nel giudizio finale?

Gesù disse che ciò è imprevedibile. L’unica cosa che sappiamo è che verrà improvvisamente, senza previo avviso: sarà «come la folgore, guizzando» (Lc 17,24), un successo improvviso, e allo stesso tempo colmo di luce e di gloria. Riguardo alle circostanze, la seconda venuta di Gesù resta nel mistero. Gesù, però, ci da una traccia autentica e sicura: da questo momento «il Regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21). O, meglio ancora:«dentro di voi».

Il grande avvenimento dell’ultimo giorno sarà un fatto universale, ma succede anche nel microcosmo di ogni cuore. E’ lì dove bisogna andare a cercare il Regno. E’ nel nostro intimo dov'è il Cielo, dove dobbiamo trovare Gesù.

Questo Regno, che comincerà in una forma imprevedibile “fuori”, può cominciare fin d’ora “dentro” di noi. L’ultimo giorno si svolge fin d’adesso in ciascuno di noi. Se l’ultimo giorno vogliamo entrare nel Regno, dobbiamo lasciar entrare adesso il Regno in ognuno di noi. Se vogliamo che Gesù in quell’ultimo momento sia il nostro giudice misericordioso, lasciamo che Lui sia adesso il nostro amico ed ospite in noi stessi.

San Bernardo, in un sermone del tempo di Avvento, parla di tre venute di Gesù. La prima venuta, quando s’incarnò; l’ultima, quando verrà come giudice. C´è una venuta intermedia, che è quella che ha luogo adesso nel cuore di ciascuno di noi. E’ lì dove si fanno presenti, a livello personale e di esperienza, la prima e l’ultima venuta. La sentenza che Gesù pronuncerà il giorno del Giudizio, sarà quella che risuoni adesso nel nostro cuore. Ciò che non è ancora arrivato, è già fin d’ora una realtà.
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16/11/2018 09:00
 
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Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva»

Rev. D. Enric PRAT i Jordana
(Sort, Lleida, Spagna)


Oggi, nel contesto predominante di una cultura materialista, molti agiscono come ai tempi di Noè: «Mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito» (Lc 17,27); o come i coetanei di Lot che «(...)compravano, vendevano, piantavano, costruivano» (Lc 17,28). Con una visione così miope, l’aspirazione suprema di molti si riduce alla loro propria vita fisica temporanea e, conseguentemente, tutto il loro sforzo va orientato a conservare questa vita, a proteggerla e ad arricchirla.

Nel brano del Vangelo che stiamo commentando, Gesù vuole contrastare questo concetto frammentario della vita che mutila l’essere umano e lo porta alla frustrazione. E lo fa mediante una sentenza seria e schiacciante, capace di smuovere le coscienze e di obbligare all’impostazione di domande fondamentali: «Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva» (Lc 17,33). Meditando su questo insegnamento di Gesù Cristo, dice sant’Agostino: «Che dire, dunque? Verranno condannati tutti quelli che fanno queste cose, cioè, quelli che si sposano, piantano vigne e costruiscono? No, loro no! Ma quelli che si vantano di queste cose, quelli che antepongono queste cose a Dio, quelli che sono disposti ad offendere immediatamente Dio per tali cose».

In realtà, chi perde la vita per averla voluto conservare se non colui che è vissuto esclusivamente per la carne, senza lasciar emergere lo spirito; o peggio ancora, colui che vive pieno di sé, ignorando completamente gli altri? Perché è evidente che la vita nella carne deve perdersi inevitabilmente, e la vita nello spirito, se non viene condivisa, si indebolisce.

Ogni vita, per sé stessa, tende naturalmente alla crescita, alla esuberanza, a fruttificare ed a riprodursi. Se, invece, viene sequestrata e rinchiusa, nell’intento di possederla con cupidigia ed in forma esclusiva, appassisce, diventa sterile e muore. Per questo motivo, tutti i santi, prendendo come modello Gesù che intensamente visse per Dio e per gli uomini, hanno offerto generosamente la propria vita in diversi modi nel servire Dio ed i loro simili.
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16/11/2018 23:28
 
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Pregare sempre, senza stancarsi mai»

+ Rev. D. Joan FARRÉS i Llarisó
(Rubí, Barcelona, Spagna)


Oggi, negli ultimi giorni dell’anno liturgico, Gesù ci esorta a pregare, a rivolgerci a Dio. Possiamo pensare come i padri e le madri di famiglia che aspettano - ogni giorno! – che i loro figli dicendo loro qualcosa, e dimostrino il loro affetto amoroso.

Anche Dio, che è Padre di tutti, lo aspetta. Gesù ce lo ripete molte volte nel Vangelo e sappiamo che parlare con Dio è praticare l’orazione. L’orazione è la voce della fede, del nostro credere in Lui, della nostra fiducia, e magari fosse anche sempre la manifestazione del nostro amore.

Affinché la nostra preghiera sia perseverante e fiduciosa, dice san Luca che «Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1). Sappiamo che la preghiera si può fare lodando il Signore ringraziandolo, o riconoscendo la propria debolezza umana – il peccato -, implorando la misericordia di Dio, ma la maggior parte delle volte sarà di richiesta per qualche grazia o favore. E, anche se non si ottiene per il momento quello che si chiede, il solo fatto di potersi rivolgere a Dio, il fatto di poter raccontare a questo Qualcuno la pena o la preoccupazione, sarà già il conseguimento di qualcosa e sicuramente –sebbene non immediatamente ma nel tempo– otterrà risposta, perché «Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?» (Lc 18,7).

San Giovanni Climaco, a proposito di questa parabola evangelica, dice che «quel giudice che non temeva Dio cede all’insistenza della vedova per non avere più il fastidio di ascoltarla. Dio farà giustizia all’anima, vedova di Lui a causa del peccato, di fronte al corpo, suo primo nemico, e di fronte ai demoni, suoi avversari invisibili. Il Divino Commerciante saprà scambiare bene le nostre buone mercanzie, mettere a disposizione i suoi grandi beni con sollecitudine amorosa ed essere pronto ad accogliere le nostre suppliche».

Perseveranza nella preghiera, fiducia in Dio. Tertulliano diceva che «solo la preghiera può vincere Dio».
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18/11/2018 08:57
 
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Egli è vicino»

Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)


Oggi cordiamo che, all’inizio dell’anno liturgico, la Chiesa ci preparava alla prima venuta di Cristo che ci porta la salvezza. A due settimane dalla fine dell’anno, ci prepara per la seconda venuta, quella, in cui verrà pronunciata l’ultima e definitiva parola su ognuno di noi.

Dinanzi al Vangelo di oggi potremmo pensare che con troppa anticipazione ci si mette a riflettere ma, «Egli è vicino» (Mc 13,29). E, tuttavia, risulta fastidioso –addirittura scorretto!- alludere alla morte nella nostra società! Comunque, non possiamo parlare di risurrezione senza pensare che dobbiamo morire. La fine del mondo, per ognuno di noi, ha origine il giorno in cui moriamo, il momento in cui finirà il tempo che ci è stato concesso per la “scelta”! Il Vangelo è sempre una Buona Nuova e il Dio di Cristo è il Dio della Vita; perché dunque tanta paura? Non sarà, forse, per l’assenza o la debolezza della nostra speranza?

Innanzi alla prossimità di questo giudizio dobbiamo saperci trasformare in giudici severi, non degli altri, ma di noi stessi. Non cadere nella trappola dell’autogiustificazione, del relativismo o nell’espressione “io non lo vedo così…”. Gesù ci vien dato attraverso la Chiesa, e, con Lui, i mezzi e le risorse affinché questo giudizio universale non risulti il giorno della nostra dannazione condanna ma uno spettacolo, molto interessante nel quale, finalmente, verranno pubblicamente conosciute le verità più occulte dei conflitti che tanto hanno tormentato gli uomini.

La Chiesa annuncia che abbiamo un Salvatore, Cristo, il Signore. Allora meno paure e più coerenza nel nostro attuare in ciò i cui crediamo! «Quando arriveremo alla presenza di Dio, ci si domanderanno due cose: se eravamo nella Chiesa e se lavoravamo nella Chiesa. Tutto il resto non ha valore» (Beato J.H. Newman). La Chiesa non solo ci insegna una forma di morire, ma pure una forma di vivere per poter risuscitare. Perché ciò che predica non è il messaggio suo, ma è il messaggio di Colui, la cui parola è fonte di vita. Solamente da questa speranza affronteremo con serenità il giudizio di Dio.
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19/11/2018 08:03
 
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La tua fede ti ha salvato»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, il cieco Bartimeo (cf. Mc 10,46) ci offre una lezione di fede, espressa con franca sincerità davanti a Cristo. Quante volte ci converrebbe ripetere la stessa esclamazione di Bartimeo!: «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Lc 18-37). E’ così utile per la nostra anima sentirci indigenti! Il fatto è che lo siamo e che, sfortunatamente, poche volte lo riconosciamo davvero e..., naturalmente, ricadiamo nella ridicolaggine. Così ce l’avverte san Paolo: «Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?» (1Cor 4,7).

Bartimeo non ha vergogna di sentirsi com’è. In non poche occasioni, la società, la cultura di quello che è “politicamente corretto”, vorrà farci tacere; con Bartimeo non ci riuscirono. Lui non cedette. Nonostante che «lo rimproveravano perché tacesse, (...) lui gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Lc 18,39). Che meraviglia! Vien voglia di dire: -Grazie, Bartimeo, per questo esempio!

Vale la pena di fare come lui, perché Gesù ascolta. E ascolta sempre, nonostante la baldoria che alcuni organizzino attorno a noi! La fiducia semplice (naturale) –senza sottigliezze- di Bartimeo disarma Gesù e gli ruba il cuore: «ordinò che lo conducessero e (...) gli domandò: ”Che cosa vuoi che io faccia per te?» (Lc 18,40-41). Dinnanzi a una fede così grande, Gesù, senza perifrasi, e . . . Bartimeo neppure: «Signore, che io veda di nuovo!» (Lc 18,40-41). Detto e fatto: «Abbi di nuovo la tua vista! La tua fede ti ha salvato» (Lc18,42). Perché « la fede se è forte, difende tutta la casa» (sant’Ambrogio), cioè tutto gli è possibile.

Lui è tutto; Egli ci da tutto. Allora cos'altro possiamo fare davanti a Lui se non darGli una risposta di fede? E questa “risposta di fede” significa “lasciarsi trovare” da questo Dio che, -mosso dal suo affetto di Padre- ci cerca da sempre. Dio non ci si impone, ma passa frequentemente molto vicino a noi: impariamo la lezione di Bartimeo e... non lasciamola passare inavvertitamente!
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20/11/2018 08:26
 
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Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvareciò che era perduto»

Rev. D. Enric RIBAS i Baciana
(Barcelona, Spagna)


Oggi, Zaccheo sono io. Questo personaggio era ricco e capo di pubblicani; io ho più di quanto abbia bisogno e forse molte volte agisco come un pubblicano e mi dimentico di Cristo. Gesù, nella moltitudine, cerca Zaccheo; oggi, in mezzo a questo mondo, cerca precisamente me: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5).

Zaccheo desidera vedere Gesù; non ci riuscirà se non si sforza e sale sull’albero. Tante volte vorrei anch'io vedere l’azione di Dio, ma non so se sono veramente disposto a cadere nella ridicolaggine agendo come Zaccheo. La disposizione del capo dei pubblicani di Gerico è necessaria perché Gesù possa agire; e se non si affretta, chissà perda l’unica opportunità di essere toccato da Dio e così di salvarsi. Forse ho avuto molte opportunità di incontrarmi con Gesù e chissà sia già ora di essere coraggioso, di uscire di casa, di incontrarLo e di invitarLo ad entrare dentro di me, perché Lui possa dire anche di me: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,9-10).

Zaccheo lascia entrare Gesù in casa sua e nel suo cuore, sebbene non si senta troppo degno di tale visita. In lui, la conversione è totale: comincia con la rinuncia all’ambizione delle ricchezze, prosegue con il proposito di dividere i suoi beni e finisce determinando di fare giustizia, correggendo i peccati commessi. Forse Gesù mi sta chiedendo qualcosa di simile da molto tempo, io però non voglio ascoltarlo, faccio orecchie da mercante; ho bisogno di convertirmi.

Diceva san Massimo: «Non c’è nulla di più caro e piacevole a Dio come che gli uomini si convertano a Lui con un pentimento sincero». Che Lui mi aiuti oggi a farne una realtà.
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21/11/2018 09:24
 
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Fatele fruttare fino al mio ritorno»

P. Pere SUÑER i Puig SJ
(Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci propone la parabola delle mine: una quantità di denaro che quel nobile distribuì tra i suoi servi, prima di partire per un paese lontano. Anzitutto consideriamo l’occasione che provoca la parabola di Gesù. Egli andava “salendo” a Gerusalemme, dove lo aspettavano la Passione e la Risurrezione. I discepoli «Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, disse ancora una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro» (Lc 19,11). Ed è in queste circonstanze quando Gesù propone questa parabola. Con essa, Gesù ci insegna che dobbiamo far fruttificare i doni e le qualità che Egli ci ha dato. Non sono “nostri” quindi non possiamo fare tutto ciò che vogliamo. Egli ce li ha lasciati per farli fruttificare. Quelli che hanno fatto fruttare le mine —più o meno— sono lodati e premiati per il suo Signore. É il servo pigro, che mise i soldi da parte in un fazzoletto senza farlo rendere, è colui che è rimproverato e condannato.

Il Cristiano, dunque deve aspettare —È chiaro!— il ritorno del suo Signore, Gesù. Però con due condizioni, se si vuole che l’incontro sia amichevole, la prima è allontanare la curiosità malsana di voler sapere l’ora del solenne e vittorioso ritorno del Signore. Verrà, disse in un altro momento, quando meno lo pensiamo. Via per tanto le speculazioni su questo! Aspettiamo con speranza, però in un’attesa fiduciosa senza curiosità malsana. La seconda è di non perdere il tempo. L’attesa dell’incontro e della fine gioiosa non può essere una scusa per non prenderci sul serio il presente. Precisamente, perché la gioia e il piacere dell’incontro finale sarà tanto migliore quanto maggiore sia la apportazione che ognuno abbia fatto per la causa del regno nella vita presente.

Non manca, neanche qui, la grave avvertenza di Gesù a quelli che si ribellano contro di Lui: «E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me» (Lc 19,27).
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22/11/2018 07:53
 
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Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace!»

Rev. D. Blas RUIZ i López
(Ascó, Tarragona, Spagna)


Oggi, l’immagine che ci presenta il Vangelo è quella di un Gesù che «pianse» (Lc 19,41) per la sorte della città eletta, che non ha riconosciuto la presenza del suo Salvatore. Conoscendo le notizie che si son avute negli ultimi tempi, ci risulterebbe facile applicare questo lamento per la città che è, allo stesso tempo santa e motivo di divisioni.

Ma, guardando più avanti, possiamo identificare questa Gerusalemme con il popolo eletto, che è la Chiesa, e –per estensione- con il mondo in cui questa deve compiere la sua missione. Così facendo, ci troveremo davanti a una comunità che, sebbene abbia raggiunto quote altissime nel campo della tecnologia e della scienza, geme e piange, perché vive circondata dall’egoismo dei suoi membri, perché ha alzato attorno a sé le mura della violenza e del disordine morale, perché scaraventa a terra i suoi figli, trascinandoli con le catene di un individualismo disumanizzante. Infine, quello che troviamo è un popolo che non ha saputo riconoscere il Dio che la visita (cf. Lc 19,44).

Tuttavia, noialtri cristiani non possiamo fermarci alle semplici lagnanze, non dobbiamo essere profeti di sventure, ma uomini di speranza. Conosciamo il finale della storia, sappiamo che Cristo ha fatto cadere le mura e ha rotto le catene: le lacrime che verte in questo Vangelo prefigurano il sangue con cui ci ha salvati.

Di fatto, Gesù è presente nella sua Chiesa, specialmente per mezzo di quelli che sono i più bisognosi. Dobbiamo riconoscere questa presenza per capire la tenerezza che Cristo ha verso di noi: è così eccelso il suo amore, ci dice sant’Ambrogio, che Lui si è fatto piccolo ed umile affinché noi possiamo diventare grandi; Lui si è lasciato stringere tra le fasciature di un bambino comune, perché noi siamo liberati dai lacci del peccato; Lui si è lasciato inchiodare sulla croce, perché noi possiamo essere enumerati tra le stelle del cielo...Perciò, dobbiamo essere riconoscenti verso Dio, e scoprire presente tra noi Colui che ci visita e ci salva.
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23/11/2018 09:03
 
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La mia casa sarà casa di preghiera»

P. Josep LAPLANA OSB Monje de Montserrat
(Montserrat, Barcelona, Spagna)


Oggi, il gesto di Gesù è profetico. Alla maniera degli antichi profeti, realizza un’azione simbolica, piena di significato con vista al futuro. Nel cacciare dal tempio i mercanti che vendevano le vittime destinate a servire come offerta e nell’evocare che «il mio tempio si chiamerà casa di preghiera» (Is 56,7), Gesù annunciava la nuova situazione che Lui veniva a istituire, nella quale i sacrifici di animali non avevano più spazio. San Giovanni definirà la nuova relazione cultuale come una «adorazione al Padre in Spirito e verità» (Gn 4,24). La figura deve lasciar posto alla realtà. San Tommaso d’Aquino diceva poeticamente: “Et antiquum documentum / novo cedat ritui” (che l’Antico Testamento ceda il posto al Nuovo Rito).

Il Nuovo Rito è la parola di Gesù. Per questo, San Luca ha collegato la scena della purificazione del tempio con la presentazione di Gesù predicando in esso ogni giorno. Il nuovo rito si centra nella preghiera e nell’ ascolto della Parola di Dio. Ma, in realtà, il centro del centro dell’istituzione cristiana è la stessa persona viva di Gesù, con la sua carne consegnata e il suo sangue versato sulla croce offerti nella Eucaristia. Anche questo San Tommaso rimarca religiosamente: “Recumbens cum fratibus (...) se dat suis manibus” (seduto a cena con i fratelli (...) dà se stesso con le proprie mani).

Nel Nuovo Testamento iniziato da Gesù non sono più necessari i buoi ne i venditori di agnelli. Lo stesso che «tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo» (Lc 19,48), noi non dobbiamo andare al tempio a sacrificare delle vittime, bensì a ricevere Gesù, autentico agnello immolato offerto per noi una volta per tutte (cf. Eb 7,27), e ad unire la nostra vita con la sua.
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24/11/2018 09:10
 
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Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui»

Rev. D. Ramon CORTS i Blay
(Barcelona, Spagna)


Oggi, la Parola di Dio tratta il tema capitale della risurrezione dei morti. Stranamente, come i sadducèi, neppure noi ci stanchiamo di formulare domande inutili e fuori posto. Vogliamo risolvere questioni dell’aldilà con i criteri di quaggiù, mentre nel mondo futuro tutto sarà diverso: «Quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dei morti, non prendono né moglie né marito» (Lc 20,35). Partendo da premesse sbagliate, arriviamo a conclusioni erronee.

Se ci amassimo di più e meglio, non ci risulterebbe strano che in cielo non ci sia l’esclusivismo dell’amore che viviamo quaggiù, totalmente comprensibile per la nostra limitazione, che ci rende difficile uscire dai nostri circoli immediati. Ma nel cielo ci ameremo tutti e con un cuore puro, senza invidie né diffidenze, e non solo verso il marito o la moglie, i figli o i consanguinei, ma verso tutti, senza eccezioni né discriminazioni d’idioma, di nazionalità, razza o cultura, perché l’«amore vero raggiunge una forza grande» (San Paolino di Nola).

Ci fa molto bene ascoltare queste parole della Sacra Scrittura che affiorano sulle labbra di Gesù. Ci fa bene, perché potrebbe succederci che, mossi da tanti fattori che non ci lasciano neppure il tempo di pensare, e, sotto l’influenza di una cultura ambientale che sembra negare la vita eterna, potremmo arrivare a sentirci presi dal dubbio riguardo alla risurrezione dei morti. Sì, ci fa molto bene che lo stesso Signore sia chi ci dice che c’è un futuro aldilà della distruzione del nostro corpo e di questo mondo passeggero: «Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: «Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe». Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui»»
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25/11/2018 15:05
 
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Io sono re. (...) Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce»

Rev. D. Frederic RÀFOLS i Vidal
(Barcelona, Spagna)


Oggi, Cristo Gesù ci viene presentato quale Re dell’universo. Sempre ha attratto la mia attenzione l’enfasi con cui la Bibbia usa il nome di “Re” quando lo applica al Signore. «Il Signore regna, rivestito di maestà», abbiamo cantato nel Salmo 92. «Sono re» (Gv 18,37) l’abbiamo udito dalle labbra dello stesso Gesù. «Benedetto il re che viene nel nome del Signore» (Lc 19,14), diceva la gente quando Egli entrava in Gerusalemme.

Certamente, la parola “Re”, applicata a Dio e a Gesù, non ha le stesse connotazioni di una monarchia politica, così come la conosciamo noi. Ma c’è, tuttavia, una certa relazione tra il linguaggio popolare e quello biblico con riguardo alla parola “re”. Per esempio, quando una madre ha cura del suo bebè di pochi mesi e gli dice: “Tu sei il re della casa!” Che cosa vuol dire? Una cosa molto semplice: che, per lei questo bambino occupa il primo posto, che per lei è tutto. Quando i giovani dicono che tizio è il re del Rock, vogliono dire che non c’è un altro come lui; lo stesso quando parlano del re della pallacanestro. Entrate nella stanza di un adolescente e vedrete nella parete quali sono i suoi “re”. Credo che queste espressioni popolari somigliano di più a quello che vogliamo dire quando inneggiamo Dio quale nostro Re e ci aiutano a capire l’asseverazione di Gesù circa la Sua regalità: «Il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18,36).

Per i cristiani il nostro re è il Signore, cioè, il centro verso cui si dirige il senso più profondo della nostra vita. Quando chiediamo nel “Padre nostro”, che venga a noi il Suo regno, manifestiamo il nostro desiderio che aumenti il numero di persone che trovino in Dio la sorgente della felicità e che si sforzino a seguire il cammino che Egli ci ha insegnato, quello delle beatitudini. Chiediamolo, dunque, di tutto cuore, affinché «dovunque sia Gesù, lì sarà la nostra vita e il nostro regno» (Sant’Ambrogio).
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26/11/2018 09:17
 
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Nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere»

Rev. D. Àngel Eugeni PÉREZ i Sánchez
(Barcelona, Spagna)


Oggi, come quasi sempre, le piccole cose passano inavvertite: elemosine piccole, sacrifici piccoli, piccole preghiere (giaculatorie); ciò che però appare piccolo e senza importanza, molte volte, costituisce la struttura e anche la parte compiuta delle opere d’arte: tanto delle grandi opere d’arte come dell’opera massima della santità personale.

Per il fatto di passare inavvertite queste piccole cose, la loro rettitudine di intenzione è garantita: non cerchiamo con esse il riconoscimento altrui né cerchiamo la gloria umana. Solo Dio le scoprirà nel nostro cuore, come solo Gesù si accorse della generosità della vedova. E’ più che certo che la povera donna non fece annunciare il suo gesto con uno squillo di tromba, ed è anche possibile che si vergognasse e si sentisse ridicola di fronte agli sguardi dei ricchi, che gettavano grandi donativi nella cassetta delle elemosine del tempio pavoneggiandosi. Tuttavia, la sua generosità, che la portò a prendere forza dalla sua debolezza, nella sua indigenza, meritò l’elogio del Signore, che vede il cuore delle persone: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha donato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno dato come donativo parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha donato assolutamente tutto quello che aveva per vivere» (Lc 21,3-4).

La generosità della vedova, povera, è un buon insegnamento per noialtri, discepoli di Cristo. Possiamo dare molte cose, come i ricchi «che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio» (Lc 21,1), ma nulla di tutto ciò avrà valore se soltanto diamo “di quello che ci avanza”, senza amore e senza spirito di generosità, senza offrire noi stessi. Dice sant’Agostino: “ Essi osservavano le grandi offerte dei ricchi per le quali li lodavano. Anche se poi videro la vedova, quanti furono quelli che notarono quelle due monete?...Lei donò tutto ciò che possedeva. Aveva molto, perché aveva Dio nel suo cuore. È molto di più avere Dio nell’anima che oro nella cassaforte». E’ assolutamente certo che se siamo generosi con Dio, Lui lo sarà ancora di più con noi.
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28/11/2018 07:33
 
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Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita»

Rvdo. D. Manuel COCIÑA Abella
(Madrid, Spagna)


Oggi, riflettiamo su questa sentenza breve ed incisiva di nostro Signore, che penetra nell’anima e, al ferirla, ci fa pensare: perché è così importante la perseveranza? Perché Gesù fa dipendere la salvezza dall’esercizio di questa virtù?

Perché non è il discepolo superiore al Maestro -«sarete odiati da tutti a causa del mio nome» (Lc 21,17)- e, se il Signore fu segno di contraddizione, necessariamente lo saranno i suoi discepoli. Il Regno di Dio lo carpiranno quelli che si sacrificano, quelli che lottano contro i nemici dell’anima, quelli che combattono con coraggio questa “bellissima guerra di pace e di amore”, come gli piaceva dire a san Josemaría Escrivà, in questo consiste la vita cristiana. Non ci sono rose senza spine ed il cammino verso il Cielo non è un sentiero privo di difficoltà. Conseguentemente, senza la virtù cardinale della fortezza, le nostre buone intenzioni finiscono nella sterilità. E la perseveranza fa parte della fortezza: ci muove, concretamente, ad avere le forze sufficienti per sopportare con gioia le contrarietà.

La perseveranza, in grado sommo, la si ha sulla croce; perciò la perseveranza conferisce libertà all’elargire il dominio di sé stessi per mezzo dell’amore. La promessa di Cristo è indefettibile: «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.» (Lc 21,19) e questo è dovuto al fatto che ciò che ci salva è la Croce. E’ la forza dell’amore quello che da ad ognuno la paziente e gioiosa accettazione della Volontà di Dio, quando questa –come succede sulla Croce- contrasta, in un primo momento, con la nostra povera volontà umana.

Ma solo in un primo momento, perché poi viene liberata la traboccante energia della perseveranza che ci porta a capire la difficile scienza della Croce. Perciò la perseveranza genera pazienza che va molto più in là della semplice rassegnazione. Non ha inoltre niente a che vedere con atteggiamenti stoici. La pazienza contribuisce decisivamente a capire che la Croce, molto prima di essere dolore, è essenzialmente amore.

Chi ha capito meglio di tutti questa verità salvatrice è la nostra Mamma del Cielo; Lei aiuterà anche noi a comprenderla.
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29/11/2018 08:50
 
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«Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina»

Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)


Oggi, leggendo questo santo Vangelo, come non possiamo non vedere riflesso il momento presente, pieno di minacce e di sangue? «Sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra» (Lc 21,25b-26a). Molte volte la seconda venuta del Signore è stata raffigurata con le immagini più terrificanti possibili, come sembra che avvenga effettivamente in questo Vangelo, sempre all’insegna della paura.

Tuttavia, ci dobbiamo chiedere se sia questo il messaggio che oggi ci rivolge il Vangelo. Soffermiamoci sulle ultime parole: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28). La essenza del messaggio di questi ultimi giorni dell’anno liturgico non è la paura, ma la speranza della liberazione futura, ovvero la speranza squisitamente cristiana di raggiungere la pienezza di vita con il Signore, alla quale parteciperà anche il nostro corpo e il mondo che ci circonda. Gli avvenimenti che ci vengono narrati così drammaticamente, vogliono indicare in modo simbolico la partecipazione di tutta la creazione alla seconda venuta del Signore, così come già vi partecipò nella prima venuta, specialmente nel momento della sua passione, quando si oscurò il cielo e tremò la terra. La dimensione cosmica non rimarrà relegata alla fine dei tempi, in quanto è una dimensione che accompagna l’uomo da quando entrò nel Paradiso.

La speranza del cristiano non è ingannevole, perché quando comincino ad accadere queste cose –ci dice lo stesso Signore- «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria» (Lc 21,27). Non viviamo nell’angoscia dinanzi alla seconda venuta del Signore, la sua Parusia: meditiamo, piuttosto, sulle profonde parole di sant’Agostino che, già nella sua epoca, vedendo i cristiani intimoriti di fronte al ritorno del Signore, si chiede: «Come può la Sposa aver paura del suo Sposo?».
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30/11/2018 10:23
 
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Vi farò pescatori di uomini»

Prof. Dr. Mons. Lluís CLAVELL
(Roma, Italia)


Oggi è la festa di Sant’Andrea apostolo, festa che viene celebrata solennemente dai cristiani della Chiesa di Oriente. Fu uno dei primi due giovani che conobbero Gesù sulla riva del Giordano e ad avere una lunga conversazione con Lui. Subito andò a cercare il fratello Pietro dicendogli: «Abbiamo trovato il Messia», e lo portò da Gesù (Gv 2,41). Poco tempo dopo, Gesù chiamò questi due fratelli pescatori e suoi amici, proprio come lo leggiamo nel Vangelo di oggi: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,19). Nello stesso villaggio c’erano altri due fratelli, Giacomo e Giovanni, compagni e amici dei primi due, e pescatori come loro. Gesù chiamò anche loro a seguirlo. È meraviglioso leggere come loro lo lasciarono tutto e lo seguirono “subito”, parola ripetuta nei due casi. Non si può dire a Gesù: “dopo”, “più avanti”, o ancora “adesso ho troppo lavoro”…

Anche a ognuno di noi –a tutti i cristiani– Gesù ci chiede ogni giorno di metterci al suo servizio con tutto ciò che siamo e abbiamo.; questo significa abbandonare tutto, non tenere nulla per noi, affinché, vivendo con Lui i nostri obblighi professionali, e famigliari, possiamo diventare “pescatori di uomini”. Ma cosa significa esattamente “pescatori di uomini”? Una buona risposta la può dare un commento di San Giovanni Crisostomo. Questo Padre e Dottore della Chiesa dice che Andrea non sapeva spiegare bene a suo fratello Pietro chi fosse Gesù, e per questo motivo «lo portò alla fonte della luce stessa» che è Gesù Cristo. “Pescare uomini” significa aiutare coloro che ci circondano, nella famiglia o nel lavoro, affinché si incontrino con Cristo, unica fonte di luce nel nostro cammino.
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01/12/2018 09:45
 
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Vegliate in ogni momento pregando»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, ultimo giorno del tempo ordinario, Gesù ci avverte con molta chiarezza sul destino del nostro passaggio in questa vita. Se ci impegniamo, ostinatamente, a vivere assorti nell'immediatezza degli affanni della vita, arriverà l’ultimo giorno della nostra esistenza terrena così repentinamente, che la stessa cecità della nostra avidità ci impedirà di riconoscere lo stesso Dio, che verrà (perché noi qui siamo di passaggio, lo sapevi?) per portarci alla intimità del suo Amore infinito. Sarà come ciò che succede a un bambino maleducato: così concentrato nei “suoi” giocattoli, che alla fine si dimentica dell’affetto dei suoi genitori e della compagnia dei suoi amici. Quando si rende conto, piange sconsolato per la sua inaspettata solitudine.

L’antidoto che ci offre Gesù è ugualmente chiaro: «Vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21,36). Vegliare e pregare... Lo stesso avviso che diede ai suoi Apostoli la notte in cui fu tradito. La preghiera ha un componente ammirabile di profezia, tante volte dimenticato nella predicazione vale a dire, di passare dal mero “vedere” al “guardare” la quotidianità nella sua più profonda realtà. Come ha scritto Evagrio Pontico, “la vista è il migliore di tutti i sensi; la preghiera è la più divina di tutte le virtù”. I classici della spiritualità la chiamano “visione soprannaturale”, guardare con gli occhi di Dio. Vale a dire , conoscere la Verità: di Dio, del mondo, di me stesso. I profeti furono , non solo coloro che “preannunciavano cosa sarebbe successo”, ma anche coloro che sapevano interpretare il presente nei suoi giusti termini, dimensione e densità. Risultato: sono stati in grado di ricondurre la storia, con l’aiuto di Dio.

Tante volte ci lamentiamo della situazione nel mondo. –Dove andremo a finire?, diciamo. Oggi, che è l’ultimo giorno del tempo ordinario, è anche giorno di decisioni finali. Chissà sia arrivato il momento che anche qualcun altro sia disposto ad abbandonare la sua ebrezza di presente e si dia da fare per un futuro migliore. Vuoi essere tu? Allora, coraggio!, e che Dio ti benedica.
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02/12/2018 07:33
 
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Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza (...) di comparire davanti al Figlio dell'uomo»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, cominciando un nuovo anno liturgico, ci riproponiamo di rinnovare il nostro entusiasmo e la nostra lotta personale che ha come scopo la santità, propria e di tutti. A questo ci invita la Chiesa stessa, ricordandoci, attraverso il Vangelo di oggi, la necessità di essere costantemente preparati, di essere sempre “innamorati” del Signore: «State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita» (Lc 21,34).

Però notiamo un dettaglio che è importante fra innamorati: questa attitudine di allerta —di preparazione— non può essere intermittente, ma deve essere permanente. Per questo il Signore ci dice: «Vegliate e pregate in ogni momento» (Lc 21,36). In ogni momento! Questa è la giusta dimensione dell’amore. La fedeltà non si basa su un “adesso sì, adesso no”. È pertanto molto importante che l’esercizio della pietà e della nostra formazione spirituale sia fondato su un ritmo abituale (di giorno in giorno, di settimana in settimana). Se solo potessimo vivere ogni giorno della nostra vita come se fosse il primo; se solo ogni mattino, al risveglio, potessimo dire: Oggi sono nato (grazie Dio mio!); oggi ricevo il Battesimo; oggi ricevo la mia Prima Comunione; oggi mi sposo… Per poter perseverare nell’allegria è necessario questo ricominciare, questo rinnovarsi.

In questa vita non possediamo una dimora permanente. Verrà il giorno in cui anche «Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte» (Lc 21,26). Ottimo motivo per perseverare nell’attenzione e nella veglia! Però in questo avvento, la Chiesa aggiunge un altro buon motivo per la nostra gioiosa preparazione: un giorno gli uomini «vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande» (Lc 21,27), però Dio oggi arriva sulla terra con mansuetudine e discrezione; in forma di neonato, al punto che «il Cristo fu avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia» (San Cirillo di Gerusalemme). Solo uno spirito attento scopre in questo bambino la grandezza dell’amore di Dio e della sua salvezza (cf. Sal 84,8).
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03/12/2018 08:58
 
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In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!»

Rev. D. Joaquim MESEGUER García
(Sant Quirze del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, Cafàrnao è la nostra città ed il nostro popolo, dove ci sono persone ammalate, conosciute alcune, anonime altre, frequentemente dimenticate a causa del ritmo frenetico che caratterizza la vita attuale: colmi di lavoro, corriamo senza fermarci e senza pensare a quelli che, per malattia o altre circostanze, restano marginati e non possono seguirne il ritmo. Tuttavia, Gesù ci dirà un giorno: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Il grande pensatore Blaise Pascal raccoglie questa idea all’affermare che:«Gesù Cristo, nei suoi fedeli si trova dall’agonia del Getsemani fino alla fine dei tempi».

Il centurione di Cafàrnao no dimentica il suo servo prostrato nel letto, perché lo ama. Nonostante fosse più facoltoso ed avesse maggiore autorità del suo servo, il centurione gli è riconoscente per i suoi anni di servizio ed ha verso di lui un grande apprezzo. Perciò, mosso dall’amore, si rivolge a Gesù e, davanti al Salvatore, fa una straordinaria confessione di fede, accolta nella liturgia Eucaristica: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito» (cf Mt 8,8). Questa confessione si basa sulla speranza; sorge dalla fiducia posta in Gesù Cristo e, allo stesso tempo, pure dalla coscienza della propria indegnità personale, che l’aiuta a riconoscere la propria povertà.

Solo possiamo avvicinarci a Gesù Cristo con un atteggiamento umile, come quella del centurione. Così possiamo vivere la speranza dell’Avvento: speranza di salvezza e di vita, di riconciliazione e di pace. Solamente può sperare colui che riconosce la propria povertà ed è capace di accorgersi che il senso della sua vita non ha radici in sé stesso, ma in Dio, mettendosi nelle mani del Signore. Avviciniamoci dunque fiduciosi a Cristo, mentre facciamo nostra la preghiera del centurione.
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04/12/2018 09:31
 
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«Io ti rendo lode, Padre»

Abbé Jean GOTTIGNY
(Bruxelles, Belgio)


Oggi leggiamo un brano del decimo capitolo del Vangelo secondo San Luca. Il Signore invia settantadue discepoli ai luoghi dove anche Lui doveva andare. Essi ritornano esultanti. Sentendoli raccontare del loro operato e delle loro gesta «Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra”» (Lc 10,21).

La gratitudine è uno degli aspetti dell’umiltà. L’arrogante considera che non deve niente a nessuno. Ma, per essere grati, è necessario essere capaci di riconoscere, in primo luogo, la propria piccolezza. “Grazie” è una delle prime parole che insegniamo ai bambini. «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli» (Lc 10,21).

Benedetto XVI, parlando dell’atteggiamento dell’adorazione, afferma che questo presuppone un «riconoscimento della presenza di Dio, Creatore e Signore dell’universo. È un riconoscimento pieno di gratitudine che emerge dal profondo del cuore e avvolge tutto l’essere, perché l’uomo può realizzarsi solamente adorando e amando Dio sopra ogni cosa».

Un’anima sensibile esperimenta la necessità di manifestare il suo riconoscimento. È la sola cosa che come uomini possiamo fare per corrispondere ai favori divini. «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?» (1Cor 4,7). Naturalmente abbiamo bisogno di «ringraziare a Dio Padre, attraverso il Figlio, nello Spirito Santo; con la grande misericordia con la quale ci ha amati, ha avuto pietà di noi, e quando eravamo morti per i nostri peccati, ci ha fatto rivivere con Cristo, perché fossimo in Lui una nuova creazione» (San Leone Magno).
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05/12/2018 08:09
 
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«‘Quanti pani avete?’. Risposero: ‘Sette, e pochi pesciolini’»

Rev. D. Joan COSTA i Bou
(Barcelona, Spagna)


Oggi contempliamo nel Vangelo la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Molta gente —commenta l’evangelista Matteo— «si radunò» (Mt 15,30) al Signore. Uomini e donne che hanno bisogno di Cristo, ciechi, zoppi e malati di ogni genere, così come altri che lo accompagnano. Anche tutti noi abbiamo bisogno di Cristo, della sua tenerezza, del suo perdono, della sua luce, della sua misericordia,… In Lui si trova la pienezza umana.

Il Vangelo di oggi ci fa renderci conto allo stesso tempo della necessità di uomini che portino altri uomini verso Gesù Cristo. Coloro che conducono i malati da Gesù affinché li guarisca, sono immagine di tutti coloro che sanno che l’atto di carità più grande con il prossimo è avvicinarlo a Cristo, fonte di Vita. La vita di fede esige, quindi, la santità e l’apostolato.

San Paolo ci esorta ad avere gli stessi sentimenti di Gesù Cristo (cfr. Fl 2,5). Il Vangelo ci mostra com’è fatto il cuore: «Sento compassione di questa folla» (Mt 15,32). Gesù non può abbandonare così le persone: stanche ed affamate. Cristo cerca l’uomo nella necessità ma finge di incontrarlo per caso. Quanto è buono il Signore con noi! E come sono importante le persone ai suoi occhi! Solo col pensarlo, il cuore umano si dilata pieno di gratitudine, di ammirazione e di un sincero desiderio di conversione.

Questo Dio fatto uomo, che tutto può e che ci ama appassionatamente, e di cui abbiamo bisogno in tutto e per tutto —«senza di me non potete nulla» (Gv 15,5)— ha paradossalmente bisogno di noi: questo è il significato dei sette pani e dei pochi pesci che userà per sfamare a una moltitudine di persone. Se ci rendessimo conto di come Gesù ha bisogno di noi, e del valore che ha per Lui tutto ciò che facciamo, per poco che sia, ci sforzeremo di corrispondergli con tutto il nostro essere ogni giorno di più.
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06/12/2018 09:39
 
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Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’, entrerà nel regno dei cieli»

Abbé Jean-Charles TISSOT
(Freiburg, Svizzera)


Oggi, il Signore pronuncia queste parole al termine del Suo “sermone della montagna”, nel quale dà un valore nuovo e più profondo ai Comandamenti del Vecchio Testamento, le “parole” di Dio agli uomini. Si esprime quale Figlio di Dio, e come tale ci chiede di ricevere quello che io vi dico, come parole di somma importanza: parole di vita eterna che devono essere messe in pratica, e, non solo per essere ascoltate –rischiando di dimenticarle o di accontentarsi di ammirarle o di ammirare il Suo autore- ma senza coinvolgersi personalmente.

«Costruire sulla sabbia una casa» (cf. Mt 7,26) è una immagine per descrivere un contegno insensato, che non porta a nessun risultato positivo e finisce nell’insuccesso di una vita, dopo uno sforzo lungo e penoso per costruire qualcosa. “Bene curris sed extra viam”, diceva sant’Agostino: corri bene, però fuori dal percorso omologato. Che peccato! Arrivare, solo fino lì: Al momento della prova, delle tempeste e degli straripamenti che necessariamente comprende la nostra vita.

Il Signore vuole insegnarci a porre una base solida, e che il cemento proceda dallo sforzo di mettere in pratica i Suoi insegnamenti, vivendoli giorno per giorno tra i piccoli problemi che Egli tratterà di dirigere. Le nostre risoluzioni quotidiane di vivere la dottrina di Cristo devono, così, sfociare in risultati concreti che, anche se non saranno definitivi, ci permettono di ricavarne felicità e gratitudine quando faremo alla sera, l’esame di coscienza. L’allegria di aver ottenuto una piccola vittoria su noi stessi sarà un allenamento per altre battaglie e la forza non ci mancherà –con la grazia di Dio- per perseverare fino alla fine.
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07/12/2018 09:09
 
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Gesù disse loro: Credete che io possa fare questo?. Gli risposero: Sì, o Signore!»

Fray Josep Mª MASSANA i Mola OFM
(Barcelona, Spagna)


Oggi, in questo primo venerdì dell’Avvento, il Vangelo ci propone tre personaggi: Gesù, al centro della scena, e due ciechi che Gli si avvicinano pieni di fede e con il cuore pieno di speranza. Avevano sentito parlare di Lui, della sua tenerezza verso gli ammalati e del suo potere. Questa traccia lo identifica come il Messia. Chi meglio di Lui potrà farsi responsabile della loro disgrazia?

I due ciechi fianco a fianco tutti e due si dirigono verso Gesù. Insieme realizzano una `preghiera di supplica´ all’Inviato di Dio, al Messia, a Chi chiamano con il titolo di “Figlio di Davide”. Vogliono suscitare con la loro preghiera la compassione di Gesù: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!» (Mt 9,27).

Gesù interpella la loro fede: «Credete che io possa fare questo?» (Mt 9,28). Se essi si sono avvicinati all’Inviato di Dio, è precisamente perché credono in Lui. All’unisono fanno una bella `professione di fede´ al rispondere: «Sì, Signore» (ibidem). E Gesù concede la vista a quelli che vedevano già attraverso la fede. In realtà, credere è vedere con gli occhi del nostro intimo.

Questo tempo di Avvento è l’adeguato anche per noi, per cercare Gesù con un desiderio grande, come quello dei due ciechi, facendo parte di una comunità, facendo parte della Chiesa. Con la Chiesa, proclamiamo nello Spirito Santo: «Vieni,Signore Gesù» (cf Ap 22,17-20). Gesù viene, con il suo potere ad aprire completamente gli occhi del nostro cuore e far sì che possiamo vedere e credere. L’Avvento è un tempo forte di preghiera: tempo per fare preghiera di supplica e soprattutto preghiera di professione di fede. Tempo, quindi, per vedere e per credere.

Ricordiamo le parole del `piccolo principe´: «L’essenziale solo si vede con il cuore».
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08/12/2018 08:50
 
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Entrando da lei, disse: Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te»

Rev. D. David COMPTE i Verdaguer
(Manlleu, Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo accenna un accordo musicale, composto da tre note. Tre note non sempre ben intonate della nostra società: quella del fare, quella dell’amicizia e quella della coerenza di vita. Ai nostri giorni facciamo molte cose, ma, abbiamo un progetto? Oggi che navighiamo nella società delle comunicazioni, trova spazio nei nostri cuori la solitudine? Oggi, nell’era dell’informazione, ci permette questa di forgiare la nostra personalità?

‘Un progetto’. Maria, una donna «promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe» (Lc 1,27). Maria ha un progetto, evidentemente di proporzioni umane. Tuttavia, Dio irrompe nella sua vita per presentarle un altro progetto... di proporzioni divine. Anche oggi, vuole entrare nella nostra vita e dare proporzioni divine alle nostre faccende umane.

`Una presenza´. «Non temere, Maria». (Lc 1,30). Cerchiamo di non costruire in qualsiasi modo! Che non succeda che la dipendenza al “fare” nasconda un vuoto. Il matrimonio, la vita di servizio, la professione non devono essere una scappatoia d’ora in avanti. «Piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28). Presenza che accompagna e da senso. Fiducia in Dio, che, -di rimbalzo- ci porta ad aver fiducia negli altri. Amicizia con Dio che rinnova l’amicizia verso gli altri.

`Fermarci´. Ai nostri giorni che riceviamo tanti stimoli, frequentemente contrapposti, è necessario dare forma ed unità alla nostra vita. Maria, dice san Luigi Maria Grignion, «è lo stampo vivo di Dio». Ci sono due modi di fare una scultura, dice Grignion; una più ardua, a colpi di scalpello. L’altra, utilizzando uno stampo. Questa seconda forma è più semplice. L’esito, però consiste in che la materia sia malleabile e che lo stampo riproduca perfettamente l’immagine. Maria è lo stampo perfetto. Ricorriamo a Lei, cercando di essere noi materia malleabile.
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09/12/2018 08:08
 
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Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea»

P. Maciej SLYZ Misionero de Fidei Donum
(Bialystok, Polonia)


Oggi, quasi la metà del Vangelo è dedicata a dati storici e biografici. Nemmeno nella liturgia della Messa questo testo storico è stato cambiato per il frequente «in quel tempo». Ha prevalso questa introduzione così "insignificante" per l'uomo contemporaneo: «Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea» (...)" (Lc 3,1). Perché? Per demistificare! Dio è entrato nella storia dell’umanità in un modo "concreto", come lo ha fatto anche nella storia di ogni uomo. Ad esempio, nella vita di Giovanni, —figlio di Zaccaria—, che era nel deserto. Lo chiamò a gridare sulla riva del Giordano ... (Lc 3,6).

Oggi, Dio gestisce anche la sua parola verso me. Lo fa personalmente, —come con Giovanni Battista—, o per via dei loro emissari. Il mio fiume Giordano potrebbe essere l'Eucaristia Domenicale, potrebbe essere il tweet di Papa Francesco che ci ricorda che «Il cristiano è testimone non di una teoria, ma di una Persona: Cristo risorto, vivente e unico Salvatore di tutti». Dio è entrato nella storia della mia vita, perché Cristo non è una teoria. Egli è la pratica salvatrice, la Carità, la Misericordia.

Eppure, questo stesso Dio ha bisogno del nostro povero sforzo: che riempiamo le valli della nostra diffidenza verso il suo amore; che livelliamo i monti e le colline del nostro orgoglio, che impedisce di vederlo e di ricevere il suo aiuto; che siamo capaci di livellare e raddrizzare le vie tortuose che rendono il percorso al nostro cuore un labirinto ...

Oggi è la seconda Domenica di Avvento, il cui obiettivo è che io possa trovare Dio nel cammino della mia vita. E non solo un Neonato, ma soprattutto, il Misericordioso Salvatore, per vedere il sorriso di Dio, quando tutti potranno vedere la salvezza che Dio ha mandato (cfr Lc 3,6). Proprio così! Il santo Gregorio ha insegnato, «Niente piacque tanto Dio come la conversione e la salvezza dell'uomo».

«Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!»

+ Rev. D. Josep VALL i Mundó
(Barcelona, Spagna)


Oggi, la Chiesa ci propone la contemplazione delle parole profetiche di Isaia, che si riferiscono al Precursore di Gesù, il Giovanni Battista, che si fece conoscere nel fiume Giordano annunciando la salvezza di Dio. Aveva la missione di aprire nuove rotte, appianare il cammino, spianare le montagne, trasformare i terreni accidentati in valli frondose (cf. Lc 3,4-5). Anche ora ai cristiani si chiede –senza nessuna paura del mondo attuale- di lavorare apostolicamente perché tutti possano intravedere la salvezza (cf. Lc 3,6) che solo arriva da Dio attraverso Cristo.

Abbiamo molti avvallamenti da riempire, molte strade da appianare, molte montagne da muovere. Forse sono tempi difficili, ma non ci mancheranno gli strumenti se contiamo con la grazia di Dio. Saremo precursori nella misura in cui vivremo vicino al Signore e allora si compieranno quelle parole della Lettera a Diogneto: «Ciò che l’anima è per il corpo, così sono i cristiani per il mondo». Naturalmente, dobbiamo amare con tutto il cuore questo mondo nel quale viviamo, come diceva un personaggio di una novella di Dostoevskij: «Amate tutta la creazione nel suo insieme e nei suoi elementi, ogni foglia, ogni raggio, gli animali, le piante. E amando comprenderete il mistero divino delle cose. E una volta compreso, amerete il mondo attuale con un amore universale».

San Giustino affermava: «Tutte le cose, nobilmente umane ci appartengono». E dalle viscere del mondo –in mezzo al lavoro, alla famiglia e all’ambiente sociale- saremo precursori, preparando il cammino della salvezza che ci arriva da Dio. Con l’esempio e la parola «scrolleremo la pigrizia di quelli attorno a noi, apriremo ampli orizzonti di fronte alla loro esistenza egoista e borghese, complicando la loro vita, facendo in modo che si dimentichino di se stessi e li porteremo all’allegria e alla pace» così è come, San Josemaría Escrivá descrisse il lavoro apostolico dei cristiani nel mondo.

«Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, attraverso Giovanni Battista, il Vangelo ci esige preparare con urgenza il cammino al Signore Gesù. Ma, noi dobbiamo aprire una rotta a Dio? Non sono piuttosto io, che ho bisogno di essere aiutato da Dio? Certamente non possiamo far nulla senza di Lui, però allo stesso tempo Lui vuole aver bisogno di noi: «Raddrizzate i suoi sentieri!» (Lc 3,4). Ma come? Perché l’amore non può essere imposto; in ogni caso si deve proporre: «Chi ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te» (Sant’ Agostino).

Gesù sta arrivando sulla terra, e lo troveremo come un piccolo bambino “indifeso”, appoggiato su di una mangiatoia: così piccolo che non potrà scalare le mura della superbia del mio cuore, ne emergere dalle onde della mia sensualità...

Con parole di Benedetto XVIº, «la fede cristiana ci offre precisamente il sollievo che Dio è così grande che può farsi piccolo». Ma, insisto, così piccolo che se anche noi non ci facciamo piccoli, non lo vedremo neanche passare, e addirittura potremmo aver paura di Lui (come Erode). Allora dobbiamo aprire i nostri cuori affinché possiamo «distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo» (Fili 1,10).

«Raddrizzate i suoi sentieri!» Non è nuova questa richiesta. Molti secoli fa –ai tempi del profeta Baruc- Geova-Dio lo chiese a Israele. Lo possiamo notare nella prima lettura di oggi: «Poiché Dio ha stabilito di spianare ogni alta montagna e le rupi secolari, di colmare le valli e spianare la terra perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio» (Bar 5,7). Nello stesso modo in cui il Signore ricondusse i prigionieri di Sion, se scostiamo gli ostacoli (colline di superbia, valli di debolezza...) noi canteremo con le lacrime agli occhi: «Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmati di gioia» (Sal 125,3).
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10/12/2018 07:48
 
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Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati»

Rev. D. Joan Carles MONTSERRAT i Pulido
(Cerdanyola del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, il Signore insegna e cura allo stesso tempo. Oggi vediamo il Signore che insegnava a quelli che si consideravano molto eruditi in quei tempi: i farisei e i dotti in legge. A volte, noi possiamo pensare che dovuto al secolo in cui viviamo o per gli studi che abbiamo fatto, ci resta poco da imparare. Questa logica, non soprannaturale, ci porta frequentemente a voler fare in modo che i cammini di Dio siano i nostri cammini e non viceversa.

Nell'atteggiamento di quelli che vogliono che il loro amico sia curato, vediamo gli sforzi umani per ottenere quello che veramente desiderano. Ciò che desideravano era veramente molto buono: che l’ammalato, cioè, potesse camminare. Ma questo non è sufficiente. Nostro Signore vuole realizzare per noi una guarigione completa. Quindi comincia con quello che Lui è venuto a realizzare in questo mondo, quello che il suo santo nome significa: Salvare l’uomo dai suoi peccati.

-La fonte più profonda dei miei mali sono sempre i miei peccati-: «Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati» (Lc 5,20). Molto spesso, la nostra preghiera o il nostro interesse ha semplicemente un fine materiale, ma il Signore sa quello che ci conviene di più. Come in quei tempi, gli ambulatori dei medici sono pieni di ammalati. Ma, come quegli uomini, rischiamo di non andare troppo diligentemente dove realmente possiamo ristabilirci completamente, come invece succede nell’incontro con il Signore nel sacramento della Penitenza.

Punto fondamentale per il credente è sempre l’incontro sincero con Gesù Cristo misericordioso. Lui, ricco in misericordia, ci ricorda, specialmente oggi, che in quest’Avvento non possiamo trascurare il necessario Suo perdono che ci vien dato a piene mani. E, se è necessario, togliamo gli ostacoli –il tetto- che ci impedisce di vederLo. Anch'io ho bisogno di mettere da parte le tegole dei miei pregiudizi, delle mie comodità, dei miei impegni, delle diffidenze che sono un ostacolo per “guardare dai tetti in su”.
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11/12/2018 07:41
 
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Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda»

Fr. Damien LIN Yuanheng
(Singapore, Singapore)


Oggi, Gesù ci sfida: «Che ve ne pare?» (Mt 18,12); Che tipo di misericordia pratichi? Noi forse, "cattolici praticanti", dopo aver assaggiato più volte la misericordia di Dio nei sacramenti, siamo tentati di pensare che siamo giustificati agli occhi di Dio. Siamo in pericolo di diventare inconsapevolmente il fariseo che sminuisce il pubblicano (Lc 18,9-14). Anche se non lo diciamo ad alta voce, possiamo pensare che siamo senza colpa davanti a Dio. Alcuni sintomi di questo orgoglio farisaico che prende radice in noi puo tradursi nell’insofferenza con i difetti degli altri, o a pensare che gli avvertimenti non vanno mai per noi.

Il “disobbediente” profeta Giona, un Ebreo, fu irremovibile quando Dio mostrò compassione per la gente di Ninive. Yahvé rimproverò l’intolleranza di Giona (cfr Jon 4,10-11). Quello sguardo umano poneva limiti alla misericordia di Dio. Forse anche noi abbiamo dei limiti alla misericordia di Dio? Dobbiamo prestare attenzione alla lezione di Gesù: «Siate dunque misericordiosi, come anche il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). Con ogni probabilità, abbiamo ancora molta strada da percorrere per emulare la misericordia di Dio!

Come dovremmo comprendere la misericordia del nostro Padre celeste? Il Papa Francesco ha detto che «Dio perdona non con un decreto, ma con una carezza». L'abbraccio di Dio per ciascuno di noi è chiamato “Gesù Cristo”. Cristo manifesta la misericordia paterna di Dio. Nel quarto capitolo del Vangelo di Giovanni, Cristo non ossigena i peccati della Samaritana. Invece, la misericordia divina cura la Samaritana aiutandola ad affrontare pienamente la realtà del peccato. La misericordia di Dio è del tutto coerente con la verità. La misericordia non è una scusa per prendere sconti morali. Tuttavia, Gesù deve aver causato il suo pentimento molto più teneramente di quanto la donna adultera sentì "ferita dall'amore" (cfr Gv 8,3-11). Anche noi dobbiamo imparare ad aiutare gli altri ad affrontare i propri errori senza vergognarli, con grande rispetto per loro come fratelli in Cristo, e con tenerezza. Nel nostro caso, anche con umiltà, sapendo che noi stessi siamo "vasi di argilla".
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12/12/2018 08:36
 
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Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero»

P. Jacques PHILIPPE
(Cordes sur Ciel, Francia)


Oggi, Gesù ci conduce verso il riposo in Dio. Lui è certamente un Padre esigente, perché ci ama e ci invita a dargli tutto, pero non è un giustiziere. Quando ci esige qualcosa è per farci crescere nel suo amore. L’unico comandamento è quello di amare. Si può soffrire per amore, però si può anche gioire e riposare per amore...

La docilità verso Dio libera e dilata il cuore. Per questo Gesù, ci invita a rinunciare a noi stessi per prendere la nostra croce e seguirlo, dicendoci: «Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». (Mt 11,30). Anche se in occasioni ci costa ubbidire alla volontà di Dio, farlo con amore ci rende pieni di felicità: «Dirigimi sul sentiero dei tuoi precetti; sì sta in esso il mio diletto» (Sal 119,35).

Mi piacerebbe raccontare un fatto. A volte, dopo una giornata abbastanza faticosa, vado a dormire e percepisco una strana sensazione interna che mi dice: - Non entreresti un momento nella cappella per farmi compagnia? Dopo alcuni istanti di confusione e resistenza, finisco per acconsentire e passare un momento con Gesù. Dopo ritorno a dormire in pace e contento, e al giorno dopo non mi alzo più stanco del solito.

Nonostante tutto, a volte mi succede il contrario. Di fronte a un problema grave che mi preoccupa mi dico: Questa sera pregherò un’ora nella cappella per far si che si risolva. Dirigendomi alla cappella, una voce nel fondo del cuore mi dice: - Sai?, mi compiacerebbe di più se andassi a letto subito e riponessi in me la tua fiducia; io mi prendo cura del tuo problema. E ricordando la mia felice condizione di “servo inutile”, me ne vado a dormire in pace, lasciando tutto nelle mani del Signore...

Tutto questo è per dirci che la volontà Divina esiste dove c’è grande amore, ma non obbligatoriamente dove c’è grande soffrimento... C’è più amore nel riposare grazie alla fiducia, che non preoccupandosi per l'inquietudine!
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